Gli italiani si scoprono più malati e più poveri: 4,2 milioni di loro rinunciano a curarsi a causa degli alti costi, delle lunghe lista di attesa e dell’eccessiva distanza dai servizi. Ma il governo pensa ad altro. In parlamento si discute, ad esempio, di un disegno di legge che, se approvato, comprometterà irrimediabilmente l’autonomia professionale dei medici e consegnerà il servizio sanitario nazionale nelle mani dell’industria del farmaco e delle attrezzature bio-medicali.
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“Dai bilanci demografici mensili forniti dall’Istat si rileva come il totale dei morti in Italia nei primi otto mesi del 2015 – ultimo aggiornamento a tutt’oggi disponibile – sia aumentato di 45mila unità rispetto agli stessi primi otto mesi del 2014”. Così iniziava il post di G.C. Blanciardo pubblicato su Neodemos il 22 dicembre 2015 col titolo: “68 mila morti in più nel 2015?*”. Il dibattito che è seguito alla diffusione di questi dati è stato tanto acceso, quanto disordinato: tra le presunte cause sono stati evocati l’epidemia influenzale (a fronte di un’insufficiente copertura vaccinale), l’ondata estiva di caldo, l’inquinamento atmosferico, la crisi economica, i reiterati tagli della spesa sanitaria. Neodemos è tornato sull’argomento con altri due post (leggi questo articolo e questo), di cui il più recente, del 22 gennaio, dedicato a un’intervista a Geppo Costa, che così conclude il suo intervento: “Questa storia insegna due lezioni. La prima è che i sistemi di sorveglianza della salute in Italia sono relativamente adeguati ma mancano di una regia nazionale che permetta di riconoscere tempestivamente i segnali che vengono dalla salute della popolazione. La seconda è che sarebbe utile che le autorità sanitarie comunicassero al pubblico altrettanto tempestivamente e con autorevolezza quanto viene rilevato e spiegato dai sistemi di sorveglianza, proprio per limitare disorientamento e strumentalizzazioni”.
In realtà una regia comunicativa da parte del governo, anche nel campo della salute, esiste eccome: è quella di nascondere le “cattive” notizie e enfatizzare quelle “buone”. Ciò che conta è la narrazione happy news (un tempo detta propaganda), secondo cui il nostro è uno dei sistemi sanitari migliori al mondo. Lo ripetono ad ogni occasione ministri, governatori, onorevoli – e ahimè anche molti giornalisti – che non conoscono, o fanno finta di ignorare, l’unica classifica dei sistemi sanitari degna di citazione: l’Euro Health Consumer Index (che abbiamo più volte recensito, vedi anche l’ultimo rapporto 2014). Secondo questa fonte, l’Italia insieme a pochissimi altri Paesi perde punti nella classifica: nel giro di pochi anni, su 37 Paesi analizzati, l’Italia è scesa dal 15° posto al 21° (scavalcata anche da Estonia, Slovenia e Slovacchia).
In attesa di conoscere i dati definitivi della mortalità 2015, va detto che segnali preoccupanti sulla salute degli italiani non mancano, come abbiamo riportato in precedenti post (vedi Happy news, buone notizie e la propaganda a la dura realtà).
Li riassumiamo nei punti seguenti.
1) Aumenta la longevità, ma negli ultimi tempi si sono ridotti gli anni vissuti in buona salute: da 2005 al 2013 meno 5,8 anni. Ovvero si vive di più, ma in condizioni di salute peggiori, afflitti da una o più malattie croniche (Figura 1). E a farne maggiormente le spese sono i gruppi più poveri della popolazione.
Fonte: The European House – Ambrosetti su dati Eurostat, 2015 |
2) La povertà e il basso livello culturale delle famiglie sono anche la causa degli alti livelli di sovrappeso/obesità e di scarsa o nulla attività fisica tra i ragazzi. Per questi indicatori deteniamo i record negativi fra le nazioni europee, secondi solo a Grecia e Inghilterra per sovrappeso/obesità, con una situazione analoga a quella degli Stati Uniti.
3) Secondo i dati di OCSE circa il 25% degli anziani italiani ha forti limitazioni dell’autonomia nelle attività quotidiane della vita (vestirsi, lavarsi, usare il bagno, etc) – peggio di noi solo Grecia e Slovacchia –. Gli anziani italiani sono in coda alla classifica anche nella percezione di buona salute: solo il 30% afferma di stare bene, rispetto a una media OCSE del 45%, con molti paesi – dal Canada alla Svezia, alla Svizzera, all’Olanda – che registrano livelli superiori al 60-70%. Va infine notato che purtroppo l’Italia vanta il più alto livello di prevalenza di demenza tra i paesi OCSE (Figura 2)[1].
4) Il recente Rapporto dell’Agenzia Europea per l’Ambiente ci informa che già ora il nostro contributo alla mortalità prematura per inquinamento è in assoluto il più alto fra i Paesi europei, pari a 84.400 decessi annui. Per avere un’idea rispetto a Paesi con popolazione analoga (un po’ maggiore) e sviluppo economico produttivo simile, la Francia ha 52.600 morti premature e l’Inghilterra 49.430; la Germania invece 72.000 su una popolazione con 20 milioni di abitanti in più rispetto all’Italia[2].
Notizie poco confortanti provengono anche dal capitolo dell’accesso alle cure. Riguardo alla spesa diretta (out-of-pocket) dei pazienti (ticket e pagamento privato degli specialisti) e alla capacità del sistema di soddisfare i bisogni dei cittadini (disponibilità di servizi pubblici, liste di attesa, distanze da percorrere per ottenere una prestazione) l’Italia si trova tra i “bottom third performers”, ovvero tra i paesi peggiori. I dati dell’OCSE trovano puntuale conferma con i risultati di analoghe ricerche effettuate da agenzie italiane. Un recente servizio della Repubblica riportando questi dati titolava: “Costi molto alti, gli italiani non si curano più”[3].
“Dalle statistiche fornite dall’Ufficio parlamentare di bilancio, e firmate Eurostat, si scopre che il 7,1% degli italiani (oltre 4,2 milioni di persone) rinuncia a farsi curare perché il costo della prestazione è troppo alto, la lista d’attesa troppo lunga oppure l’ospedale troppo distante. Con il diminuire del reddito il disagio cresce: la rinuncia alla cura sale al 14,6% degli italiani nel caso in cui gli interpellati appartengano al 20% più povero della popolazione italiana”. Un dato in netta crescita e – nel confronto internazionale – sovrapponibile a quello rilevato in Grecia (Figura 3).
Figura 3. Percentuale di popolazione con bisogni sanitari non soddisfatti, per livello di reddito. Paesi OCSE. 2013. |
Il quadro che emerge rivela aspetti decisamente critici su una serie di versanti: l’aumento dei bisogni sanitari e sociali della popolazione anziana, il peso crescente delle patologie croniche, il sovrappeso/obesità dei ragazzi che – se fuori controllo – andrà nel prossimo futuro ad alimentare e a ingrossare la già vasta platea di pazienti affetti da malattie cronico-degenerative, le conseguenze nefaste sulla salute prodotte dall’inquinamento, l’aumento della povertà che sappiamo bene essere un decisivo determinante della malattia e che negli ultimi anni è diventata anche un impedimento nell’accesso alle cure.
Più povera la popolazione, più povero anche il servizio sanitario pubblico, stremato e reso sempre più inaccessibile da più di cinque anni di sottofinanziamento. Di fronte a dati di tale portata ci si sarebbe aspettati una forte reazione politica e parlamentare. Invece, non un’analisi attenta, non una proposta, tanto meno un programma. Tra le mille comparsate televisive e radiofoniche di Renzi, di ministri, governatori e onorevoli non una sola parola è stata spesa sulle questioni della salute degli italiani. Incredibilmente in questi giorni tutta l’attenzione del governo e della sua maggioranza si concentra su altro: sul tema della responsabilità dei professionisti. Ne diamo conto nei due post, di Alberto Donzelli e Luca De Fiore, che sono a corredo di questa newsletter. La morale di questa vicenda è inquietante: se il disegno di legge della maggioranza, ora in discussione alla Camera, andrà in porto l’autonomia professionale dei medici sarà fortemente compromessa e in certi casi annullata, e il sistema sanitario italiano sarà, per legge, sempre di più condizionato dalle scelte dell’industria del farmaco e delle attrezzature bio-medicali. Una situazione unica al mondo.
E le Regioni che fanno? “Regioni chiedono al Governo di riaprire il confronto: Siamo al 6,6% del Pil, il livello più basso del decennio. Più di un terzo spending review sul Ssn. E dal 2017 nuovi tagli inevitabili”[4]. Le Regioni abbaiano, ma non mordono, alla fine si adeguano. Nel frattempo si dedicano a inutili e costosi esercizi di fusione delle ASL. Si tratta di un espediente messo in atto da alcuni governatori per distrarre l’attenzione dal mal-funzionamento dei servizi e per lucrare – attraverso l’accentramento delle decisioni – un po’ più di potere politico.
Alan Maynard ci aveva visto giusto quando, nel 1995, scrisse: “Con monotona regolarità i politici reagiscono ai mal-definiti problemi dei loro sistemi sanitari ridisorganizzandoli”[5].
Bibliografia
1) Oecd. Health at a Glance 2015
2) European Environment Agency – Air Quality in Europe- 2015. Luxembourg: Report, 2015.
3) Petrini R. Costi molto alti, gli italiani non si curano più. La Repubblica, 10 gennaio 2016, pp. 40-41.
4) Sanità. Regioni chiedono al Governo di riaprire il confronto. Quotidianosanita.it, 07.01.2016
5) Maynard A. Competition in health care, caricatures and evidence. European Journal of Publiv Health 1995; 5:144-45.
Fonte
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