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01/03/2016

Romero e la teologia dlela liberazione: non chiamatelo marxista

La storia latinoamericana si intreccia con le vite dei tanti sacerdoti che, dai tempi della colonizzazione a oggi, hanno condiviso la sorte delle centinaia di migliaia di indigeni, contadini, operai e militanti sindacali e politici trucidati dai conquistatori prima, dalle milizie private e dalle soldataglie dei regimi militari con la “consulenza” nordamericana poi. Ciò non significa che la Chiesa del subcontinente si sia sempre e univocamente schierata a fianco dei poveri e degli oppressi: accanto ai teologi della Liberazione, e ai religiosi che sono arrivati a impugnare le armi (come fa nella fiction il protagonista del film “Mission”, o come fece nella vita reale Camillo Torres), ci sono quelli che si sono resi complici degli orrori perpetrati dai generali argentini e da Pinochet, così come ci sono gli innumerevoli emuli di Don Abbondio che, per paura o per quieto vivere, si sono tenuti fuori dalla mischia. Ma si può essere cristiani restando “neutrali” in Paesi segnati da contraddizioni e conflitti così radicali?

A giudicare dall’esempio del vescovo salvadoregno Romero, assassinato dagli squadroni della morte mentre celebrava messa nel 1980, e oggi venerato come beato, la risposta non può che essere negativa. Fra le suggestioni che emergono dal suo profilo biografico (“Oscar Arnulfo Romero. Beato fra i poveri”, Edizioni Clichy), curato da Geraldina Colotti (redattrice de "il manifesto”, nonché ex brigatista e autrice di un libro, “Talpe a Caracas”, sulla rivoluzione venezuelana), quella più netta è il rifiuto di ogni atteggiamento di “neutralità” di fronte alla lotta fra oppressi e oppressori. Un punto di vista che Romero ha maturato nell’ultima parte della vita. Già esponente di una Chiesa moderata e critica nei confronti degli “eccessi” della teologia della liberazione, il vescovo imbocca un percorso di “conversione” che giunge a compimento dopo l’assassinio di un suo amico sacerdote da parte degli sgherri del regime salvadoregno. Conversione che lo condurrà a sua volta al martirio perché, da quel momento, non cesserà di denunciare l’ingiustizia con parole che ne decreteranno la condanna a morte.

Basta leggere le citazioni dalle sue omelie nell’ultima parte del libro, per capire perché “dovevano” tappargli la bocca: “Una vera conversione cristiana oggi deve scoprire i meccanismi sociali che rendono un emarginato l’operaio o il contadino”; “Per le persone che non sono disposte a convertirsi la missione della Chiesa è sovversiva”;  “Nessun soldato è tenuto a ubbidire a un ordine contrario alla legge di Dio”; “Quando una dittatura lede gravemente i diritti umani (…) allora la Chiesa parla del legittimo diritto alla violenza insurrezionale”. Ce n’è abbastanza per “giustificare” l’esecuzione, preceduta, come racconta Colotti nella sua ricostruzione, da una campagna sistematica per screditare e isolare Romero in quanto marxista (“Sono gli interessi acquisiti a cercare di far passare per marxista l’azione della Chiesa quando questa ricorda i più elementari diritti dell’uomo”, scriveva il vescovo).

Ma se non era marxista, Romero non simpatizzava almeno con le loro idee? Domanda di assoluta attualità, dopo che l’ultima enciclica di papa Bergoglio gli ha procurato analoghe accuse da parte dei reazionari di tutto il mondo. Ma la risposta è no. Come spiega Colotti, e come le stesse parole di Romero confermano, il vescovo ha sfiorato il limite di una visione rivoluzionaria senza mai oltrepassarlo, perché la sua condanna nei confronti dei potenti non nasce da considerazioni sociologico politiche ma etico religiose: se il cristiano vede un’ingiustizia intollerabile non può tacere, né astenersi dal tentativo di cambiare le cose. Perché il profeta “Deve parlare anche quando sa che non lo ascoltano” e perché sa anche che la parola rimane e “rimarrà nei cuori che avranno voluto accoglierla”. Analogamente, quando papa Bergoglio riscopre toni profetici cui la Chiesa europea ci aveva disabituato (“chi costruisce muri e non ponti non è cristiano”) non chiamatelo marxista, perché fareste torto sia a lui che a noi marxisti: è vero che su certi problemi diciamo cose simili, ma le diciamo con motivazioni diverse e pensiamo a soluzioni diverse.

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