di Michele Giorgio – Il manifesto
Un approccio troppo
orientalista potrebbe spingere a considerare il clamoroso accordo tra i
due principali leader cristiani libanesi, Samir Geagea e Michel Aoun,
nemici giurati da 30 anni, l’ennesimo esempio delle incongruenze del
Paese dei cedri e di un Medio Oriente sempre ai limiti della surrealtà.
Piuttosto l’esito dell’incontro del 18 gennaio a Maarab – volto a dare
al Libano un nuovo presidente dopo 20 mesi di vuoto istituzionale – tra
Geagea, capo delle Forze Libanesi (destra filo-occidentale e
anti-Assad), e Aoun, leader della Corrente dei liberi patrioti
(nazionalisti alleati del movimento sciita Hezbollah), è fondato su
ragioni politiche concrete, dentro e fuori il Libano. A cominciare dalle
forti ambizioni dei due esponenti cristiani, rimaste paralizzate per 11
anni dopo la frattura netta, devastante, tra filo-occidentali e
filo-siriani emersa in seguito all’assassinio a Beirut nel 2005 dell’ex
primo ministro Rafiq Hariri. Passando per la rivalità tra Qatar e Arabia Saudita. Fino alla realpolitik di Barack Obama, sponsor principale
dell’accordo internazionale sul nucleare iraniano che sta spostando
parte degli equilibri in Medio Oriente.
Certo in Libano (e non solo) tanti sono rimasti a bocca aperta quando
hanno appreso che Geagea appoggerà la candidatura di Aoun alla
presidenza. Così come erano rimasti senza parole quando alla fine
dell’anno scorso, il leader sunnita ed ex premier Saad Hariri (figlio di
Rafik Hariri) aveva annunciato il suo appoggio, per la carica di capo
dello stato, a Suleiman Frangieh, amico stretto del suo odiato nemico
Bashar Assad. Aoun e Geagea si sono combattuti per 30 anni. Alla
fine degli anni Ottanta, nell’ultima fase della guerra civile libanese,
Geagea attaccò Aoun (all’epoca comandante delle forze armate) che in
quelle fasi, a differenza di oggi, si opponeva all’ingerenza siriana in
Libano. I due parlarono a suon di cannonate. Aoun nel 1990 fu sconfitto e
costretto all’esilio. Geagea quattro anni dopo fu arrestato e
incarcerato per crimini di guerra. Tanti anni dopo, con ruoli
capovolti, i due si sono di nuovo scontrati dopo la liberazione di
Geagea (seguita al ritiro militare siriano dal Libano il 26 aprile 2005)
e il rientro a Beirut il 7 maggio dello stesso anno di Aoun.
Geagea da allora è stato parte del Fronte 14 Marzo e alleato dei sunniti
di Saad Hariri. Aoun, il più popolare dei leader cristiani libanesi,
con la firma del memorandum d’intesa con Hezbollah nel 2006, è diventato
un partner decisivo del movimento sciita guidato da Hassan Nasrallah. Infine
dal 2014 sono stati divisi proprio dalla questione della presidenza,
che la spartizione settaria libanese assegna a un cristiano maronita.
Infine è giunta la svolta clamorosa dell’accordo di inizio settimana.
Secondo un’analisi del quadro interno libanese, Geagea, è stato
infastidito dall’iniziativa presa, senza consultarlo, dal suo alleato
Hariri di indicare per la presidenza Suleiman Frangieh. Più di
questo ha pesato la conclusione raggiunta dal leader delle Forze
Libanesi di non poter mai superare il consenso che raccoglie Aoun tra i
cristiani. Ed inoltre spalancare la strada della presidenza al
suo (ex) nemico adesso, vuol dire tenerla aperta anche per le sue
ambizioni al termine del mandato di Aoun. Una prospettiva che ha qualche
possibilità di concretizzarsi sebbene in politica, specialmente in
Libano, è sempre un rischio fare piani a lunga scadenza. Anche il quadro
regionale ha avuto il suo ruolo. Il Qatar, che ha subito applaudito
alla riconciliazione tra Geagea e Aoun, salutandola come la soluzione
che darà un nuovo presidente al Libano, ha esercitato forti pressioni
sull’alleato Geagea, allo scopo di compensare il sostegno dato dai
“cugini” sauditi all’iniziativa di Saad Hariri. Qualcuno però
crede che, seguendo strade diverse, Riyadh e Doha, in realtà stanno
rimescolando le carte in Libano, prima attraverso Frangieh e ora con
Geagea. Il fine sarebbe quello di smantellare la stretta alleanza tra
Aoun e Hezbollah. Sauditi e qatarioti, si sussurra in giro,
credono che Aoun, una volta nominato presidente, rinuncerà a una parte
delle ragioni che più di 10 anni fa lo spinsero ad allearsi con
Hezbollah e il fronte pro-Siria “8 Marzo”. Per questa ragione il
movimento sciita guarda a questi sviluppi con prudenza, pur
proclamandosi favorevole.
Si deve considerare anche un ruolo americano. Secondo Nasser Qandil, direttore del quotidiano pro-Damasco al-Binaa,
dietro le pressioni del Qatar su Geagea, ci sarebbe proprio
l’Amministrazione Obama desiderosa di lanciare qualche siluro
all’influenza in Libano dei regnati sauditi, alleati che in
questi ultimi 2-3 anni hanno contestato molto la linea degli Stati Uniti
e tentato di impedire l’accordo sul nucleare iraniano. La
riconciliazione tra leader nemici in Libano, spiega Qandil, potrebbe
essere un riflesso della linea americana volta a trovare i compromessi
necessari per un accordo in Siria. Non è detto però che i giochi in
Libano siano già fatti.
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