La disinformazione dei servizi di intelligence diventa sempre più sofisticata. Non c'è da stupirsene, visti i mezzi e le conoscenze di cui dispongono. Ma c'è sempre un filo che consente di distinguere il vero dell'inventato.
Nel caso dell'omicidio con tortura di Giulio Regeni, passato il momento dell'emozione e dell'indignazione, ora la palla è per intero nelle mani dell'intelligence italiana e egiziana. Paesi “alleati”, partner commerciali, con grossi contratti appena firmati, che non possono essere certo rimessi in discussione per pretendere una verità sull'omicidio che coinvolga direttamente pezzi grossi dei servizi segreti interni egiziani.
Questo è quel che si sono detti ai vertici dei rispettivi governi. Questo è quello che stanno facendo, di comune accordo, gli sherpa della disinformazione da entrambe le sponde del Mediterraneo.
Giulio è stato torturato con le modalità classiche delle polizie mediorientali (non che le nostre ci vadano più leggere, ma c'è sempre qualcuno più feroce...), poliziotti erano andati nel suo appartamento in precedenza, poliziotti in borghese l'hanno fermato per strada e portato via.
Non c'è insomma alcun dubbio su chi sia stato, sul piano politico e operativo. Mancano i nomi, ma nel mondo delle polizie segrete non è questa la cosa importante.
Come si fa a coprire di cortine fumogene questa “certezza solare”? Il tempo aiuta, nel senso che l'attenzione dell'opinione pubblica – soprattutto quella progressista; ai governativi e ai fasci non gliene può fregare di meno di un ricercatore sinistrorso interessato ai movimenti sindacali di opposizione a un regime dittatoriale ma “amico” – tende naturalmente a essere distratta da nuove notizie, nuovi scandali, nuove tragedie.
Ma non basta. Occorre anche far distogliere quel tanto di attenzione residua, carsica, che si ripresenterebbe immancabilmente a scadenze quasi regolari. Occorre rendere Giulio “poco interessante” come oggetto di indignazione e volontà di sapere.
Nulla di meglio, dunque, che far circolare voci – incontrollabili, per definizione – che lo dipingono come un quasi-agente segreto. In fondo, nelle università italiane (come in quelle inglesi, americane, tedesche, ecc), i servizi di intelligence si presentano pubblicamente come una possibilità di carriera, sicuramente molto più sicura delle incertezze del “libero mercato”. Non sarebbe dunque impossibile che un brillante studente italiano abbia colto una simile opportunità, andando per di più a lavorare all'estero.
Ci sono però i fatti, che sono cosa assai diversa dalle pure congetture. E i fatti sono che Italia ed Egitto sono due paesi alleati, le cui rispettive intelligence collaborano insieme da decine di anni, tanto che “i nostri” servizi segreti, su ordine di quelli Usa, hanno per esempio catturato Abu Omar spendendolo proprio in Egitto affinché fosse adeguatamente torturato.
Questa collaborazione storica non esclude naturalmente né sgambetti, né spiate reciproche, su segreti militari o industriali, ecc. Ma tra intelligence alleate – e persino tra intelligence nemiche – esistono regole certe: i rispettivi agenti, “colti in flagrante” nel fare qualcosa che il paese ospite considera un danno, vengono espulsi, senza alcun clamore né segnalazione alla stampa. Riconsegnati belli, puliti e intatti al paese di provenienza.
Ci possono essere “incidenti”, casi in cui il riconoscimento di un agente “quasi amico” avviene troppo tardi, dopo che magari le armi sono già entrate in azione. È accaduto con Nicola Calipari in Iraq, per esempio, ucciso da soldatini Usa a un posto di blocco sulla strada per l'aeroporto di Baghdad. Da soldatini ignoranti e impauriti in mezzo a una strada, nel buio; non da super-agenti dei servizi in una sala attrezzata.
Ci possono insomma anche essere agenti "quasi amici" uccisi, più o meno per errore. Ma non li si tortura. Anche nell'ipotesi – improbabile – che l'intelligence del paese ospite non conosca la vera identità di un agente “quasi amico” e che quindi lo porti in una caserma per interrogarlo, la prima cosa che il catturato farà sarà quella di farsi riconoscere, secondo le procedure convenute tra i due “servizi”.
Poi c'è il mondo dei “dietrologi” di professione e quello, immenso, dei coglioni dietrologizzati. In questo mondo – che è ampiamente manipolato proprio dai servizi di intelligence – basta gettare un piccolo input per mettere in moto una tempesta di parole e sospetti. Questo mondo si è messo in moto da subito, prima sparando bufale su Internet, poi anche su qualche giornale di regime. Agenti di Al Sisi e Renzi, in servizio permanente effettivo, qualsiasi firma appongano.
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