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16/01/2016

E dopo Istanbul, Giacarta

Almeno un dubbio sulla strage di Istanbul che lo siamo tolti: è stata l’Isis come dimostra la rappresaglia turca su oltre 500 postazioni militari del Califfato. Resta da capire il perché si stia sviluppando questa guerra fra due soggetti che sembravano tanto amici sino a venti giorni fa e resta da capire cosa voglia dire Erdogan quando parla di entità nascoste che stanno dietro la strage. L’attentato di Giacarta ci dà qualche lume sulla logica dell’Isis in questa fase.

In primo luogo, perché l’Indonesia, proprio ai confini del “continente culturale islamico”. Direi proprio per questo: la propaganda dell’Isis sottolinea in questo modo che il suo programma è l’unificazione di tutto il mondo islamico sino alle sue estreme propaggini e senza distinzione fra paesi arabi e non arabi. Peraltro, l’Indonesia è il paese musulmano più popoloso e il “Califfato” non sarebbe completo senza di essa. Questo la propaganda. La politica è una cosa un po’ diversa.

E’ molto poco probabile che l’Isis pensi ad una annessione di parti dell’Indonesia in tempi prevedibili: in quel paese dispone di troppo pochi seguaci, come lo scarso afflusso di foreign fighters indonesiani dimostra. Ha le forze per fare un attentato (peraltro non riuscitissimo, quel che fa pensare ad attentatori addestrati alla bell’e meglio) ma non molto di più. Quindi, dichiarare provincia del Califfato anche Giacarta è solo propaganda.

Sul piano politico, il messaggio va letto diversamente: già con Parigi, poi in Libia ed Istanbul, l’Isis aveva iniziato a proiettare la sua azione fuori dai confini del “Sunnistan”(le province sunnite di Siria, Iraq, Libano e Giordania)  ma si poteva pensare a rappresaglie contro la Francia per i bombardamenti, in Libia per difendere Derna, in Turchia per qualche sgarbo ricevuto. Ora, con Giacarta  l’Isis ci fa sapere che è guerra totale, che può colpire e colpirà in qualsiasi parte del Mondo, senza bisogno che ci sia un motivo particolare.

E ci fa sapere che, a differenza di Al Qaeda che faceva un attentato ogni tanto, l’Isis segue la tattica dell’attacco a “sciame” per la quale dobbiamo abituarci ad una raffica continua.

Di questo salto di qualità e della gravità che esso comporta, non pare che ci sia alcuna percezione, a giudicare dalla lettura dei giornali: stamattina Il Corriere on line dava la notizia come sesta, dopo la politica interna, il solito caso di cronaca nera, il probabile Oscar a Di Caprio, mentre la Repubblica come quattordicesima. E questo, naturalmente si riflette nelle convinzioni della gente che pensa che, in fondo, un attentato in paesi “selvaggi” comne la Turchia o l’Indonesia (cosa volete?) è cosa normale, e che la cosa è grave solo se si verifica in un posto “civile” come Parigi, Londra o New York.

Lasciamo perdere le considerazioni di ordine etico, per cui i morti non pesano tutti allo stesso modo ma proporzionalmente a quanto sia scura l’epidermide, ma facciamo un ragionamento solo politico: qui non si sta capendo che Bruxelles o Giacarta, Istambul o la Nigeria, Derna o Parigi, Baghdad o Copenaghen c’è un solo conflitto in corso e contano tutte le battaglie.
E l’Isis è un avversario molto temibile, ben di più di Al Quaeda.

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