di Roberto Prinzi
E’ arrivato ieri sera a Damasco l’inviato speciale dell’Onu in Siria, Staffan de Mistura,
nel tentativo (disperato) di implementare il cessate il fuoco
concordato a Monaco lo scorso venerdì. Oggi incontrerà il ministro degli
esteri siriano, Walid al-Mu’allem, con cui discuterà della necessità di
fermare i combattimenti entro sette giorni, di aprire corridoi
umanitari nelle aree sotto assedio e della possibilità di riprendere gli
“incontri di pace” tra Damasco e le opposizioni miseramente falliti a
inizio mese a Ginevra. Al di là di ogni pia illusione, la missione di de Mistura è impossibile:
i raid aerei siriani e russi continuano a mietere vittime (ieri il
regime e Mosca sono stati accusati dai ribelli di aver ucciso 50 civili
nel nord del Paese in attacchi contro scuole e ospedali), la divisa
opposizione “moderata” continua a combattere il regime nella provincia
di Aleppo nel tentativo (vano) di frenare l’esercito di Damasco che
avanza favorito dai raid di Mosca. Accanto a questi due attori
“siriani”, vi è poi la Turchia che da sabato attacca i curdi al di là
del confine che la divide con la Siria. Senza dimenticare, infine, forze
come i qa’edisti di an-Nusra e l’autoproclamato “Stato islamico” (Is)
le quali, completamente sorde a qualsiasi richiamo degli organismi
internazionali, continuano indisturbate la loro campagna bellica.
Non bastassero già tutti questi dati a far desistere De Mistura dai suoi propositi, a
ribadirgli l’inutilità della sua visita ci ha poi pensato ieri al-Asad.
Intervistato dalla tv di stato siriana, il presidente ha espresso
infatti forti dubbi che un cessate il fuoco possa avere luogo a breve
nel Paese. “Anche se dovessero fermarsi i combattimenti – ha
detto – ciò non vuol dire che le parti belligeranti smetteranno di usare
le armi”. “Il cessate il fuoco – ha aggiunto – vuol dire in primo luogo
fermare il rafforzamento dei terroristi. Noi non permetteremo né il
loro movimento, né il passaggio di armi”. E’ bene precisare che Damasco con il termine “terroristi” intende non sono solo an-Nusra e Is,
ma tutti i gruppi di opposizione sostenuti dai Paesi del Golfo, Turchia
e governi occidentali. Al-Asad è stato chiarissimo: “non ci può essere
un cessate il fuoco senza un obbiettivo o una scadenza temporale. Lo
vogliono entro una settimana? Ma chi è capace di rispettare queste
condizioni in una settimana? Nessuno”.
Di sicuro non saranno il regime né il suo alleato russo a calmare le acque.
Ieri Damasco e Mosca sono state accusate dai ribelli siriani di aver
colpito 2 scuole e 5 ospedali nel nord della Siria uccidendo 50 civili
(più di 100 i feriti). Il condizionale è, però, ancora d’obbligo: sia
Usa, Onu e Unione Europea non riescono tuttora a individuare un
responsabile. Attacchi ad ogni modo brutali che costituiscono
per il Segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon una “chiara violazione
della legge internazionale”. “Crimini di guerra” li ha definiti invece
la Turchia. “Sono raid disumani e immorali – ha denunciato in
una nota il ministro degli esteri turco – la Federazione russa sta
aggravando la guerra civile siriana così come sta provocando una
pericolosa escalation nella regione”. Sulla stessa lunghezza d’onda la
Francia con il neo-ministro degli esteri Jean-Marc Ayrault.
Ma la mattanza di civili ad ‘Azzaz e Maarat al-Numan
(cittadina tra Aleppo e Hama) è menzionata dalle forze anti al-Asad solo
perché è un buon pretesto per attaccare Damasco e, in un clima di
rinnovata guerra fredda, Mosca. Le dichiarazioni di Washington,
a tal proposito, sono emblematiche. Nonostante non abbia ufficialmente
identificato il responsabile dei massacri di ieri, il Dipartimento di
Stato ha colto l’occasione al volo per attaccare il Cremlino e la sua
“mancanza di volontà o incapacità di porre fine alla costante brutalità
del regime di al-Asad contro il suo popolo”. Ovviamente la ramanzina
statunitense vale solo quando ad attaccare sono i “nemici”. Nelle stanze
del potere Usa l’aggressione turca contro i curdi siriani è stata
appena sussurata. Nessuno si è premurato (almeno ufficialmente) di
invitare alla calma l’alleato turco Ahmet Davutoglu che ieri ha promesso
una “reazione più dura” contro le forze curde se queste dovessero
conquistare la località strategica di ‘Azaz al confine siro-turco. Di
fronte alle minacce di Ankara, gli Usa hanno fatto orecchie da mercante
giocando la carta dell’equidistanza: “è importante che i russi e i
turchi si parlino direttamente e prendano insieme misure che impediscano
qualunque deterioramento della situazione” ha detto al’Afp un ufficiale
del Dipartimento di Stato.
La Turchia, intanto, appare sempre più preoccupata per quello
che succede nel nord della Siria dove le formazioni combattenti curde,
approfittando dei raid aerei di Mosca, avanzano. Ieri le forze
di “Unità di protezione popolare” (Ypg) hanno conquistato la cittadina
di Tal Rifa’at (tra Aleppo e ‘Azaz al confine turco) strappandola al
controllo dei ribelli. Una notizia che non avrà fatto piacere ad Ankara
che, da sabato, bombarda le postazioni curde presenti nell’area
nell’indifferenza dell’Unione Europea e tra le flebili proteste degli
Usa. Eppure qualcuno dovrebbe ricordare di tanto in tanto agli americani
che i curdi sono gli unici alleati affidabili che hanno nella guerra ai
jihadisti dell’Is. L’equilibrismo americano sfiora spesso il ridicolo:
da una lato si è con i curdi (unici seri “boots on the ground”),
dall’altro lato, però, si cerca di non infastidire troppo l’alleato
turco della Nato. E’ all’interno di questo atteggiamento bipolare che si
deve leggere l’invito di ieri degli statunitensi ai curdi a non
guadagnare altro territorio. Anche se fosse a danno dell’Is? E’ una
domanda che, a questo punto, è più che legittima.
Ma l’atteggiamento ambiguo di Washington è forse la cartina
al tornasole del grande disastro in corso in Siria da cinque anni: tanti
attori ambiziosi con la propria agenda di sogni da realizzare,
impegnati in una personalissima partita a scacchi geopolitica dove a
vincere è però, finora, solo la morte e la distruzione. Ieri,
intanto, un bel regalo per il presidente turco Erdogan è arrivato da
Berlino. Intervistata dal quotidiano Stuttgarter Zeitung, la Cancelliera
Argela Merkel si è detta favorevole ad una no-fly zone su alcune parti
della Siria perché, una sua istituzione, “allevierebbe la situazione dei
siriani sfollati”. “Nella situazione attuale – ha detto Merkel –
sarebbe utile se ci fosse un’area del genere dove nessuno potrebbe
lanciare attacchi aerei”. Quello della no-fly zone è un cavallo di
battaglia del premier turco Davoutoglu. Ufficialmente per ospitare i
rifugiati siriani (stimati in 2.2 milioni in Turchia). Ufficiosamente
per impedire ai “terroristi” curdi siriani di realizzare il loro sogno
di creare un governo autonomo nel nord della Siria.
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