di Giovanni Pagani
Se Abdel Fattah al-Sisi
fosse nato ad Ankara invece che al Cairo, rappresenterebbe probabilmente
tutto ciò che un presidente come Erdogan dovrebbe temere. Un uomo forte
e politicamente cresciuto nei corridoi del potere militare, pronto a
sfruttare il dissenso popolare per deporre un presidente islamista,
incarcerarlo, condannarlo a morte, mettere fuori legge il suo movimento
politico e infine prenderne il posto. Il tutto in nome della ‘stabilità
del paese’. Al contrario, se Reçep Tayyip Erdogan fosse stato figlio di
un membro della Guardia Costiera egiziana, e non turca, ma avesse
ugualmente percorso la strada dell’Islam politico con il medesimo
successo, forse oggi sarebbe l’uomo che l’ex generale al-Sisi vuole
mandare a morte.
Tuttavia, dopo quasi tre anni di gelo diplomatico tra i due
paesi, qualcosa potrebbe presto cambiare e uno scenario di
collaborazione tra Egitto e Turchia potrebbe non appartenere più
soltanto al passato. Erdogan e al-Sisi hanno certamente poche
affinità. Uno è tra i maggiori sostenitori della Fratellanza Musulmana,
l’altro ne è l’acerrimo nemico; uno è paranoico riguardo alla minaccia
rappresentata dai propri generali, l’altro è un ex-generale che ne ha
concretizzato la minaccia nel proprio paese; uno è tra i primi
finanziatori dei ribelli siriani, l’altro sembra comprendere il loro
odiato presidente. Ma tralasciando queste divergenze, il
presidente turco e il suo omologo egiziano qualcosa in comune sembrano
averlo e non si tratta solo di una condivisa antipatia per i giornalisti
scomodi, bensì di un alleato con capitale a Riyadh, al quale entrambi
sono inevitabilmente sempre più legati.
In altre parole, mentre la regione si polarizza sull’onda di una
guerra per procura tra Arabia Saudita e Iran, Egitto e Turchia si
trovano dalla stessa parte della storia. E a dispetto d’identità e
passati diversi, oltre ad analoghe ambizioni egemoniche, il fatto che
entrambi abbiano una popolazione omogeneamente sunnita e nessuna
minoranza sciita sulla quale Tehran possa far leva, li fa rientrare
automaticamente nell’orbita di Re Salman. Mentre l’Egitto dipende infatti dagli aiuti economici sauditi per tenere a galla la propria economia – soprattutto dopo che la minaccia terroristica ha dato il colpo di grazia al turismo –, Ankara punta tutto sull’alleanza con Riyadh, al fianco della quale gioca una partita fondamentale in Siria.
Inoltre, come osservato da vari analisti, dopo aver seriamente
compromesso i legami con Mosca e deteriorato i rapporti con Tehran per
il proprio sostegno alla ribellione siriana, Ankara è spaventata
da un isolamento che sembra essere sempre più concreto e starebbe
frettolosamente cercando di ripristinare le relazioni diplomatiche con i
vecchi alleati: Israele ed Egitto in cima alla lista.
Con Israele, il silenzio era iniziato 6 anni fa, quando la Mavi
Marmara – nave turca che trasportava aiuti umanitari destinati alla
Striscia di Gaza – nel maggio 2010 era stata attaccata dall’esercito
israeliano, che aveva ucciso 9 cittadini turchi, membri dell’equipaggio.
Con l’Egitto, i rapporti diplomatici si erano invece interrotti nel
luglio 2013, quando l’ex generale al-Sisi rovesciò il governo
democraticamente eletto di Mohammed Morsi – appoggiato a quel tempo da
Ankara – e ne incarcerò i vertici.
In questo quadro, mentre esponenti del governo Turco hanno già fatto
sapere che un documento di riconciliazione sarà presto firmato con
Israele, il riavvicinamento tra Reçep Tayyip Erdogan e Abdel
Fattah al-Sisi potrebbe invece soffrire di divergenze più profonde;
divergenze che solo la monarchia saudita sarebbe in grado di far
quadrare.
I due nodi principali riguardano soprattutto la politica estera di
Ankara – e il torbido rapporto tra quest’ultima e l’estremismo islamico –
e il pugno duro di al-Sisi nei confronti dei fratelli musulmani.
Erdogan trova infatti inammissibile che la Fratellanza egiziana sia
considerata un movimento terroristico, costretto ad agire nell’ombra e
con buona parte dei propri vertici in carcere. Al contrario, il Cairo
non gradisce la vicinanza di Ankara ad Hamas – costola palestinese dei
Fratelli –, soprattutto dopo che il governo turco ha approfittato del
riavvicinamento con Israele per chiedere la revoca del blocco navale su
Gaza, da dove al-Sisi teme che proprio Hamas possa sostenere i gruppi
armati del Sinai.
Inoltre, l’Egitto ha adottato una linea molto diversa da Turchia e
Arabia Saudita rispetto alla Siria, dove le ultime due sostengono
apertamente i ribelli, nella speranza di deporre Assad, mentre il primo
sarebbe più interessato a combattere Daesh, al fine di colpire
indirettamente il morale dei suoi seguaci in Egitto e Libia. In questo
contesto, è forse possibile che al-Sisi possa mitigare le
proprie posizioni in merito ad alcuni singoli membri della Fratellanza
Musulmana, ma è piuttosto improbabile che un riavvicinamento con Ankara
lo porti ad abbandonare la linea dura nei confronti dell’intero
movimento. La Turchia, da parte sua, potrebbe invece
riconoscere la legittimità politica del governo di al-Sisi e allentare
la presa sul blocco di Gaza – obiettivo più simbolico che strategico –,
ma non rinuncerà mai alla partita siriana, sulla quale si giocano ormai
le intere sorti della politica estera turca.
Intanto, il governo di Ankara ha ufficialmente invitato il presidente
egiziano a Istanbul il prossimo aprile, quando si terrà il summit
annuale dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica, mentre nei
giorni scorsi, alcuni quotidiani turchi hanno reso noto che il
presidente Erdogan sarebbe intenzionato a coinvolgere il Cairo in un
working-group sulla questione libica. Da questa prospettiva, una
ripresa del dialogo tra i due paesi sembrerebbe essere molto più
indispensabile per il fronte turco che per quello egiziano; anche se un
riavvicinamento tra al-Sisi ed Erdogan sarebbe visto soprattutto di buon
grado da Riyadh. Re Salman, che ha recentemente definito
Egitto, Arabia Saudita e Turchia come i tre paesi più importanti della
regione, vede infatti il ricompattamento del fronte sunnita in chiave
anti-iraniana come una priorità assoluta, e sarebbe ben felice di
riallineare tale asse a proprio favore.
Se dunque Erdogan e Al-Sisi non troveranno un accordo, Riyadh
potrebbe decidere d’intervenire, e ricordare il piano di aiuti economici
sauditi da 8 miliardi, firmato con l’Egitto a dicembre, potrebbe già
servire da fluidificante.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento