È venuto
il momento di trattare la vicenda di Quarto al di fuori della cronaca e
dei campi narrativi esistenti. Che Rosa Capuozzo sia indagata o vittima,
che abbia avvisato o meno i vertici del M5s, non è infatti questione
che ci appassioni. È un altro il dato che qui ci interessa analizzare,
ossia l’espulsione della sindaca come rito sacrificale nel nome
dell’astratto principio di Legalità. Con questa mossa Grillo e la sua
dirigenza rischiano di favorire la crisi del M5s, con contraccolpi che
nell’immediato si faranno sentire sulle prossime amministrative e
probabilmente più avanti nella tornata elettorale nazionale.
Di questo esultano Renzi, Orfini e i loro compari democratici, di sinistra e di destra: avete visto che anche loro fanno quello che noi abbiamo sempre fatto? Grillo controbatte: macché, noi siamo puliti e trasparenti, proprio per questo sacrifichiamo l’agnello Capuozzo. Ma il punto per noi, che abbiamo come obiettivo la distruzione delle istituzioni esistenti e non una marcetta al suo interno, non è capire se abbiano ragione gli uni o gli altri: hanno chiaramente entrambi torto, perché è il campo a essere sbagliato.
Ancora una volta, dunque, il punto di vista va rovesciato: guardiamo la vicenda non a partire dagli equilibri istituzionali, bensì dalla composizione sociale che quegli equilibri li subisce e tenta di combatterli. Vediamo allora che una buona parte degli attivisti e degli elettori del M5s lo hanno scelto perché non era come gli altri, nel senso che non era un putrido attore istituzionale, una struttura parassitaria impegnata nella spartizione di poltrone e potere, nella riproduzione di ceti dirigenti e funzionariali, immaginandolo al contrario come una forza utilizzabile per un protagonismo diretto e una trasformazione concreta, come un cuneo piantato nel cuore di istituzioni marce. Rispetto a questa scelta, l’espressione legalitaria è una sovrastruttura ideologica, deriva dalla frustrazione per le condizioni di vita nella crisi e non viceversa. È cioè una mistificazione, che occulta e stravolge i reali interessi sociali e di classe che sono alla radice dello scontro. Quando la legalità smette di essere principio astratto e si concretizza, del resto, assume sempre il volto feroce del potere e mai di chi è stufo di esserne oppresso. È la legalità che molti attivisti ed elettori del M5s si trovano contro nelle lotte territoriali cui partecipano, che sostiene gli interessi dei padroni sui posti di lavoro, nelle fabbriche sociali dello sfruttamento, della precarietà e dell’impoverimento. È la legalità del sistema bancario, che rapina i piccoli risparmiatori, famiglie operaie e ceti medi che hanno lavorato tutta una vita per mettere qualche soldo da parte. Banca Etruria non è uno scandalo, ma il normale funzionamento del capitalismo finanziario: sono i mercati che ce lo chiedono, e la legalità esegue la sentenza!
Facendo di quella frustrazione il centro della propria attività e l’oggetto della propria purezza, la dirigenza del M5s ha buttato via il bambino e ha messo al centro l’acqua sporca. Ha quindi accettato il campo di gioco di quella casta politica a cui si dichiarava estranea e ostile, assumendone implicitamente norme di comportamento, lessici e lineamenti rappresentativi. Lo vediamo nella figura tragicomica di Luigi Di Maio, volto di un’impostata seriosità burocratica così lontano dall’originario spirito anti-politica istituzionale, magari ambiguo, certamente ingenuo, nondimeno genuino.
Dalla possibile crisi del M5s, la sinistra (quella “moderata” e quella “radicale”, quella di governo e quella (centro) socialista che a ogni tornata elettorale punta su una listina da prefissi telefonici) spera di recuperare un bacino elettorale da tradurre in voti e poltrone. È l’ennesima illusione. Quella composizione, infatti, non è recuperabile dalle strutture e dai lessici della sinistra, dalle sue posture ideologiche e dalle sue movenze concrete. Il M5s nasce in parte dalla fuga e in parte dalla completa estraneità a quella storia, e il processo è irreversibile. La composizione sociale a cui la sinistra si rivolge, infatti, vive in larga parte tra compromissione e sconfitta, non affronta mai le contraddizioni materiali che vive ma accetta l’esistente e tutt’al più si rifugia nei buoni sentimenti dell’opinione pubblica. È in buona misura – non del tutto, su una sua minoranza bisogna ancora scommettere – irrecuperabile al conflitto, laddove invece le tracce dei possibili conflitti a venire le possiamo in parte trovare nell’ambiguità soggettiva di vari pezzi della composizione del M5s e perfino tra chi oggi può essere attratto per esasperazione dalle sirene della demagogia salviniana. E ancor di più, crediamo, nella grande maggioranza del paese che dalla "politica" non si aspetta più niente...
Di questo esultano Renzi, Orfini e i loro compari democratici, di sinistra e di destra: avete visto che anche loro fanno quello che noi abbiamo sempre fatto? Grillo controbatte: macché, noi siamo puliti e trasparenti, proprio per questo sacrifichiamo l’agnello Capuozzo. Ma il punto per noi, che abbiamo come obiettivo la distruzione delle istituzioni esistenti e non una marcetta al suo interno, non è capire se abbiano ragione gli uni o gli altri: hanno chiaramente entrambi torto, perché è il campo a essere sbagliato.
Ancora una volta, dunque, il punto di vista va rovesciato: guardiamo la vicenda non a partire dagli equilibri istituzionali, bensì dalla composizione sociale che quegli equilibri li subisce e tenta di combatterli. Vediamo allora che una buona parte degli attivisti e degli elettori del M5s lo hanno scelto perché non era come gli altri, nel senso che non era un putrido attore istituzionale, una struttura parassitaria impegnata nella spartizione di poltrone e potere, nella riproduzione di ceti dirigenti e funzionariali, immaginandolo al contrario come una forza utilizzabile per un protagonismo diretto e una trasformazione concreta, come un cuneo piantato nel cuore di istituzioni marce. Rispetto a questa scelta, l’espressione legalitaria è una sovrastruttura ideologica, deriva dalla frustrazione per le condizioni di vita nella crisi e non viceversa. È cioè una mistificazione, che occulta e stravolge i reali interessi sociali e di classe che sono alla radice dello scontro. Quando la legalità smette di essere principio astratto e si concretizza, del resto, assume sempre il volto feroce del potere e mai di chi è stufo di esserne oppresso. È la legalità che molti attivisti ed elettori del M5s si trovano contro nelle lotte territoriali cui partecipano, che sostiene gli interessi dei padroni sui posti di lavoro, nelle fabbriche sociali dello sfruttamento, della precarietà e dell’impoverimento. È la legalità del sistema bancario, che rapina i piccoli risparmiatori, famiglie operaie e ceti medi che hanno lavorato tutta una vita per mettere qualche soldo da parte. Banca Etruria non è uno scandalo, ma il normale funzionamento del capitalismo finanziario: sono i mercati che ce lo chiedono, e la legalità esegue la sentenza!
Facendo di quella frustrazione il centro della propria attività e l’oggetto della propria purezza, la dirigenza del M5s ha buttato via il bambino e ha messo al centro l’acqua sporca. Ha quindi accettato il campo di gioco di quella casta politica a cui si dichiarava estranea e ostile, assumendone implicitamente norme di comportamento, lessici e lineamenti rappresentativi. Lo vediamo nella figura tragicomica di Luigi Di Maio, volto di un’impostata seriosità burocratica così lontano dall’originario spirito anti-politica istituzionale, magari ambiguo, certamente ingenuo, nondimeno genuino.
Dalla possibile crisi del M5s, la sinistra (quella “moderata” e quella “radicale”, quella di governo e quella (centro) socialista che a ogni tornata elettorale punta su una listina da prefissi telefonici) spera di recuperare un bacino elettorale da tradurre in voti e poltrone. È l’ennesima illusione. Quella composizione, infatti, non è recuperabile dalle strutture e dai lessici della sinistra, dalle sue posture ideologiche e dalle sue movenze concrete. Il M5s nasce in parte dalla fuga e in parte dalla completa estraneità a quella storia, e il processo è irreversibile. La composizione sociale a cui la sinistra si rivolge, infatti, vive in larga parte tra compromissione e sconfitta, non affronta mai le contraddizioni materiali che vive ma accetta l’esistente e tutt’al più si rifugia nei buoni sentimenti dell’opinione pubblica. È in buona misura – non del tutto, su una sua minoranza bisogna ancora scommettere – irrecuperabile al conflitto, laddove invece le tracce dei possibili conflitti a venire le possiamo in parte trovare nell’ambiguità soggettiva di vari pezzi della composizione del M5s e perfino tra chi oggi può essere attratto per esasperazione dalle sirene della demagogia salviniana. E ancor di più, crediamo, nella grande maggioranza del paese che dalla "politica" non si aspetta più niente...
Ecco allora il punto su cui dobbiamo attaccare il M5s: non l’illegalità, ma al contrario l’istituzionalizzazione; non la mancanza di trasparenza bensì il cittadinismo, perché il cittadino non esiste, esistono invece gli sfruttati e gli sfruttatori, chi comanda e chi non vuole più obbedire.
Bisogna scegliere da che parte stare. Seguendo la strada percorsa sui
fatti di Quarto il M5s diventa un attore istituzionale come un altro: in
un certo senso, quindi, Renzi e compari rischiano di avere ragione, ma
per motivi contrari a quelli che sostengono. La corruzione non appartiene infatti a singoli comportamenti: è funzionale al sistema. Se si vuole combattere la corruzione, bisogna innanzitutto combattere il sistema, di cui magistrati e procure sono parte integrante.
Allora, per la composizione su cui il M5s si basa e di cui si alimenta, il Quarto comandamento non
è onorare il padre Stato e la madre Costituzione, ma combatterli per
cambiare le insopportabili condizioni di vita che quei genitori
mostruosi hanno partorito e allevato.
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