Nonostante l’offerta mediatico-elettorale coprisse sostanzialmente
tutto l’arco della politica, dal neofascismo all’estrema sinistra
passando per l’euro-liberismo, il protezionismo e tutte le gradazioni
del populismo, quelle di ieri sono state le elezioni politiche con la
più alta astensione di sempre. Un dato, come sappiamo, ambivalente e
sfaccettato, ma che conferma una tendenza storica: senza mobilitazione
politico-sociale non c’è alcuna significativa partecipazione elettorale.
Da questo punto di vista, le elezioni si confermano un termometro
ancora accettabile per leggere la realtà politica di un paese. Una
realtà divisa in tre parti: il vasto campo dell’astensione, ormai
strutturale e probabilmente irrecuperabile; il polo euro-liberista del consenso; il populismo, qualsiasi forma questo assuma, inteso come polo del dissenso.
Diamo conto qui di alcune rapide fotografie emerse dalle elezioni di
ieri, mentre affronteremo più nel dettaglio i diversi significati del
voto nei giorni a seguire. Un voto denso come mai prima d’ora di valore
politico.
La vittoria del Movimento 5 Stelle
Il partito grillino si conferma il primo partito italiano. Decifrare
la sostanza di questa forza elettorale è pressappoco impossibile per chi
insiste a svelarne solo le contraddizioni, come se queste non fossero plateali anche agli occhi del suo elettorato. Qualche mese fa scrivevamo:
«l’incapacità del M5S di essere forza politica credibile è un dato di
fatto. Eppure, da più di cinque anni rimane saldamento il primo partito
italiano. Anche fosse il secondo, o il terzo, il discorso non
cambierebbe. La Lega o il Pd, Forza Italia o Rifondazione: tutti i
soggetti politici hanno pagato elettoralmente il prezzo della propria
incoerenza e incapacità, nel presente o in passato. Tutti tranne il M5S.
Chi da anni si accanisce contro il partito di Grillo, svelando non si
sa più a chi la sua natura reazionaria, ancora oggi non riesce a
spiegare i motivi di questa tenuta elettorale, che è anche una tenuta
politica, se non dando la colpa all’elettorato». Ancora oggi, a
sinistra, ci si accomoderà nel confortevole banchetto intellettuale
della superiorità morale. Ci si accanirà sui congiuntivi di Di Maio e
sulle sconclusionate proposte politiche dei rappresentanti Cinque
stelle. Accanendosi sul dito per non guardare la luna di questa tenuta
politica mai vista, epocale, fuori da ogni ordinario della politica
liberale. Una forza che risiede nella composizione di classe
del suo elettorato, che tramite forme (evidentemente) alienate esprime
un bisogno di rottura con la stabilità ordo-liberale, non affievolito
dalle retoriche mediatizzate del “ritorno alla crescita”. Recuperare una
relazione con questo elettorato, con lo sfaldamento sociale di una
classe che si affida a Di Maio e Grillo per disperazione inconsapevole,
dovrebbe essere il primo dei problemi per una sinistra sociale. E invece
assisteremo alla solita parodia de-responsabilizzante, forti
dell’ultima inchiesta giornalistica sull’assegno mancato, il rimborso
non restituito, il dottorato millantato. Tutte questioni indubbiamente
decisive per una certa sinistra di classe. Borghese.
La vittoria della Lega
L’altro capo del polo populista si impone come prima forza del
“centrodestra”. La forza elettorale va rintracciata nelle stesse logiche
dette poc’anzi per il M5S: il populismo trionfa (M5S+Lega arrivano a
quasi il 50% dei voti) perché aggrega chiunque si percepisca fuori dal
perimetro della compatibilità liberale. Nonostante ciò, la crescita di
un forte e strutturato movimento reazionario di massa introduce
un problema primario nei ragionamenti politici di qui al prossimo
futuro. Lega e Partito democratico hanno quasi gli stessi voti: uno
stravolgimento che cambierà in profondità la politica italiana nel suo
complesso. Stante questa situazione, l’unica alternativa possibile per
la stabilità europeista sarà quella di riformare drasticamente i
meccanismi di accesso alla rappresentanza politica, cambiando la legge
elettorale e, infine, anche la Costituzione. E’ inevitabile, l’Italia
non è l’Ungheria e l’Europa non può permettersi un Orbàn padano in grado
di minare tutta l’architettura continentale. Ma il successo della Lega
rappresenta anche un problema di agibilità sociale. Da oggi la linea del colore diverrà
sempre più il confine tra inclusione ed esclusione, sia essa civile,
sociale, culturale. Con quello che ne comporterà in termini di rilevanza
della questione razziale e neocoloniale interna.
La sconfitta del fronte della stabilità
Crolla il Pd, fatto questo ampiamente previsto, e perde il confronto
interno Forza Italia. L’europeismo esce martoriato dalle elezioni,
nonostante i proclami sulla crescita, la calma finanziaria e la studiata
indifferenza politica dei partner europei. In questo senso è davvero la
fine di un’epoca. L’unione storica tra Democrazia cristiana e Partito
comunista raccoglie oggi neanche il 20% dell’elettorato, una sconfitta
che provocherà smottamenti tellurici di vasta portata. Se non fosse
abbastanza chiaro, da oggi non si scherza più: la stabilità andrà
commissariata. Più la stabilità liberale vacilla, più verrà imposta con
la forza.
La scomparsa della sinistra
Come dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio
in questo ventennio, l’assenza sociale della “sinistra radicale” si
traduce direttamente in scomparsa elettorale. La solita solfa delle
elezioni “usate” per aggregare consenso si trasforma in certificazione
del proprio stato di minorità. La sinistra elettorale riesce
nell’invidiabile impresa di perdere voti, in percentuale e in termini assoluti, rispetto al cabaret civilista di Ingroia del 2013. Anzi: di dimezzarli in termini percentuali e di trimezzarli in
termini assoluti. Un trend storico incontrovertibile, ma che
puntualmente scompare dai ragionamenti dei compagni un mese prima di
ogni elezione. Consci che nulla cambierà questo stato esistenziale,
attendiamo con ansia le prossime elezioni per assistere al nuovo
cartello elettorale attraverso cui prendere lo straordinario zerovirgola
ideologico. Di sconfitta in sconfitta, fino alla sconfitta. Una
sconfitta che però, come sempre, riguarderà tutti, non solo quei
compagni che di volta in volta decidono di «scommettere» sulle elezioni.
Sembrava impossibile, ma da oggi siamo ancora più deboli.
I numeri reali del neofascismo
Anche in questo caso, le elezioni contribuiscono a sgomberare il
campo dalle tossine mediatiche a cui siamo sottoposti nel mese
elettorale. I neofascismi d’ogni risma si infrangono di fronte alla loro
inconsistenza sociale, definendo i contorni di un problema che rimane
di agibilità ma che politicamente risulta, nonostante gli sforzi di ogni
giornale e televisione, incapace di aggregare materialmente alcunché di
significativo. Casapound raccoglie l’invidiabile zerovirgola niente,
mentre Forza Nuova occupa militarmente il campo dei non pervenuti. E’
certo che molto voto nostalgico e razzista sia stato assorbito da
Salvini. Ciò non toglie che queste elezioni confermano un altro trend
storico. Dai due milioni di voti del Msi anche degli anni Novanta, si è
passati stabilmente alle poche decine di migliaia di questo decennio.
Reazione e neofascismo sono sempre più due cose diverse, anche in
termini elettorali. Calibrare i nostri strumenti politici dovrà essere
una conseguenza di questa ulteriore conferma.
Fonte
Quella di Militant è un'analisi che trovo condivisibile in misura estremamente limitata, ciò che interessa sono gli spunti riflessivi che offre.
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