In base alla teoria del “trickle-down” (effetto ricaduta), o capitalismo “laissez faire”, con una politica favorevole ai detentori di grandi ricchezze si ottiene, “per gocciolamento”, o ricaduta, l’arricchimento di tutti e quindi anche dei meno abbienti.
L’opinione di Macron è che i francesi tassino i ricchi perché li invidiano. Ai giornalisti che lo interrogano sulla sua politica fiscale in favore di quelli che hanno già tutto, risponde di non essere un adepto della teoria del « trickle-down » ma ammette di credere a quella della cordata. Gli uomini di successo tireranno gli altri. Tassare i ricchi significa incoraggiarli a lasciare la Francia, secondo il giovane presidente, che non spende una parola sui 60 miliardi all’anno che l’evasione costa al Paese (oltre il 15% del PIL finisce nei paradisi fiscali).
Dopo la sua elezione, Macron non rilascia interviste televisive. Ma la sua rapida caduta di popolarità lo ha spinto, dietro consiglio dei suoi esperti in comunicazione, ad esprimersi ieri, domenica, alla TV. Privata, naturalmente. I telespettatori possono ammirare, dietro il presidente, un manifesto «Liberté, égalité, fraternité» e, sul caminetto, una tela del grande pittore surrealista ed espressionista Pierre Alekinsky. Vista magnifica sull’Eliseo presa da un drone. 11,4 milioni di telespettatori hanno l’impressione di sbarcare su un’isola paradisiaca. Tre giornalisti, più che compiacenti, gli pongono delle domande. Senza replica. Tempo a disposizione prima del film: un’ora e sedici minuti. Il presidente monopolizza la parola. E, a proposito di parole, rivendica l’uso di espressioni come «fannulloni» o «fare casino» o «ignoranti» rivolte ai lavoratori. A suo dire, non significano che li disprezza.
Sulla disoccupazione, il suo discorso somiglia a un remake del quinquennato Hollande. «I risultati si vedranno fra un anno e mezzo – due anni», dichiara. Per lui «le garanzie effettive non consistono nel dire alla gente che ha dei diritti, ma che la società cambia». «Non li proteggerò, ma li armerò contro i cambiamenti»... aggiunge.
Dopo la fase della «liberazione» del lavoro e dei regali al padronato, ci sarà una prossima tappa sulla «protezione» dei lavoratori (Hollande aveva promesso il «tempo della redistribuzione»). Secondo Macron, la lotta di classe è «una passione triste». Pur sostenendo di rivolgersi «alle classi medie e popolari», il presidente non annuncia nessuna misura favorevole ai più fragili. Si limita a dirsi «sensibile al messaggio dei sindaci», inferociti dopo il taglio dei trasferimenti di risorse dallo Stato alle collettività locali e la soppressione dei contratti protetti.
Macron dichiara che il respingimento dei migranti senza permesso di soggiorno diventerà sistematico. I responsabili di atti delittuosi saranno espulsi. Sta lavorando ad accordi bilaterali con i Paesi di provenienza. Sorvola sulla politica internazionale, ma sottolinea che gli Stati Uniti sono “gli alleati” della Francia, malgrado i “disaccordi” con il presidente americano Donald Trump sul trattato nucleare iraniano e su quello di Parigi sul clima. “Parlo costantemente al presidente americano perché è mio dovere” dice. “E’ necessario ancorarlo a questa partnership e a questo multilateralismo”.
Il presidente menziona l’esistenza del suo Primo ministro, Edouard Philippe, ma non quella dei ministri del suo governo. Infatti, non contano nulla. Macron finge di non essere il rappresentante delle classi privilegiate. Per lui «siamo tutti nella stessa barca». In realtà, la sua politica tenta di convincere dell’inutilità della lotta collettiva. «Io speriamo che me la cavo» è la tattica vincente. Nello stesso tempo, ripete che è il presidente a decidere, mostrando che il suo potere è particolarmente autoritario e antidemocratico.
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