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01/03/2017

Liguria. Il problema dei giovani resta il lavoro

PREMESSA

All’interno di un quadro generale di grande disuguaglianza e di sostanziale povertà per circa il 50% della popolazione come dimostrano questi dati:


La piramide salariale italiana è molto schiacciata verso il basso: ben il 45% dei contribuenti si colloca sotto 15mila euro. Da loro arriva però solo il 4,5% dell'Irpef totale, che ammonta a 155,2 miliardi. Salendo nella fascia tra 15 e 50mila euro di stipendio si trova un altro 49% dei contribuenti, dai quali arriva il 57% del gettito Irpef. Resta solo un 5,2% di pagatori di tasse a dichiarare più 50.000 euro: questi ultimi valgono il 38% dell'Irpef totale. Rispetto al 2014, aumenta sia il numero dei soggetti che dichiarano più di 50.000 euro (+65.000) sia l'ammontare dell'Irpef dichiarata (+1,9 miliardi di euro). C'è poi una sottile fetta di super-Paperoni che guadagna più di 300mila euro e deve versare il contributo di solidarietà del 3% sulla quota di reddito che supera quella soglia: 34mila persone, per un ammontare complessivo di 294 milioni.

Testacoda Lombardia-Calabria. Le dichiarazioni riguardano 40,8 milioni di contribuenti, per un reddito complessivo dichiarato di circa 833 miliardi. A livello territoriale, la Regione più ricca è la Lombardia (24.520 euro), seguita dalla Provincia Autonoma di Bolzano (22.860 euro), mentre la Calabria presenta il reddito medio più basso (14.780 euro).

Si inserisce la situazione della Liguria e, in particolare dei suoi giovani, quale emerge dai dati forniti in questi giorni da Unioncamere

Quanti sono? Cosa fanno? Hanno un lavoro? Credono nel futuro?

Queste sono solo alcune delle informazioni che il sistema informativo #GIOVANI dell’Istat raccoglie, consentendo una lettura integrata delle statistiche su adolescenti e ragazzi tra i 14 e i 34 anni attraverso diversi tipi di analisi.


ANDAMENTO DEMOGRAFICO

La popolazione giovanile residente in Liguria, nella ricostruzione intercensuaria dal 1952 al 2011 e nel periodo dal 2012 al 2016, registra il picco più alto negli anni ’60 (raggiunge 511.810 unità nel 1962) per poi, a partire dagli anni ’90, ridimensionarsi gradualmente fino ai giorni nostri (nel 2016 la popolazione residente conta 286.421 giovani) .

Dal punto di vista del genere, il massimo storico dei maschi è stato raggiunto nel 1962 con una popolazione giovanile pari a 255.911 unità, mentre nel 2013 si è registrato il valore minimo, 143.353 unità.

Le femmine risultano più numerose nel 1961, con 258.069 unità, e in numero più ridotto nel 2016 (139.719), pari ad una riduzione del 46%.

La popolazione giovanile straniera, analizzata dal 2012 al 2016, risulta in crescita fino al 2014 per poi ridimensionarsi negli ultimi 2 anni.

Tra il 2008 e il 2016 sono stati emessi 522.531 permessi di soggiorno, includendo nel calcolo tutta la popolazione fino a 34 anni di età: nel periodo di tempo considerato, gli ingressi autorizzati nella nostra regione sono gradualmente e costantemente cresciuti partendo da una base di 46.305 nel 2008 per arrivare a 64.035 permessi regolari nel 2016.

Il primo punto può essere facilmente valutato come l’individuazione dell’invecchiamento progressivo della popolazione. Se colleghiamo questo dato a quello successivo, riguardante la crescita della scolarizzazione di massa e del possesso di titolo di studio superiore arguiamo direttamente la crescita del fenomeno della “fuga dei cervelli”, verificatosi in particolare nelle zone sottoposte a spoliazione industriale, e corrispondente a una caduta di presenza nella capacità di “intelligenza tecnica”.

FORMAZIONE SCOLASTICA

Riguardo la formazione scolastica, in Liguria dal 2004 al 2015 si è assistito ad una graduale riduzione della popolazione con licenza elementare o nessun titolo (da 359mila a 238mila) e con qualifica professionale (da 90mila a 84mila, con un picco nel 2011 di 96mila) e ad un aumento dei diplomi di scuola secondaria superiore (da 384mila a 428mila) e dei diplomi universitari, lauree e dottorati (da 146mila a 201mila).

Interessante l’indagine sui percorsi di studio e di lavoro dei laureati, condotta dall’Istat su un campione selezionato fra coloro che hanno conseguito il titolo di studio nel 2011, con l’obiettivo di conoscere le scelte formative e i percorsi lavorativi intrapresi nei quattro anni successivi al conseguimento del titolo.

Una considerazione generale riguarda i tempi di ingresso nel mercato del lavoro diversi a seconda del tipo di laurea, di primo livello (laurea triennale) o di secondo livello (lauree magistrali e specialistiche biennali e a ciclo unico del vecchio e nuovo ordinamento): nel 2015, dopo quattro anni dal conseguimento della laurea, ha trovato un’occupazione il 77% dei laureati di primo livello rispetto all’89% dei laureati di secondo livello. Ciò in parte si spiega per la diffusa propensione dei primi a proseguire gli studi.

I DATI DEL MERCATO DEL LAVORO

Passando all’analisi dei dati del mercato del lavoro dal 2004 fino al 2015, i giovani occupati sono passati da circa187mila a circa116mila unità (-38%): maggiori difficoltà nella classe di età 25-34 anni, che nell’arco di tempo si è ridotta di 63mila unità rispetto alla fascia compresa tra i 15 e i 24 anni, diminuita di 8mila unità.

Il tasso di disoccupazione nella fascia di età 15-24 è passato dal 21,1% nel 2004 al 34,5% nel 2015, con un picco del 45,0% nel 2014; la componente maschile ha registrato nel 2004 un tasso di disoccupazione del 16,5% e nel 2015 del 37,0% (picco del 44,3% nel 2014), per le donne si è passati dal 27,5% al 30,5% (picco del 46,2% nel 2014).

Nella fascia tra i 25 e i 34 anni si è passati dal 6,8% nel 2004 al 16,0% nel 2015: per i maschi il tasso di disoccupazione è salito dal 5,2% al 15,3%, per le donne dall’8,7% al 16,8%.

Oltre al tasso di disoccupazione, è interessante evidenziare il tasso di mancata partecipazione, che identifica la quota di giovani potenzialmente impiegabili nel sistema produttivo ma che non cercano lavoro attivamente.

Un elevato livello di questo indicatore, che caratterizza un po’ tutto il sistema Italia (nella fascia di età 15-34 nel 3° trimestre 2016 è pari al 34,9%) indica un forte sentimento di scoraggiamento che deprime l’ingresso nel mercato del lavoro.

In Liguria si è passati dal 14,6% nel 2004 al 27% nel 3° trimestre 2016, valore più alto di tutto il Nord Ovest.

Parlando di giovani non si può non citare i NEET (giovani non occupati e non in istruzione e formazione). In Liguria nel 2004 erano 46mila circa e fino al 2007 si sono gradualmente ridimensionati: a partire dal 2008 il numero ha iniziato a crescere fino ad arrivare a contarne circa 60mila nel 2013, ultimo dato disponibile, che rappresentano il 21% della popolazione giovanile.

Questi dati si commentano da soli perché registrano una caduta verticale nell’occupazione e anche per l’interesse a ricercare opportunità in questo senso. Questa situazione deriva, come ci capita di argomentare da molto tempo, da una fragilità strutturale del tessuto economico, dalla caduta di presenza dell’industria, dal ritardo complessivo nella produzione di innovazione tecnologica, nell’aver puntato su settori come il turismo che si rivelano – in queste condizioni – del tutto inadatti (se non in certe zone della Regione) a produrre sviluppo. Da notare, inoltre, la crescita dello squilibrio tra costa ed entroterra e il pratico abbandono di antiche zone di presenza industriale come la Val Bormida, zona nella quale irrisolto il conflitto lavoro – ambiente restano da utilizzare aree importantissime come quelle dell’ACNA (ancora da bonificare dopo 15 anni) e della Ferrania.

IL QUADRO DELLE IMPRESE GIOVANILI

Il Registro delle Imprese inizia a classificare le imprese giovanili a partire dal 2011: ricordiamo che si considerano “Imprese giovani” le imprese la cui partecipazione del controllo e della proprietà è detenuta in prevalenza da persone di età inferiore ai 35 anni.

Nel 2016 le imprese giovanili sono 14mila, il 12,8% in meno rispetto al 2011, e rappresentano l’8,6% del totale delle imprese, collocando la Liguria al 15° posto nel panorama nazionale per tasso di imprenditorialità giovanile (la media Italia è pari al 10,0%).

Le iscrizioni, nel periodo considerato, si sono ridimensionate del 20% passando da 3.377 a 2.690 unità (quasi 8 al giorno), come pure le cancellazioni (-30,5%), passando da 1.401 a 1.295 unità (quasi 4 al giorno), determinando un saldo positivo di 1.395 imprese.

Dall’analisi delle attività svolte si evince che i giovani preferiscono cimentarsi in settori tradizionali, quali il commercio, le costruzioni e le attività di alloggio e ristorazione, con un’apertura verso quelli più innovativi ad alto valore aggiunto.

Distribuzione percentuale delle imprese giovanili liguri per settore: per quel che concerne il comparto commerciale (3.652 attività che incidono per il 26% sul totale), i giovani imprenditori puntano sul commercio ambulante in mercati e fiere e sulla vendita al dettaglio di abbigliamento: sta prendendo campo anche l’attività di vendita al di fuori dei canali tradizionali, tramite internet, corrispondenza e porta a porta (57 nuove iscrizioni nel 2016).

C’è da dire che su 2.682 attività commerciali al dettaglio, 1.223 (oltre il 45%) sono gestite da giovani imprenditori stranieri.

Riguardo al settore edilizio (3.425 attività registrate), molti giovani, per lo più stranieri, puntano su lavori di ristrutturazione di edifici, i classici muratori: ben 2.218 attività registrate, di cui il 73% straniere.

Il comparto turistico annovera 1.675 imprese giovanili, di cui 1.528 in attività di ristorazione e 147 in alloggi: su 197 iscrizioni quasi l’86% si riconduce a servizi di ristorazione.

I dati sull’imprenditoria giovanile confermano il quadro complessivo già delineato in generale. Da notare la presenza dell’imprenditoria straniera nel commercio ambulante in mercati e fiere e al dettaglio nel campo dell’abbigliamento e nell’edilizia, in relazione alle maggiori presenze di marocchini ed albanesi rispetto alle nazionalità.

Commento conclusivo

L’insieme di questi dai ci conferma quanto si sta già cercando di individuare da tempo.

Emergono elementi di criticità rispetto alla crescita della scolarizzazione di massa e le prospettive occupazionali; crescono disoccupazione e NEET; è sicuramente in ritardo l’imprenditoria giovanile.

Una Liguria depressa e che offre ben poche opportunità, con un modello – quello del turismo – che rimane in crescita soltanto in determinate zone (quelle classiche) della Regione oltre che nel capoluogo.

Una Liguria dove squilibri atavici (compreso quello Città /Regione nei confronti di Genova) non sono stati colmati e dove manca un progetto unificante:un ritardo accumulato dalle istituzioni (in particolare dalla Regione specialmente sul terreno della programmazione) ma anche da parte dei soggetti associativi dell’imprenditoria, industria, commercio, artigianato.

Una Liguria che appare ancora tutta racchiusa a macerare la grande crisi dell’industria e dei porti avviata con i processi di dismissione delle PPSS negli anni ’80.

Una Liguria che soffre di antiche sindromi di suddivisione corporativa dell’economia.

Restiamo comunque in attesa, tanto per non fornire segnali di dimenticanza, del decreto di area di crisi complessa riguardante alcuni comuni del Savonese messi in difficoltà da tre importanti punti di crisi: Tirreno – Power (ancora il conflitto lavoro – ambiente), Bombardier e Piaggio (questioni di innovazione tecnologica e di finanziamento) in una provincia che ormai dovrebbe superare i 40.000 disoccupati.


Fonte

Un'ecatombe... 

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