Urayb ar-Rintawi – ad Dostour (traduzione di Romana Rubeo)
Se fosse stata caratterizzata da maggiore sagacia e acume, la conferenza delle opposizioni siriane a Riad avrebbe potuto evitare le pressioni, le critiche e la marginalizzazione a cui è stata sottoposta (…) La volontà di prevalere sugli altri ha esposto le opposizioni al fuoco incrociato delle critiche e delle pressioni, che sono arrivate dagli amici prima ancora che dai nemici: da Washington e New York, prima che da Teheran, Damasco e Mosca.
Gli oppositori hanno dimostrato mancanza di capacità e scarsa lungimiranza nell’analisi della situazione siriana e della sua estrema complessità. È sintomatico di una cronica “ristrettezza di vedute”, a meno che questo modo di condurre la conferenza di Riad e la scelta della composizione dell’organismo supervisore e della delegazione negoziale non riflettano il desiderio, da parte degli organizzatori, di minare dall’interno i colloqui Ginevra-3, ponendo fine al dialogo prima ancora che questo abbia inizio.
Il presidente, i capi delegazione e gli altri delegati avrebbero dovuto essere figure meno controverse: persino gli alleati delle opposizioni hanno difficoltà a presentarli come promotori o difensori di una Siria libera, democratica e pluralistica, o come sostenitori dei diritti delle minoranze del Paese.
I delegati che saranno in prima linea nei colloqui avrebbero dovuto essere figure al di sopra di ogni sospetto di terrorismo o di criminalità, come il gruppo Jaysh ul Islam del Ghuta orientale di Damasco. Ma il principio secondo cui ‘chi non è con noi è contro di noi’ sembra aver accecato i suoi sostenitori, trasformandoli in nemici: è quanto avvenuto durante la costituzione della delegazione e nel corso delle accese dispute a livello regionale e internazionale che ne sono conseguite.
Il nobile emissario dell’ONU De Mistura, strenuo difensore dei diritti di genere, auspica una maggiore partecipazione delle donne all’interno della delegazione. Forse non conosce bene i suoi interlocutori: in testa alla delegazione, infatti, ci sono personaggi per cui il pluralismo si traduce nel ‘diritto alla poligamia’. E ce ne sono altri che condividono le idee dell’ISIS in merito alla schiavitù femminile, alla possibilità di considerare i corpi delle donne bottini di guerra e a circondarsi di ‘più donne possibile’.
Figure di questo calibro spianano la strada agli avversari degli altri gruppi dell’opposizione siriana, che a Ginevra potrebbero presentare argomentazioni condivisibili dal resto del mondo e non inaccettabili come alcuni punti di vista, così smaccatamente vicini a quelli dell’ISIS.
Il risultato di tanta fretta nel voler tirare delle conclusioni prima che i tempi fossero maturi è solo uno: la conferenza di Riad è stata privata del diritto di rappresentare le opposizioni siriane. De Mistura doveva tenere il pugno di ferro e riappropriarsi dell’autorità, che era stata concessa a lui e non a singoli stati, di delineare la delegazione delle opposizioni siriane; e nel farlo, ha sfoderato le armi dei criteri di New York e Vienna.
Su questo punto, in particolare, era evidente che il Segretario di Stato John Kerry avrebbe parlato in russo a Riad e che avrebbe usato le minacce del suo amico Sergey Lavrov (Ministro degli Esteri russo) come un’arma per fare pressione sulle opposizioni e sugli organizzatori, e per dettare la linea dei colloqui di Ginevra-3. Ed è accaduto esattamente questo.
Nel momento in cui sono state scritte queste parole, ancora non si conosceva il risultato delle consultazioni tra i gruppi di opposizione a Riad e dei colloqui portati avanti con altre potenze arabe e regionali. Non era neanche chiaro a chi si rivolgesse l’invito a partecipare ai colloqui di Ginevra, da parte dell’emissario delle Nazioni Unite. Ma abbiamo costatato che l’opposizione interna (stanziata in Siria) si è lavata le mani della conferenza di Riad, soprattutto quando la delegazione per Ginevra l’ha esclusa e ha espresso dichiarazioni non in linea con le sue posizioni. Costatiamo anche la costituzione di una seconda delegazione delle opposizioni, formata dai partecipanti alla conferenza del Cairo, dall’autorità curda, dai partecipanti ala conferenza di Mosca e da altri oppositori indipendenti.
In effetti, come già rilevato in un articolo comparso poco prima della recente visita a Riad di Kerry, Washington considera suoi alleati alcuni gruppi di opposizione esclusi dalla conferenza di Riad. Si sente molto più a suo agio con loro e li preferisce di gran lunga alle fazioni, alle brigate e ai personaggi che si sono riuniti a Riad. Avevamo anche sostenuto che Washington potrebbe fare ricorso alla carta dell’intransigenza russa per attenuare le asperità tra le varie posizioni emerse a Riad, e che non presterà ascolto agli avvertimenti di Ankara sulle disastrose conseguenze di un invito dei ‘terroristi curdi’ a Ginevra.
Ma le opposizioni della conferenza di Riad avrebbero dovuto prevedere queste tendenze prima e meglio di noi. Così non è stato. Hanno invece perseverato lungo la strada della perdizione, fino a mettersi all’angolo, fino alla minaccia di vedersi revocato il diritto di “rappresentanza esclusiva” dei vari gruppi dell’opposizione siriana.
“Il processo è stato caratterizzato da una terribile chiusura mentale che, da un lato, riflette l’intolleranza nei confronti del pluralismo che non risparmia le opposizioni e dall’altro, profila un orizzonte denso di nubi per i colloqui con il regime, nel caso in cui la rappresentanza e la negoziazione fossero lasciate esclusivamente nelle mani di tali personaggi,” conclude Rintawi.
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