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19/01/2016

A Parigi è “emergenza economica”, ma Hollande risponde col Jobs Act

La Francia è una delle locomotive del progetto di integrazione economica, politica e militare europeo ma la sua economia non va affatto bene. Tanto che a neanche un anno e mezzo dalle elezioni presidenziali più che in salita il socialista François Hollande è stato costretto ieri ad ammettere che Parigi si trova nientemeno che in uno stato di “emergenza economica” annunciando al contempo un piano straordinario per combattere la disoccupazione. Che, negli ultimi 3 anni, da quando l’inquilino dell’Eliseo è l’esponente socialista, è aumentata di ben 650 mila unità, toccando quota 10.3%, il che vuol dire 3.6 milioni di francesi ufficialmente disoccupati. Senza contare milioni di lavoratori sottoccupati e precari che, come è noto, le liste ufficiali di disoccupazione tendono a considerare dei fortunati e quindi a non conteggiare.

«E’ venuto il momento di proclamare lo stato d’emergenza economico e sociale» ha annunciato con fare roboante Hollande, la cui strategia sembra agitarsi e darsi un tono per accrescere la sensazione tra gli elettori che lui e il suo partito stiano facendo di tutto per ridurre disoccupazione e crisi economica, prima che ad appropriarsi definitivamente del tema siano la destra gollista, l’estrema destra lepenista e forse addirittura un Front de Gauche da tempo ‘non pervenuto’. «Siamo al centro di una gigantesca mutazione e si tratta di ridefinire il nostro modello» ha annunciato Hollande. In peggio, ovviamente, dando di fatto ragione alle continue pressioni della Germania e dell’establishment continentale che insiste con Parigi affinché elimini, come hanno già fatto altri prima, garanzie sociali e diritti dei lavoratori, dando in particolare una bella sforbiciata a quel settore pubblico che da sempre è un caposaldo della grandeur francese. Anche se Hollande ha promesso misure che riducano l’impatto sociale dello smantellamento industriale che continua a colpire la Francia ed in particolare alcune regioni, in realtà a ben vedere l’elenco dei provvedimenti decisi da presidente e governo ricalcano in buona parte quelli adottati in Italia dal governo Renzi sotto dettatura dell’Unione Europea. Per semplificare potremmo dire che Hollande ha di fatto deciso di imporre ai suoi lavoratori una sorta di Jobs Act, seppur con alcune differenze. Il cui cardine è, per ammissione dello stesso esponente socialista, “il miglioramento della competitività delle nostre imprese”. E si sa quali sono le ricette in campo liberista per favorire le proprie imprese nell’agone mondiale: abbassare il costo del lavoro, aumentare l’orario e i ritmi, legare il salario alla produttività ecc. Non è un caso che, mentre sindacati e organizzazioni sociali non hanno accolto con molto entusiasmo i sette punti che compongono il pacchetto, la Confindustria francese ha fatto salti di gioia apprendendo che il decreto prevedere ingenti contributi a quelle piccole e medie imprese (fino a 250 dipendenti) che decidano di stipulare nuovi contratti a tempo indeterminato oppure a tempo determinato ma della durata di almeno sei mesi. Per ogni nuovo dipendente ogni impresa riceverà 2000 euro l’anno nel caso degli stipendi più bassi e per i prossimi due anni. Al termine di questo periodo, inoltre, le aziende potranno contare su una detrazione fiscale permanente pari a circa 20 miliardi l’anno e a quasi il 6% in meno di costo del lavoro. Che andranno ad aggiungersi ai circa 40 miliardi di euro di sgravi fiscali già concessi alle imprese dall’inizio della presidenza Hollande (senza grandi risultati sul fronte occupazionale, evidentemente).

Come sempre, quando la crisi colpisce le economie del panorama capitalista le classi dirigenti ne approfittano per riscrivere in peggio le proprie leggi, per far pendere ancora di più la bilancia dalla parte dei padroni peggiorando retribuzioni e diritti della classe lavoratrice. Come se non bastasse il pacchetto, supportato da un progetto di legge che verrà presentato a breve dalla ministra del Lavoro Myriam El Khomry, prevede l’abbassamento del tetto massimo delle indennità che un lavoratore licenziato senza giusta causa può ottenere da un giudice del lavoro e un aumento della flessibilità dei tempi di lavoro a beneficio delle imprese, anche se per ora almeno formalmente il tetto delle 35 ore settimanali rimane. Esattamente come per il Jobs Act, il governo vuole aumentare il numero di lavoratori assunti con contratti di formazione lavoro e di apprendistato, assai meno esosi per le imprese.

A poco servirà il raddoppio del numero di disoccupati soggetti a formazione, dai 500 mila attuali a un milione.

Il tutto comunque costerà circa due miliardi di euro, come detto, che andranno per la maggior parte a riempire le tasche degli imprenditori e che produrranno probabilmente scarsi effetti sulla disoccupazione. Ma si tratta comunque di due miliardi in più che il governo si impegna a spendere a fronte di un deficit già finito nel mirino dell’Eurozona, arrivato addirittura al 3.8% del Pil a fine 2015, sforando di brutto il “sacro vincolo” del 3%.

Per il presidente del Medef (la Confindustria francese), Pierre Gattaz, il piano presentato da Hollande “va nella buona direzione”. Si sa, gli imprenditori non si accontentano mai...

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