di Francesca La Bella
Fin dai primi mesi della rivolta siriana contro il Governo di Bashar al Assad è risultato evidente il ruolo centrale che sarebbe stato ricoperto dalla componente curda all’interno della Siria. La capacità di mantenere un significativo controllo territoriale nonostante gli attacchi incrociati di milizie ribelli, Governo ed altre entità internazionali, come la Turchia, ha dimostrato che la variabile curda avrebbe avuto un peso sostanziale nel determinare le sorti della guerra in atto. Ad oggi, dopo gli attacchi turchi alle postazioni delle milizie curde nel nord della Siria, appare fondamentale analizzare le scelte del PYD (Partito dell’Unione Democratica) e dei gruppi militari facenti riferimento al partito curdo per provare a comprendere la possibile evoluzione della situazione nell’area.
Se, inizialmente, il posizionamento dei curdi-siriani poteva essere assimilato a quello di altre milizie ribelli ed alleanze erano state strette sia con parti dell’Esercito Libero Siriano (ESL) sia con alcuni gruppi minori, il rafforzamento dei gruppi islamisti come Jabhat al Nusra e lo Stato Islamico, oltre alle irrisolte problematiche con Ankara, hanno indotto un avvicinamento al Governo. Evidenze empiriche di questa vicinanza possono essere considerate le dichiarazioni di Assad che, negli ultimi mesi dello scorso anno, ha più volte affrontato la questione del destino del nord della Siria e la propria alleanza con le forze curde. L’apertura verso una possibile autonomia, all’interno dei confini di uno stato nazionale che mantenesse la propria integrità, e l’aver ammesso l’armamento delle milizie YPG in funzione anti-IS sono stati, in tale contesto, passaggi estremamente significativi sia per il mantenimento delle attuali relazioni sia per la costruzione delle premesse della futura Siria. Allo stesso modo, le dichiarazioni del Ministro russo Sergej Viktorovic Lavrov, secondo le quali Mosca si sarebbe impegnata al sostegno delle milizie curde previa approvazione e mediazione del Governo siriano, sembrano dipingere un quadro di solida alleanza tra le due forze.
La realtà, però, potrebbe essere ben più articolata di come appare e la geometria variabile delle forze in campo e delle relazioni tra di esse, restituisce un’immagine meno lineare e altamente differenziata a seconda del contesto territoriale e delle fasi belliche. La dichiarazione che, probabilmente, meglio descrive la strategia messa in campo dalle forze curde siriane è quella rilasciata ad agosto 2014 da Redur Khalil, portavoce delle YPG durante gli scontri ad Hasakah. Il comandante curdo, infatti, per spiegare la presenza di forze governative nell’azione di contenimento e respingimento dello Stato Islamico, dichiarò che l’YPG avrebbe collaborato con chiunque per espellere gli estremisti dalle proprie aree nel nord-est della Siria. Per quanto datata, questa affermazione ci permette di leggere sotto una diversa luce molte delle alleanze e delle scelte strategiche fatte negli anni dai curdi siriani.
Nonostante sul campo di battaglia ci sia stata, in molte occasioni, una convergenza nelle azioni di curdi-siriani e Governo centrale, come nel caso dell’avanzata su Aleppo, gli obiettivi paralleli ed, a volte, confliggenti, dei soggetti coinvolti, hanno determinato diverse strategie di intervento e scontri, anche armati, tra le due parti. E’ di fine gennaio, ad esempio, la notizia del bombardamento da parte delle forze YPG di un blocco di sicurezza delle forze fedeli al presidente Assad ad Aleppo in risposta ad attacchi aerei del Governo che hanno colpito il quartiere curdo di Sheikh Maqsoud ad Aleppo.
Anche da parte del Governo, però, la posizione assunta rispetto alla questione curda risulta ambigua. Nonostante le numerose aperture nei confronti della forza che maggiormente è riuscita a contrastare l’avanzata delle compagini jihadiste nei territori di sua competenza, le dichiarazioni rilasciate da Sharif Shahada, membro del Governo Assad durante una sua visita ad Erbil a fine dicembre, sembrano indicare che all’alleanza strategica sul campo di battaglia non corrisponderebbe una politica comune per la costruzione della futura Siria. Interrogato sui rapporti tra Damasco e le forze curde, Shahada avrebbe, infatti, affermato che alle forze politiche di PYD siriano e PKK turco (Partito curdo dei lavoratori) non verrà concessa agibilità nel Paese qualora si dovesse raggiungere un nuovo equilibrio e la pace. Secondo il Ministro, infatti, la collaborazione bellica tra le diverse forze non significherebbe né la rinuncia all’integrità territoriale a favore di uno Stato curdo né la cessione delle prerogative proprie del Governo centrale ad altre realtà territoriali. Se da un lato, dunque, le scelte di Damasco appaiono motivate dalla volontà di decentrare la difesa territoriale, delegando ad altre forze, territorialmente ben radicate, l’opera di contenimento delle forze islamiste, dall’altro il Governo non intende perdere il proprio controllo esclusivo sulle operazioni e sulle possibili evoluzioni della questione.
Per quanto riguarda le forze curde, invece, le scelte strategiche sul campo e le alleanze strette sembrano dipendere sia da condizioni contingenti sia da progettualità di più lungo periodo. Nella situazione attuale, i curdi siriani mantengono il controllo di un area priva di continuità territoriale, stretta tra le forze dello Stato Islamico e dell’esercito turco e, in molti frangenti, a causa della chiusura sia del confine turco sia del confine iracheno, privata di canali di esodo per i profughi e di ingresso per merci, armi e persone. In questa condizione, l’alleanza con il Governo centrale risulta funzionale per il rafforzamento del fronte di difesa. Nel lungo periodo, invece, le scelte del PYD continuano a sembrare guidate dalla volontà di porsi come forza legittima all’interno del futuro panorama siriano sia grazie alle vittorie conquistate sul campo sia, soprattutto, grazie all’amministrazione efficace dei territori sotto il proprio controllo.
Se la guerra dovesse finire e il nemico comune dovesse essere sconfitto, le differenze potrebbero riaffiorare con forza, aprendo ad una difficile fase di trattativa che potrebbe non limitarsi all’ambito politico, sfociando, infine, in quello militare.
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