di Giovanni Pagani
Mentre il processo di
riunificazione libica definito nella città marocchina di Skhirat subisce
l’ennesimo rallentamento, è proprio dal Marocco che potrebbero giungere
nuovi rinforzi per Daesh in Libia. A dare l’allarme sono le autorità
algerine, le quali hanno chiesto maggiore chiarezza a Rabat a seguito di
un insolito flusso di marocchini in transito verso Tripoli via Algeri.
Nella notte di sabato 23 gennaio, circa 270 marocchini provenienti da
Casablanca sono stati fermati all’aeroporto Houari-Boumedienne mentre
erano in attesa della coincidenza per Tripoli. Le autorità
algerine, allarmate dal fatto che molti dei viaggiatori fermati non si
trovavano in possesso di regolari documenti di residenza in Libia, hanno
preferito impedire loro il transito, sospettando che si trattasse di
foreign fighters pronti ad unirsi alle fila di Daesh.
L’episodio – contornato da poca chiarezza a causa delle già fredde
relazioni diplomatiche tra Rabat e Algeri – è stato infine risolto con
un incontro tra l’ambasciatore marocchino e il ministro degli Esteri
algerino, Abdelkader Messahel.
Quest’ultimo – come riportato domenica dal quotidiano locale L’Expression
– ha infine dichiarato che i viaggiatori con regolare permesso di
soggiorno o lavoro sarebbero stati fatti transitare in Libia in via
eccezionale, mentre gli altri sarebbero stati rimpatriati. In altre
parole, al di fuori di questo singolo frangente, nessun marocchino potrà più entrare in Libia attraverso l’Algeria.
Il collegamento aereo tra Marocco e Libia è interrotto dal febbraio
del 2015, quando Rabat decise di proibire l’accesso agli aerei libici,
dopo che la propria compagnia di bandiera, Royal Air Maroc, aveva già
sospeso i voli su Tripoli nel luglio precedente. Fino a domenica 24
gennaio, i marocchini con un lavoro in Libia erano quindi costretti a
fare scalo in Algeria; ma il rafforzamento della presenza di
Daesh sul territorio libico, unito al sensibile aumento di marocchini
diretti in Libia denunciato da Algeri nelle scorse settimane, ha portato
quest’ultima a interrompere la rotta per motivi di sicurezza nazionale.
A prescindere dall’isolato caso diplomatico verificatosi tra Rabat e
Algeri, i timori delle autorità algerine potrebbero fondatamente
segnalare l’emergenza di un nuovo flusso di foreign fighters in uscita
dal Marocco; oltre a confermare la Libia come ‘destinazione
emergente’ del jihad internazionale.
Il fenomeno dei combattenti marocchini in Siria segue esattamente la
parabola e le tempistiche vissute da altri paesi arabi ed europei.
Dall’inizio del 2011 all’estate del 2014 – quando fu proclamato il
“califfato” di Abu Bakr al-Baghdadi – Rabat, al fianco di molte
potenze europee e arabo-sunnite, aveva deliberatamente dichiarato il
proprio appoggio ai ribelli siriani, dando tacita approvazione ai
giovani jihadisti che decidevano di lasciare il paese per combattere
Assad. Ma l’affermarsi di Daesh in Siria, Iraq e Libia,
accompagnato dal nuovo ciclo di attentati che ha investito Europa e
mondo arabo negli ultimi mesi, ha portato le autorità marocchine ad
agire con rinnovata durezza nei confronti di coloro che dimostravano
tendenze al radicalismo islamico o che tentavano di unirsi alle fila del
terrorismo internazionale. La nuova norma sulla sicurezza nazionale –
una versione aggiornata della legge anti-terrorismo promossa
all’indomani degli attentati di Casablanca (2003) – si inserisce in
questo quadro e non è stata esente da critiche da parte di varie Ong,
per le limitazioni delle libertà personali e dei diritti umani che essa
ha comportato.
Le ragioni che spingono sempre più giovani dalle periferie di
Casablanca, Tangeri e Tetouan a rispondere alla chiamata di Daesh si
possono ricondurre allo stesso senso di emarginazione e ingiustizia
sociale che porta migliaia di tunisini a seguire il medesimo percorso
ogni mese. Inoltre, il Marocco non è estraneo al radicalismo
salafita di matrice jihadista, che aveva già portato molti giovani in
Iraq dopo l’invasione del 2003 e che continua a fornire un fertile
terreno ideologico per la retorica di Daesh.
Secondo dati ufficiali pubblicati lo scorso ottobre, sarebbero
infatti 1500 i marocchini già reclutati dallo Stato Islamico, 2500 se
si calcolano anche quelli con cittadinanza europea. Il Marocco, si
colloca dunque al secondo posto in Nord Africa, dopo la Tunisia, per il
numero di giovani che hanno sposato la causa di Daesh; mentre
come dimostrano i recenti timori di Algeri, un crescente numero tra
questi sembra sempre più attratto dall’opzione libica.
Il progressivo sgretolamento dell’entità statale libica dall’estate
2014, unito alla contingente concentrazione in Siria ed Iraq dei
maggiori sforzi internazionali contro lo Stato Islamico, ha infatti
creato le condizioni ideali affinché la Libia diventasse ‘meta
emergente’ del terrorismo islamico. La presenza di due governi insediati
agli estremi geografici del paese ed entrambi impossibilitati a
esercitare alcun tipo di sovranità territoriale su di esso, ha fatto sì
che si venisse a creare un ampio vuoto governativo nella regione
centrale, in prossimità di Sirte.
Qui, città natale di Muammar Gheddafi, il format jihadista promosso
da Daesh ha attecchito rapidamente su alcuni milizie locali, alle quali
si sono aggiunti sempre più volontari dall’area sub-Sahariana e dai
vicini paesi del Nord Africa. A quasi un anno dalla decapitazione di 21
lavoratori copti, ‘manifesto’ videografico di Daesh in Libia, si può
affermare che quest’ultimo abbia affondato radici stabili nell’area,
aiutato anche dalla complicità di una comunità internazionale disattenta
e frammentata.
In questo quadro, la Libia aveva fino a ieri rappresentato
una meta di passaggio, dove i foreign fighters in arrivo dai paesi
limitrofi erano indottrinati e addestrati prima di recarsi in Siria
attraverso la Turchia. Tuttavia, l’aumento dei controlli lungo
la frontiera turco-siriana e la crescente disponibilità di volontari,
proprio dalla Tunisia e dal Marocco, sembrano aver reso Sirte destinazione sempre più finale nelle nuove rotte del jihad.
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