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06/07/2016

L’attentato a Medina, il wahabismo e il “File 17”

Arabia saudita. L’attentato a Medina di due giorni è figlio del wahabismo e del salafismo che vedono persino nelle visite dei fedeli alla Tomba di Maometto una forma di paganesimo latente. Intanto Obama ha declassificato parte di un dossier segreto dell’inchiesta sull’11 settembre che fa emergere responsabilità saudite

“Fermiamo chi vuole dirottare la nostra religione”. È il titolo dell’editoriale di Meher Murshed ieri sul quotidiano Gulf News. «È tempo che il mondo islamico si unisca per rigettare questa deviazione (l’Isis). Occorre convocare una riunione d’emergenza dell’Organizzazione della Conferenza Islamica per ribadire l’unità della comunità musulmana di fronte a questo orrore». Murshed si è riferito all’attentato (quattro morti e cinque feriti) compiuto lunedì sera da un kamikaze a Medina, seconda città santa dell’Islam, davanti alla moschea, Al Masjid an Nabawi, che ospita la tomba di Maometto. Un attacco – il terzo in un solo giorno in Arabia saudita – che ha impressionato i musulmani, ovunque. Quello che l’editorialista arabo non ha scritto è che tanti wahabiti in Arabia saudita e nel Golfo da anni invocano la distruzione della Tomba di Maometto a Medina e della casa del profeta alla Mecca perchè contrari alla loro interpretazione dell’Islam –. Sarebbero, a loro dire, espressioni di un paganesimo latente. È già sparita la casa di Khadijah, la prima moglie di Maometto, e al suo posto ora ci sono dei bagni pubblici. Un hotel della catena Hilton occupa da qualche tempo il luogo dove era l’abitazione del primo califfo, Abu Bakr. Un rapporto della Islamic Heritage Research Foundation rivela che dal 1985 i bulldozer inviati dalla casa regnante Saud e dai leader religiosi wahabiti hanno demolito il 98% dei luoghi santi e storici dell’Islam in Arabia saudita.

Se wahabiti e salafiti da decenni non fanno altro che invocare e finanziare con miliardi di dollari, nei Paesi islamici e nelle comunità musulmane in Occidente, l’applicazione della loro visione dell’Islam, non deve sorprendere che un figlio di questo politica vada a Medina per far saltare in aria la Tomba di Maometto. Meher Murshed dovrebbe porsi una domanda fondamentale su chi sta dirottando l’Islam: i fanatici esaltati dell’Isis oppure una corrente minoritaria ma molto potente dell’Islam, legata a doppio filo ai petromonarchi del Golfo, che rifiuta il modo di vivere e di pensare degli altri musulmani? Così come i dirigenti della Cia e del Fbi dovrebbero interrogarsi di nuovo sul perché molti degli attentatori dell’11 Settembre erano cittadini sauditi.

Le responsabilità saudite nell’attacco alle Torri Gemelle continuano ad emergere nonostante gli sforzi delle Amministrazioni Bush e Obama di nasconderle per ragioni politiche e diplomatiche. Sotto la pressione delle famiglie delle vittime, il Dipartimento di stato nei giorni scorsi ha declassificato una parte delle ormai famose 28 pagine segrete del Rapporto della Commissione d’inchiesta del Congresso sull’11 Settembre. Pagine che riguardano il ruolo svolto da cittadini sauditi, alcuni con incarichi importanti negli Usa, a sostegno dei dirottatori che si lanciarono sulle Twin Towers e (ma i dubbi sono forti) sul Pentagono. Il documento reso pubblico è noto come “File 17”. «Le informazioni contenute nel ‘File 17’ si basano su ciò che è scritto nelle 28 pagine», assicura l’ex senatore democratico Bob Graham, co-presidente della inchiesta svolta del Congresso.

Il “File 17” mette in evidenza le attività sospette in particolare di quattro sauditi: Fahad al Thumairy, Omar al Bayoumi, Osama Bassnan e Mohdhar Abdullah. Il primo era un diplomatico e un imam della moschea King Fahad di Culver City, in California, generosamente finanziata dalle istituzioni wahabite di Riyadh. È sospettato di aver aiutato due dei dirottatori dopo il loro arrivo a Los Angeles e di aver dato vita ad un gruppo jihadista, accusa che ha sempre respinto. Nel febbraio 2000 al Thumairy incontrò Omar al Bayoumi, poco prima che quest’ultimo avesse un colloquio con i dirottatori. Al Thumairy nega di aver conosciuto al Bayoumi ma i due hanno avuto decine di conversazioni telefoniche tra il 1998 e il 2000. Il 6 maggio 2003 al Thumairy cercò di tornare negli Stati Uniti. Le autorità Usa invece di aspettarlo in aeroporto per arrestarlo decisero inspiegabilmente di rifiutargli il visto, lasciandolo così libero in Arabia saudita. Da parte sua Omar al Bayoumi aiutò i dirottatori a trovare un appartamento a San Diego, città dove molti arabi lo ritenevano un agente dell’intelligence saudita. Al Bayoumi lasciò gli Stati Uniti nell’agosto del 2001, settimane prima degli attacchi dell’11 settembre. Un suo collaboratore, Osama Bassnan, è stato in contatto frequente con i dirottatori e molti lo ricordano come un sostenitore di Osama bin Laden. Anche lui è libero. Il quarto saudita indicato nel “File 17”, Mohdhar Abdullah, ha fatto da traduttore ai due dirottatori e li ha aiutati ad aprire conti bancari. È stato espulso verso lo Yemen nel maggio 2004. Per il ministro degli esteri saudita Adel Jubeir il “File 17” non conterrebbe alcuna informazione utile alle indagini.

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