Poche guerre come quella del Golfo, che gli occidentali hanno cominciato nel gennaio di 25 anni fa bombardando Baghdad tra il quindici e il sedici di quel mese del 1991, mescolano in modo così stretto tragedia e farsa. La tragedia di una serie di bombardamenti che massacrarono la popolazione civile irachena, di un embargo che la privò di risorse elementari, la farsa di una vicenda tutta italiana tra blob, Emilio Fede e Cocciolone.
Cominciamo da una retrospettiva biografica: lo scrivente, assieme ad un noto (e benemerito) mediattivista livornese, alla vigilia dell’attacco occidentale in Iraq si trovò a fare la spesa, in un noto supermercato, per una iniziativa degli spazi sociali. Ebbene, nel primo pomeriggio la sorpresa fu di trovare gli scaffali vuoti di beni di prima necessità (pasta, farina, pomodori). Era la testimonianza, non solo livornese, di un paese impaurito di fronte alla prima esperienza collettiva di guerra dal 1945. Impaurito anche da uno spettacolo televisivo che, per la prima volta, portava nelle case la guerra in diretta, minuto per minuto.
Ma cosa era accaduto? L’Iraq, indebolito da 8 anni di guerra contro l’Iran (fatti per motivi di supremazia regionale ma anche con l’esplicito incoraggiamento degli Usa), alla fine degli anni ’80 cerca soluzioni di riscatto. Le trova invadendo, nell’agosto del 1990, il confinante Kuwait. È una mossa con il classico doppio valore: geopolitico ed economico. Permetterebbe all’Iraq di posizionarsi come potenza dell’area, nonostante l’indebolimento causato dalla guerra con l’Iran, ma anche di acquisire il mare di petrolio che sta sotto il Kuwait. Gli iracheni ritengono inoltre di avere perlomeno il silenzio-assenso degli Usa per l’operazione. Non è così. I legami kuwaitiani e sauditi dei Bush, petrolieri storicamente in affari nell’area, si fanno subito sentire. Oltretutto per gli Usa, dopo la caduta del muro di Berlino, la crisi in Kuwait è l’occasione (come sappiamo mancata) per ridefinire i rapporti nell’area.
Comincia quindi una lunga fase di condanne, avvertimenti diplomatici, risoluzioni dell’Onu, embarghi diretti dagli Usa contro l’Iraq con uno scopo ben preciso: far ritirare le truppe di Baghdad dal Kuwait. Si parla di una tensione internazionale accresciuta per mesi, che occupò quotidianamente i media allargando come mai prima di allora gli spazi dell’informazione (ad esempio, è a partire da allora che il televideo funziona 24 ore su 24, che si cominciano a vedere le tv straniere mirrorate dalle tv private prima dei satelliti etc.). Investendo una opinione pubblica globale maggiore, dal punto di vista numerico, persino di quella del Vietnam. Fu formata una coalizione internazionale, alla quale partecipò l’Italia, pronta all’invasione del Kuwait per cacciare gli iracheni. E tornò il movimento pacifista, con ceri e veglie, ad accompagnare i preparativi dell’invasione, con manifestazioni in ogni città (senza una manifestazione centrale nazionale).
Nel gennaio del 1991, dopo mesi di crisi degli ostaggi occidentali (liberati) di preparazione della coalizione, di diniego degli iracheni a ritirarsi, cominciarono nella notte tra il 15 e il 16 gennaio i bombardamenti americani per preparare l’invasione. E cominciò anche l’avanspettacolo televisivo, con la diretta di tutti i tg tra cui Studio Aperto, diretto allora da Emilio Fede, che fu il primo ad annunciare la notizia del bombardamento Usa. L’inizio dell’attacco occidentale fu infatti anche una grande occasione di spettacolarizzazione: tra Emilio Fede, Blob e Striscia la notizia quella guerra ha costituito forse la più grande rappresentazione quotidiana e collettiva di satira della storia della tv italiana. Infatti, la vicenda della prigionia dei piloti Bellini e Cocciolone, raccontati da Emilio Fede dal campo di concentramento fino al successivo matrimonio dopo la liberazione, è forse uno dei più convincenti reality, fatto poi senza ombra di finzione, mai girato e commentato in Italia.
Nel febbraio 1991 la guerra finì, il Kuwait fu tolto all’Iraq (con poche centinaia di morti occidentali e decine di migliaia di iracheni). Gli americani, che rimasero nei limiti del mandato della coalizione di allora, si fermarono ai confini iracheni senza andare a Baghdad. Quella della invasione dell’Iraq, marzo 2003, è infatti oggetto di tragedia successiva, seguita dai media di nuova generazione. Quanto all’Italia, l’epoca della ricreazione era finita. E con lei la voglia di fare reality sulle tragedie. Nel febbraio 1991 infatti, nel silenzio generale, l’Italia firmerà il trattato di Maastricht. Il paese da allora si avviterà in una spirale di austerità e rigore, e di impoverimento, dalla quale non è ancora uscito.
Terry McDermott
Pubblicato sul numero 111 (gennaio 2016) dell'edizione cartacea di Senza Soste
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