C’è un aspetto sistemico legato alle elezioni di domenica che non molti hanno provato ad indagare. I mitici”mercati” hanno reagito con indifferenza alla vittoria delle due forze politiche considerate “euroscettiche”. Un solo momento di incertezza, all’apertura delle borse lunedì mattina, e poi ritorno rapidissimo alla normalità. L’unico ad averci rimesso qualcosa sembra Silvio Berlusconi, considerato ormai politicamente finito, che ha visto il titolo Mediaset perdere oltre il 5%. Ma avrà tempo di rifarsi, almeno in borsa...
Se raffrontiamo questa non-reazione con le solite previsioni catastrofiche avanzate prima del voto, lo scarto non potrebbe essere più elevato.
Delle due l’una: o M5S e Lega sono veramente riusciti a convincere “i mercati” di aver cambiato completamente idea sui danni provocati dall’Unione Europea e dall’euro (e si sono sforzati molto, in questa direzione, per tutta la campagna elettorale), oppure quella minaccia era stata gonfiata ad arte. In entrambi i casi però, i due vincitori “non sono un problema” per l’establishment finanziario e “politico” europeo, se mai lo sono stati.
In realtà, come spiega bene IlSole24Ore stamattina, ci sono anche ragioni economiche a tranquillizzare “i mercati”:
a) una crescita economica debole ma stabile (“Ai mercati interessa poco se la crescita stia producendo diseguaglianze sociali, o se l’aumento dell’occupazione sia dovuto a lavori precari. È il numero che conta: il Pil. E quello cresce. Questo significa più utili aziendali, più dividendi azionari, più consumi, debito più facilmente controllabile e così via”);
b) una bassissima esposizione estera verso i titoli azionari italiani;
c) la sostanziale estraneità dei fondi di investimento rispetto a titoli di stato del nostro paese (ragion per cui “Lo spread tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi, quel parametro che nel 2011 mise in ginocchio l’Italia facendo cadere il Governo Berlusconi, oggi non è più una vera minaccia”).
Insomma, anche se dovesse esserci un po’ di fibrillazione tra il nuovo governo – chiunque lo costituisca – e Bruxelles, per “i mercati” non ci sono rischi tali da diventare incontrollabili.
Vero è che ci sono anche alcuni margini tecnici di rischio (il quantitative easing della Bce volge alla fine, come anche la “crescita”; le promesse elettorali su Fornero e reddito di cittadinanza comportano costi che potrebbero provocare rischi fiscali, se realizzate davvero; un possibile ritorno all’”euroscetticismo” nel caso il nuovo governo dovesse andare in difficoltà), ma nell’insieme Lega e Cinque Stelle non preoccupano affatto.
La tranquillità dei “mercati” è dunque in contraddizione diretta con le speranze degli elettori che hanno premiato, e in modo decisamente vistoso, due forze che avevano fatto della critica all’Unione Europea – nel corso degli ultimi anni – uno dei punti di forza. Di fatto “i mercati” stanno scommettendo sul fatto che il primo governo della Terza Repubblica non farà quasi nulla di quanto promesso. Per ragioni oggettive e arrendevolezza dei “nuovi” dirigenti.
In prospettiva, questa discrepanza dovrebbe manifestarsi con grande evidenza (una volta esaurito il classico periodo di “luna di miele”, come sperimentato anche dai cittadini romani, che si sono ben guardati, alle regionali, dal premiare nuovamente il M5S dopo un anno e mezzo di Raggi) e aprire varchi sostanziosi ad altre forze.
Qui conviene chiarirsi bene le idee. Se “l’elettorato” ha in maggioranza premiato quei soggetti che sembravano più credibilmente “euroscettici” significa che, in qualche modo contorto ma preciso, l’Unione Europea si è fatta riconoscere come una fonte di impoverimento, crescita delle disuguaglianze, precarietà, tagli a welfare e istruzione. Certo, Salvini e anche Di Maio hanno messo davanti le “colpe europee” soprattutto in materia di immigrazione, sfruttando a fini elettorali una classica “guerra tra poveri” creata per distogliere l’attenzione generale dai veri responsabili dell’impoverimento generalizzato. Ma non appare privo di significato il fatto che entrambi, appena saliti sul podio da vincitori, abbiano immediatamente derubricato l’argomento “migranti” tra quelli secondari. Salvini, addirittura, ha pronunciato il suo primo discorso in cui non li ha neppure nominati!
Se quel sentiment popolare “euroscettico” è dunque autentico e giustificato, si apre per una forza polare antagonista e realmente intenzionata a cambiare il sistema un vasto varco in cui cominciare a organizzare il nostro “blocco sociale”.
L’esperienza vincente di France Insoumise (19,6% alle presidenziali, e sondaggi attuali in forte crescita, mentre Macron crolla) dimostra che si può benissimo tenere insieme la difesa delle classi popolari più deboli e una prospettiva di rottura dell’Unione Europea. Anzi, solo la rottura può permettere quella difesa.
Tutto ciò senza fare un solo passo in direzione del ritorno alla “sovranità nazionale”, ma facendone molti in quella della costruzione di una comunità popolare plurinazionale ed euromediterranea, dalla Francia alla Tunisia, dalla Spagna-Catalogna alla Grecia.
Serve giusto un po’ di coraggio intellettuale. Quello necessario a smettere di farsi condizionare dagli interessati ricatti ideologici dell’ex centrosinistra (“se sei contro la Ue, allora sei un pericoloso nazionalista”). In fondo, non dovrebbe essere un grosso sforzo...
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