di Chiara Cruciati – Il Manifesto
Quanto temuto potrebbe diventare realtà: il procuratore del tribunale di Istanbul ha presentato ieri l’incriminazione per i giornalisti turchi Can Dündar e Erdem Gül.
Raccolta di documenti segreti per fini di spionaggio militare e
politico, tentativo di rovesciare il governo e deliberato sostegno al
terrorismo: queste le accuse che pesano sui due reporter. Rischiano il
carcere a vita, tanto ha chiesto il procuratore turco.
Rispettivamente direttore del quotidiano Cumhuriyet e caporedattore dell’ufficio di Ankara, la “colpa” di Dündar e Gül è aver fatto il proprio mestiere. A
maggio pubblicarono un articolo, corredato di relative prove, nel quale
mostravano il tentativo di scambio intercorso tra i servizi segreti
turchi e presunti membri dello Stato Islamico. Un camion che sarebbe
dovuto passare dalle mani dell’intelligence di Ankara a quelle degli
islamisti era stato fermato e perquisito dalla gendarmeria turca a sud
del paese all’inizio del 2014 ed era apparentemente pieno di armi.
A denunciare i due giornalisti è stato lo stesso presidente Erdogan:
«Chi ha scritto la storia pagherà un prezzo alto». Quel prezzo è stato
consegnato ieri, dal secondo braccio del sistema repressivo turco, la
magistratura, ai due giornalisti in prigione da fine novembre.
A poco serviranno le proteste delle organizzazioni per i diritti
umani, tra cui Human Rights Watch che ieri ha criticato aspramente la
decisione del tribunale. Serviranno a poco perché manca la
denuncia degli alleati della Turchia, i governi occidentali, che si
nascondono dietro deboli condanne per poi stendere tappeti rossi ai
piedi di Erdogan. Tappeti foderati con tre miliardi di euro
(quelli promessi da Bruxelles ad Ankara perché si tenga i rifugiati
siriani) e con l’accettazione a testa bassa dei diktat turchi sul
negoziato siriano.
Lo si è visto chiaramente martedì quando l’Onu ha recapitato gli inviti al tavolo previsto per domani a Ginevra: fuori il Pyd, il Partito dell’Unione Democratica rappresentante dei kurdi di Rojava.
Ankara aveva minacciato di boicottare il dialogo se i delegati kurdi
fossero stati presenti. Poco dopo, arrivava la denuncia di Saleh Muslim,
co-presidente del Pyd: «Non abbiamo ricevuto nessun invito».
Ieri in mattinata è giunta la conferma per bocca del ministro
degli Esteri francese Fabius: «Il Pyd causava i problemi maggiori e de
Mistura mi ha detto di non averli invitati», il laconico commento di Fabius alla radio France Culture.
Immediata la reazione kurda: non riconosceremo i risultati del
negoziato se non ne saremo parte, ha detto Abd Salam Ali, rappresentante
del Pyd in Russia.
Benzina sul fuoco la getta un diplomatico francese rimasto
anonimo: i kurdi – ha detto – non sono considerati opposizione ad Assad.
Eppure sono la più valida opposizione allo Stato Islamico, relegato in
un angolo del negoziato come non fosse una delle ragioni che dovrebbero
spingere la Siria alla pacificazione.
A monte sta il rinnovato potere turco, derivante dall’emergenza
rifugiati, spauracchio della fortezza-Europa, e dall’uso in chiave
anti-Mosca che di Ankara sta facendo la Nato. Suona così ancora più
ridicolo il tentativo in calcio d’angolo dell’Onu di spegnere le
tensioni: ieri Khawla Mattar, portavoce dell’inviato Onu per la
Siria de Mistura, ha detto che solo siriani si siederanno al tavolo,
escludendo quindi l’eventuale partecipazione di una delegazione turca
come paventato dal ministro degli Esteri di Ankara Cavusoglu.
La Turchia ci sarà comunque, dietro le quinte, come ci sarà l’Arabia Saudita impegnata in questi giorni a indebolire il negoziato usando a
spada tratta le opposizioni al presidente Assad.
L’Hnc, l’Alto Comitato per i Negoziati, ombrello delle opposizioni
nato a Riyadh a dicembre, dopo giorni trascorsi a minacciare un
boicottaggio del dialogo, ieri ha affondato il colpo: voleremo a
Ginevra, hanno detto, solo se saranno rispettate determinate
precondizioni. La fine degli assedi governativi e lo stop dei raid
russi, che però secondo Mosca hanno come target l’Isis. Diversa
l’opinione del fronte anti-Assad che li ritiene diretti ai ribelli. Per
questo, in una lettera a de Mistura e al segretario generale Onu Ban
Ki-moon, l’Hnc chiede rassicurazioni in merito alla fine dei
bombardamenti prima di sciogliere la riserva.
Ginevra traballa ancora. Se anche si arrivasse al dialogo, è
difficile immaginare il raggiungimento di un risultato positivo.
Damasco, accettato l’invito in Svizzera, non parla finendo per apparire
come l’unica interessata alla pace.
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