Andreas Dombret, vice presidente della Bundesbank e membro del board della Vigilanza europea sul credito, recentemente ha chiesto che, per la realizzazione del fondo per i depositi dell’Unione Bancaria Europea, si realizzino un diritto fallimentare unico per tutti i paesi dell’Unione ed il riconoscimento che i titoli di Stato siano considerati un fattore di rischio per le banche. Che significa?
Lasciamo per un momento da parte la questione del diritto fallimentare che richiederebbe molti approfondimenti, e vediamo la questione dei titoli di Stato. Il punto è questo: sino alla crisi greca si dava per scontato che i titoli di Stato fossero considerati fra gli asset più sicuri, perché a risponderne era, appunto, lo Stato e si dava altrettanto per scontato che la Bce non avrebbe lasciato fallire nessuno Stato per garantire la stabilità della moneta.
E, infatti, la Grecia (come tutti gli altri paesi dell’Unione) potette collocare per diversi anni i suoi titoli ad interessi bassissimi, proprio perché si immaginava (a torto) che ci fosse la garanzia europea.
Poi l’interpretazione degli accordi istitutivi via via sempre più restrittiva, portò a separare la moneta dalla sorte dei debiti di Stato. Nel frattempo, però, l’indebitamento pubblico cresceva lo stesso e per reggerlo, si imponeva alle banche di assorbirne una bella fetta. La stessa Germania, nei primi tempi della crisi greca, impose alle sue banche di assorbire una fetta dei titoli di Atene (a interessi da usura), salvo poi sbolognarli quando il gioco s’è fatto troppo pericoloso.
Comunque, sin qui, i titoli di Stato erano considerati fra le voci più sicure degli asset bancari. Ora Dombret chiede di aprire un’altra fase, nella quale i titoli di stato dovrebbero essere valutati sulla base del rischio di insolvenza del debitore e le voci del rischio saranno principalmente il rapporto debito/pil ed il rapporto debito/gettito fiscale.
Con queste conseguenze: le banche vedranno calare il loro asset in base alla rivalutazione dei titoli di stato posseduti, pertanto, a loro volta, emetteranno titoli via via più rischiosi e, dunque, dovrebbero offrire interessi maggiori. Per non affondare, preferiranno investire lo stesso denaro in titoli, forse meno redditizi, ma più solidi e resisteranno alle offerte governative. Lo Stato, a quel punto dovrà, a sua volta, alzare l’offerta di interessi. E l’insieme della manovra spingerà verso il punto di crisi del sistema, oppure, non potendo emettere moneta, non resterà che svendere il restante patrimonio di Stato e aumentare la pressione fiscale.
Indovinate a chi pensa Dombret quando dice queste cose? Quale è il paese con il terzo debito pubblico del mondo? E che, garantiva le sue banche con il salvataggio di stato ora proibito? E che, per questo, ha un sistema bancario che sta attraversando un momento difficile?
Dunque, nessun dubbio: è una nuova spallata tedesca contro l’Italia. Il valente banchiere teutonico non ha torto a dire che nessuno può sostenere che i debiti pubblici siano di per sé privi di rischi, ma dimentica che sarebbe opportuna una situazione di parità fra tutti i paesi europei: la condizione di rischio, come si sa, è proporzionale ad una serie di fattori fra cui, prima di tutte, il rapporto fra debito e Pil. Ma, allora, occorre che il debito sia valutato allo stesso modo per tutti, mentre così non è: da 25 anni la Germania gode di un favore non riconosciuto a nessun altro, considerando fuori bilancio il debito proveniente dalla Cassa Depositi e Prestiti. Questa particolare soluzione fu adottata al momento dell’unificazione delle due germanie per facilitare la ricostruzione dei land orientali. E la cosa si poteva comprendere, ma adesso a oltre un quarto di secolo, pare che la ricostruzione dell’est sia completata (anche grazie all’Euro, di cui la Germania è stata la massima beneficiaria), che ne dite di rientrare in un ordine più naturale? E così, magari, scopriremmo che il debito pubblico tedesco non è vero che oscilla intorno all’80%, ma supera di slancio il 100% e, dunque, lo spread fra i titoli tedeschi e quelli degli altri non è quello che si dice e la Germania ha condizioni di rischio ben più consistenti di quelle vantate.
I tedeschi (intendendo per essi non certo il popolo tedesco che non ha altra colpa che avere questi predoni di politici, finanzieri e manager) stanno mettendo l’assedio ai risparmi ed al patrimonio immobiliare italiano, approfittando anche della debolezza politica del suo governo. E vedremo cosa verrà fuori venerdì prossimo.
C’è un particolare che autorizza dei sospetti su quello che i tedeschi stanno progettando: alcuni anni fa (intorno al 2010) si iniziò a prospettare lo scioglimento dell’Euro o, quantomeno alla separazione fra Euro del Nord ed Euro del sud e la cosa provocò un dibattito accesissimo nel quale la maggior parte di economisti, banchieri e pirati vari, si impegnarono quale disastro sarebbe stato un simile evento, quali enormi difficoltà, anche solo pratiche, lo avrebbero resi impraticabile ed onerosissimo. Insomma, il danno sarebbe stato tale che non era neppure possibile parlare di una exit strategy dall’Euro.
Adesso, all’improvviso, questa ipotesi si sta materializzando rapidamente a proposito della questione frontiere: se viene meno la libertà di spostamento interna alla comunità con il trattato di Schengen, automaticamente viene meno l’Euro. Sinceramente, non capisco bene il nesso fra le due cose: certamente la libertà di movimento è un aspetto forte dell’immaginario europeo e anche una sua sospensione temporanea avrebbe una forte valenza simbolica negativa. E possiamo anche capire le ricadute politiche del primo “passo indietro” ufficiale rispetto alla costruzione dell’Europa unita, così come quelle indirette per commercio ed economia, ma, insomma, non riusciamo a vedere un solo motivo strutturale che collegherebbe una cosa all’altra. I trattati istitutivi non condizionano una cosa all’altra e, anche da un punto di vista di fatto, non si capisce perché una cosa farebbe venir meno l’altra. Personalmente sono ostile all’Euro e favorevole alla libertà di movimento, dunque non intervengo nel merito di cosa sia preferibile, mi limito ad osservare la mancanza di nesso logico fra le due cose, ma, soprattutto, indico l’assoluta tranquillità con cui si parla della fine dell’Euro come di cosa possibile ed in tempi brevi.
All’improvviso, la cosa è diventata fattibile, i disastri economici paventati non li evoca più nessuno. Delle due l’una: o si tratta solo di sparate propagandistiche per far recedere quanti pensano a chiudere le frontiere, o davvero qualcuno sta pensando a costruire la sua uscita dall’Euro ed usa quello che è un risibile pretesto. Ma se è vera la seconda ipotesi, l’indiziato principale non può essere che la Germania che, sentendo aria di crisi globale, non vuole arrivarci zavorrata da troppi paesi con un alto debito pubblico. Ma non disdegna, nel frattempo, di fare man bassa dei beni degli alleati.
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