Mentre cresce l’attesa per la decisione del presidente Trump in
merito all’accordo sul nucleare con l’Iran – la data di scadenza per la
certificazione dell’intesa è il 15 ottobre – gli Stati Uniti alzano il
tiro su uno dei più stretti alleati di Teheran: Hezbollah.
Ieri il direttore del Controterrorismo nazionale statunitense,
Nicholas Rasmussen, parlando al Dipartimento di Stato ha indicato nel
movimento sciita libanese una minaccia diretta e concreta per gli Stati Uniti. Non solo fuori dai confini nazionali, ma anche dentro: “Se
molto del nostro lavoro dopo l’11 settembre si è focalizzato su
al-Qaeda e più recentemente sull’Isis, nei 20 anni dalla designazione di
Hezbollah come organizzazione terroristica, non ci siamo mai
focalizzati sulla minaccia che rappresenta per la nostra patria”.
Ovvero, ha aggiunto Rasmussen, Hezbollah starebbe lavorando
per creare infrastrutture nel territorio statunitense e per compiere
attacchi. Nessun dettaglio è stato fornito, se non l’arresto lo
scorso giugno di due sospetti membri di Hezbollah negli Usa. Per il
Controterrorismo è la prova di una “infrastrattura globale di attacco e
delle aspirazioni del gruppo”.
Un gruppo che prima che militare è politico e che – sebbene sia
considerato terrorista da Usa e Israele, per ovvi motivi – non ha
compiuto attacchi terroristici in altri paesi nello stile delle note
reti internazionali islamiste, come Isis o al Qaeda. In Israele
dove le azioni realizzate si sono tradotte nel lancio di alcuni missili
negli ultimi anni e lo scontro diretto tra esercito israeliano e
combattenti di Hezbollah si è verificato solo a seguito delle invasioni
israeliane del Libano.
È rappresentato nel parlamento libanese, partecipa alle elezioni dagli anni Novanta ed è parte del governo di Beirut. Non
è dato sapere su quali basi si fondino i timori degli Usa che il giorno
prima le dichiarazioni di Rasmussen hanno messo una taglia di 12 milioni
di dollari su due membri del movimento sciita, Fuad Shukr e Talal
Hamiyah, accusati di essere dietro l’attacco a una caserma di
marines a Beirut nel 1983 che provocò 241 morti tra i militari Usa, 58
francesi e feriti. A rivendicare l’attentato, all’epoca, fu il gruppo
Jihad Islamica, attivo durante la guerra civile libanese.
La mossa sembra più diretta a colpire l’Iran, che di Hezbollah è
stato il primo sostenitore in termini di addestramento e rifornimento di
armi e che considera il movimento sciita un elemento centrale sia della
strategia politica e militare in Siria (dove tra l’altro combatte
l’Isis e le fazioni qaediste) che nel resto del Medio Oriente. La
normalizzazione dei rapporti tra Israele e paesi del Golfo, nella
visione statunitense, passa anche per l’indebolimento dell’asse sciita
in un periodo storico i cui Israele, mancando oggi il “nemico interno”
Hamas, ripete a ogni piè sospinto minacce di guerra al gruppo di
Nasrallah, proxy iraniano.
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