Il consiglio della presidenza del governo di unità nazionale libico ha
messo sul tavolo una nuova proposta di esecutivo: dopo la bocciatura del
parlamento di Tobruk (sostenuto dall’Occidente) che il 25 gennaio ha
negato la fiducia al governo del premier designato Fayez al-Sarraj, ci
si riprova.
Il governo di unità tra i due parlamenti, Tripoli e Tobruk, nasce
dall’accordo siglato a dicembre in Marocco sotto l’egida Onu. Ma
quell’accordo rispecchia la stessa instabilità che soffoca la Libia dal
2011, quando la Nato lanciò un’operazione militare che destituì il
colonnello Gheddafi. Il mese scorso a muovere le proteste di
Tobruk era stata l’esclusione dalla lista dei ministri del generale
Khalifa Haftar, punto di riferimento militare dell’Egitto e della Cia,
tra i leader della rivolta anti-Gheddafi e ideatore dell’operazione
“Dignità” contro gli islamisti di Tripoli. Nel marzo 2015 è stato nominato capo dell’esercito del governo di Tobruk.
Anche stavolta, però, Haftar è stato tagliato fuori. A capo
dell’esercito, secondo l’articolo 8 dell’accordo marocchino, viene posto
lo stesso premier al-Sarraj. Secondo la proposta mossa ieri
sera e che dovrà essere votata entro la settimana, il numero di ministri
dell’esecutivo di unità sono stati dimezzati: saranno 13 (tra cui tre
donne) e i segretari di Stato 5. Per ora i nomi non sono stati resi
noti: di certo ci sono solo Mahdi al-Barghati alla Difesa, l’unico
riconfermato rispetto alla prima proposta, e l’assenza di Haftar.
Le prime reazioni sono però già arrivate: sulla pagina
Facebook del Consiglio presidenziale è stato pubblicato un documento che
riporta della mancata firma di due dei suoi nove membri alla proposta
di esecutivo. Una proposta che traballa già seppure secondo
al-Sarraj si basava su ragioni di “esperienza, competenza, distribuzione
geografica, spettro politico e componenti della società libica”.
Difficile immaginare che stavolta la proposta passi, le distanze tra i
due parlamenti restano ampie. Una divisione a cui si aggiungono le
miriadi di poteri anti-sistemici e di autorità parallele, che avevamo
analizzato in un recente articolo di Francesca La Bella.
A voler risolvere la spinosa questione del governo di unità è
soprattutto l’Occidente che punta ad un esecutivo che dia il via libera
ad un intervento militare internazionale nel paese. Che la
guerra pesi come una spada di Damocle sulla Libia non è una novità:
Londra, Parigi e Washington hanno già truppe sul terreno e Roma ha
inviato i suoi caccia all’aeroporto di Trapani per monitorare la
situazione. Il primo obiettivo è mettere in sicurezza i pozzi
di petrolio dall’avanzata dello Stato Islamico, chiaro riferimento agli
interessi energetici intorno al martoriato paese nordafricano.
Ma un’operazione militare scoperchierebbe un vaso di Pandora, già
esploso: “Un secondo intervento internazionale in Libia incontrerebbe
numerosi ostacoli – scrive Kamel Abdallah su Al Ahram Weekly – Primo,
l’assenza di forze libiche affidabili sul terreno, mancanza dovuta al
secondo ostacolo che è la difficoltà a differenziare tra moderati e
estremisti. Il terzo ostacolo è la corruzione crescente del governo, che ha eroso l’efficacia dell’establishment militare e di sicurezza del paese”.
A ciò, spiega Abdallah, si aggiungono le divergenze degli alleati
occidentali in merito all’operazione militare: Egitto e Algeria vogliono
essere parte della soluzione, ma se Il Cairo vede l’intervento come un mezzo
per ritagliarsi un ruolo di primo piano, Algeri frena.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento