Il Ministero degli interni bielorusso ha confermato il fermo, mercoledì scorso, di alcune decine di persone che, a volto coperto, manifestavano a Minsk contro il cosiddetto “decreto sui parassiti”. All'insegna dello slogan “Noi non siamo parassiti”, alcune migliaia di persone continuano tuttora a manifestare, regolarmente, contro la tassa decisa dal governo bielorusso a carico di chi, in età lavorativa, risulti non occupato. Le manifestazioni di strada, al momento non molto partecipate e all'apparenza pacifiche, non sembrano di per se stesse creare per ora particolari problemi al presidente Aleksandr Lukašenko, anche se la loro regia sta probabilmente lavorando nell'ombra e accuratamente per puntare al bersaglio grosso.
Ciò che, al momento, pare più preoccupante, è l'evolversi dei rapporti tra Mosca e Minsk, sulla base apparente di alcune controversie di per se stesse non pericolose.
Jurij Boldyrev, su Svobodnaja Pressa, afferma che se qualcuno, forse anche in qualche ambiente moscovita, spinge per la rottura dell'Unione statale russo-bielorussa, parte dall'erronea valutazione di Minsk quale “suddito” e non alleato, rimproverandole, ad esempio, la non piena accettazione delle scelte russe su Abkkazia, Ossetia settentrionale, Crimea e Donbass o la non manifesta “riconoscenza” per i crediti concessi. Ma, in tal modo, scrive Boldyrev, qualcuno a Mosca, ripetendo il mantra dei “sussidi” all'economia bielorussa e dettando le proprie condizioni per l'elargizione di crediti, si porrebbe sullo stesso piano del FMI o di UE e USA. Nel concreto dell'attuale disputa: quando i prezzi del petrolio erano alti, il prezzo del gas russo fornito alla Bielorussia era legato a quello del petrolio; quando il prezzo del petrolio è calato, in base agli accordi avrebbe dovuto scendere anche quello del gas e Minsk ha pagato secondo questo nuovo ipotetico prezzo. Ciò, a detta di Lukašenko, non è andato a genio alle autorità russe, che avrebbero chiesto a Minsk tutt'altro prezzo.
Tutto questo avviene, sostiene Boldyrev, non negli interessi della Russia, ma esclusivamente nell'interesse dei dividendi delle imprese energetiche e delle oligarchie russe che, smaniose di arraffare industrie bielorusse, hanno affidato ai media un “lavoro sporco” di propaganda di bassa lega contro “l'unico nostro alleato”. Dove finisce in tal modo, si chiede il giornalista spezzando una lancia a favore di Minsk, la tanto attesa Unione Doganale tra Russia, Kazakhstan e Bielorussia, annunciata nel 2009 dall'allora primo ministro Vladimir Putin e che avrebbe dovuto associarsi al WTO quale spazio economico unico, mentre poi, nel 2012, a tale organizzazione aderì la sola Russia, per conto proprio?
Ma ecco che Jurij Barančik, per l'agenzia Regnum, sostiene che Lukašenko stesso stia creando, in piena coscienza, le condizioni per una majdan bielorussa. Si è cominciato con la previsione della vittoria di Hillary Clinton, che avrebbe creato per Minsk le condizioni per meglio ricattare Mosca sulla questione del prezzo del gas. Dopo la vittoria di Trump, i media bielorussi, secondo le “direttive” del Ministro degli esteri Vladimir Makej, hanno innalzato lo spauracchio dell'invasione russa “sul modello ucraino”, sostenuti in questo dalla junta della “fraterna Ucraina che sta lottando per l'indipendenza”, come l'ha definita Aleksandr Lukašenko e si è puntato a contatti più stretti con l'Occidente. Secondo Barančik, sono tutti da addebitarsi alla Bielorussia i passi in direzione del conflitto con Mosca, fino alle minacce di causa penale nei confronti del Direttore del servizio di frontiera russo, dopo la disputa di confine di inizio febbraio.
Al netto della controversia, il debito di Minsk per il gas russo sarebbe di circa 650 milioni di dollari; ma, l'eventualità ancor più pesante, è che, al traguardo del 21° anno di vita, il prossimo 2 aprile, l'Unione statale Russia-Bielorussia si dissolva. Questo, sul fronte estero. All'interno, scrive Barančik, la diminuzione delle importazioni di petrolio russo a 4 milioni di tonnellate nel primo trimestre, ha inasprito il conflitto sociale, sfociato nelle manifestazioni non solo nei centri più grandi, ma anche nelle periferie, quantunque finora l'opposizione filoccidentale non sia riuscita a prenderne la testa. Si sta verificando addirittura il fatto che i media bielorussi, sulla scorta del portale CIA-ucraino InformNapalm, accusino Mosca di essere dietro alle dimostrazioni.
Ad appesantire la situazione, il lento ma costante aumento dei prezzi al consumo dei derivati degli idrocarburi confermato da “Belneftkhim”, dovuto, come scrive Sputnik Belarus, al fatto che Mosca sta procedendo a manovre fiscali nella sfera energetica, che adeguano sempre più il prezzo del petrolio destinato alla Bielorussia a quello del mercato mondiale, così che, da gennaio 2015 a oggi il prezzo del greggio destinato alle raffinerie bielorusse è aumentato del 75%.
A questo punto, osserva Barančik, rimane l'interrogativo di quali passi intraprenderà Minsk se, entro il 1 luglio, non firmerà – ma difficilmente Lukašenko vi rinuncerà – il Codice doganale dell'Unione Eurosiatica, che assicurerebbe alla Bielorussia prodotti energetici esentasse e l'enorme mercato russo, che nel 2016 ha costituito l'85% dell'export bielorusso.
C'è però anche chi, come Oleg Egorov su rusvesna.su, pone la questione su un piano diverso e afferma di non temere la perdita di tale alleato, per il fatto che “noi l'abbiamo già perso nel 1991, insieme a tutto il resto dell'Unione e la Bielorussia, come l'Ucraina, si allontana sempre più” dalla Russia. Il primo passo fu fatto nel 1994, in occasione della prima guerra cecena, allorché l'allora neo presidente Lukašenko non si schierò con Mosca. Oggi, sostiene Egorov, tutta la questione sfocia non in una Unione, che avrebbe un significato politico-militare, ma in una partnership economico-commerciale: e allora si spiega anche il tono di “pura ragioneria” usato da Dmitrij Medvedev a proposito del conto del gas presentato a Minsk. Dunque, conclude l'osservatore di rusvesna.su, “con i compagni d'arme si conduce un tipo di dialogo; con modesti partner commerciali, il dialogo è un po' diverso. In altre parole, la Bielorussia quale partner commerciale noi non la perdiamo, nemmeno volendo; ma la Bielorussia quale alleato politico-militare, semplicemente, per la Russia non esiste da tempo”.
La situazione è in movimento.
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