di Michele Giorgio – Il Manifesto
Sarebbe ingiusto attribuire agli intellettuali egiziani, come lo scrittore Alaa Aswani,
responsabilità eccessive per il silenzio che oggi, tranne poche voci
dissidenti, regna in Egitto – a cinque anni dalla rivolta popolare del
25 gennaio che fece cadere Hosni Mubarak – sul sistema a dir
poco autoritario, dittatoriale secondo molti, imposto dal colpo di stato
militare del 2013 e dal presidente Abdel Fattah al Sisi.
Eppure pesano ancora, e tanto, le considerazioni che fece Aswani,
storico oppositore di Mubarak, che alle presidenziali del 2012 aveva
appoggiato il candidato progressista Hamdin Sabahi, a favore del governo
militare. È il “minore dei due mali” spiegò lo scrittore per
giustificare la rimozione dell’ex presidente e leader dei Fratelli
Musulmani Mohamed Morsi (poi condannato a morte) e l’uccisione di
centinaia, forse migliaia, di suoi sostenitori da parte delle forze di
sicurezza in piazza Rabia al Adawiyya. Come Aswani troppi, anche
a sinistra, scelsero «il minore dei due mali».
Così oggi l’Egitto è una dittatura, mascherata da
consultazioni elettorali o da attività parlamentari, peggiore di quella
di Mubarak. Perchè l’ex presidente crollato cinque anni fa
sotto lo slogan incessante “Ash-shab yurid isqat an-nizam” (Il popolo
vuole far cadere il regime) scandito da due milioni di egiziani radunati
in piazza Tahrir, era odiato da gran parte della sua gente. Al Sisi al
contrario gode dell’appoggio aperto o non dichiarato di molti egiziani
(e dei leader occidentali) che pur di tenere lontano dal potere gli
islamisti hanno rinunciato a democrazia e rispetto dei diritti umani.
Piazza Tahrir ieri non era il simbolo della rivolta che
travolse Mubarak e che per qualche tempo spalancò le porte di un futuro
migliore davanti al popolo egiziano. Piuttosto ha ben rappresentato
l’Egitto di Abdel Fattah al Sisi, della scelta del “minore dei due
mali”, del dominio del liberismo economico, della miseria ancora più
diffusa. Le strade principali, i ponti sul Nilo, i mercati del
Cairo e dell’Egitto sono rimasti presidiati da ingenti forze di
intervento rapido di polizia ed esercito, anche ad Alessandria e in
altre province, per prevenire raduni e manifestazioni per il quinto
anniversario dell’inizio della rivolta anti-Mubarak. Lo scopo ufficiale
sarebbe stato quello di impedire le proteste dei “terroristi”, ossia
i Fratelli musulmani (messi al bando), come quelle dei due anni passati
funestate da scontri con decine di morti. In realtà il divieto
a manifestare di fatto è costante e vale per tutti, gli islamisti come
i socialisti e tutti coloro che furono protagonisti del 25 gennaio 2011.
In Egitto, scrive Amnesty International nel suo rapporto
2014–15, «il generale militare che aveva guidato la destituzione del
primo presidente post-rivolta del paese nel 2013 ha assunto la
presidenza dopo le elezioni e ha continuato un’ondata di repressione che
ha preso di mira non soltanto i Fratelli musulmani e i loro alleati ma
anche attivisti di molte altre affiliazioni politiche, oltre che
operatori dell’informazione e attivisti dei diritti umani, con migliaia
di persone incarcerate e centinaia di altre condannate a morte». Tra queste c’è Alaa Abd El Fatah,
uno dei protagonisti della rivolta di Piazza Tahrir, condannato l’anno
scorso a 5 anni di carcere per aver organizzato manifestazioni senza
l’autorizzazione della polizia. Qualche giorno fa Mohamed Soltan, un
egiziano con cittadinanza americana, ha raccontato alla tv al Jazeera
i due anni trascorsi, tra torture e abusi, nelle prigioni di al Sisi.
In nome della lotta al terrorismo, quello reale e sanguinoso
dell’Isis, che dal Sinai minaccia l’Egitto, e quello (mai dimostrato)
dei Fratelli Musulmani, ieri Abdel Fattah al Sisi, ha rivolto un appello
agli egiziani a difendere e proteggere il Paese. Appello lanciato non
per l’anniversario della rivolta. Per il presidente al Sisi il 25
gennaio è il “Giorno della Polizia”, proprio come lo era durante i 30
anni di potere di Hosni Mubarak. Per questo, durante la cerimonia
all’Accademia di Polizia del Cairo, ha ricordato i 40 agenti uccisi un
anno fa dai jihadisti. Ha deposto una corona di fiori al monumento
dedicato ai martiri della polizia. «Li vendicheremo, non li
dimenticheremo mai», ha detto. Neanche una parola per le centinaia di
egiziani uccisi (dalla polizia) nel 2011 e per le altre centinaia di
vittime del 2013. Il “male minore” onora solo i suoi morti.
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