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06/03/2018

Elezioni 2018: cosa dicono le cifre assolute

La miglior comprensione dell’esito del voto determinatosi in occasione delle elezioni legislative generali svoltesi il 4 marzo 2018 può essere agevolata analizzando i dati attraverso la lettura delle cifre assolute, anziché delle percentuali che spesso sviano (clamoroso il caso del PD in occasione delle elezioni Europee 2014) l’orientamento dei commentatori.

E’ necessario immediatamente chiarire che l’esito di questa tornata può consentire di definire le elezioni 2018 come “elezioni critiche” (come accadde nel 1948 o nel 1976 o ancora nel 1994), tali da provocare un complessivo riallineamento dei soggetti presenti nel nostro sistema politico.

E’ stata usata per la prima volta una formula elettorale “mista” tra proporzionale (2/3) e uninominale maggioritario (1/3), sia alla Camera sia al Senato, con listino bloccato e impossibilità di voto disgiunto (i candidati di uninominale e proporzionale sono stati proposti all’interno della stessa scheda): formula che sarà sicuramente oggetto di giudizio da parte della Corte Costituzionale nei prossimi mesi.

Vale ancora la pena di ricordare che l’elettorato si è trovato di fronte la terza formula elettorale cambiata nel giro di un ventennio e che una quarta formula (il cosiddetto Italikum) era stato bocciato dall’Alta Corte prima ancora che si fosse presentata l’opportunità di provarla sul campo.

Queste elezioni hanno suffragato, se ce ne fosse ancora stato bisogno, la fine del possibile bipolarismo centrodestra versus centrosinistra, che aveva caratterizzato il primo decennio del XXI secolo: poi era subentrato un precario “tripolarismo”. Adesso sembra prendere consistenza la possibilità di un inedito bipolarismo con protagonisti ancora il centrodestra e il M5S che, nato come movimento antisistema, pare volersi misurare con l’ardua prova del governo: confortato per la verità da una crescita esponenziale nella raccolta del consenso.

Altro elemento che contribuisce alla definizione di “elezioni critiche” riguarda la dislocazione geografica del voto: in questo caso il Movimento 5 Stelle appare assolutamente egemone al Sud e il centro destra, con un significativo primato della Lega al Nord. In mezzo, però e questo è l’elemento di novità, il Centro tradizionale insediamento del PD e del centrosinistra. In quest’occasione però il primato incontrastato del PD è comunque incrinato dalla messe di consensi attenuto dalla Lega che in molti collegi tra Toscana, Marche ed Emilia–Romagna ha ottenuto percentuali oscillanti tra il 18 e il 20%.

Andando per ordine è necessario però appuntare la nostra attenzione sul tema dell’astensione. Fenomeno che era temuto in crescita assoluta.

In verità nessuna delle forze politiche che si era ripromessa di intercettare la disaffezione al voto può vantare di essere riuscita nell’intento.

Prendendo come riferimento di questa comparazione l’esito delle elezioni del 2013 (obbedendo al dettame che vuole i confronti rigorosamente eseguiti su eventi elettorali omogenei e quindi confrontando l’esito della tornata del 2013 alla Camera dei Deputati con quella del 2018 per analogo ramo del Parlamento) deve essere subito fatto notare come nel 2013 alla fine si fossero avuti 34.005.755 voti validi (Italia, esclusa la Valle d’Aosta dove si vota con una formula elettorale diversa), nel 2018 i voti validi sono stati 32.819.888 (riferimento candidati all’uninominale).

In sostanza i voti non validi sono aumentati tra il 2013 e il 2018 di 1.185.867 unità (dato in miglioramento comunque rispetto a quanto era avvenuto nelle Europee 2014 e nelle successive tornate amministrative).

Iscritte/i nelle liste elettorali al 2018 risultavano 46.505.499 cittadine/i; di conseguenze le espressioni di non voto o di voto nullo (non presenza ai seggi, voto bianco e voto nullo) sono state 13.685.611, nettamente la maggioranza relativa.

Esaminiamo allora il comportamento delle coalizioni e delle singole forze politiche.

Nel 2013 la coalizione di centro destra formata da PDL, Lega Nord, Fratelli d’Italia e da altre numerose formazioni (la principale delle quali risultò “La Destra” con 666.765 voti) assommò 9.923.600 voti. Nel 2018 quest’area politica ha toccato i 12.145.669 voti (dato sempre riferito ai candidati nei collegi uninominali), con un incremento di 2.222.069 suffragi.

Una crescita dovuta all’incremento davvero ragguardevole dovuto alla Lega (che nel frattempo aveva abbandonato l’appendice “Nord”, mutando anche strategia politica), salita da 1.390.534 voti a 5.679.528 (più 4.288.994: un incremento che indica come la contraddizione riguardante l’Europa e quella relativa ai migranti abbiano avuto un peso assolutamente decisivo nell’orientamento dell’opinione pubblica, così come ha avuto un grande peso la proposta di abolizione della Legge “Fornero” sulle pensioni).

Anche Fratelli d’Italia ha realizzato un incremento significativo salendo da 666.765 voti a 1.422.321. Forza Italia ha ereditato dal PDL (7.332.134 voti nel 2013, già subita la scissione di FLI) 4.581.736 voti con una flessione di 2.750.398 suffragi (il PDL comprendeva anche il segmento che poi avrebbe formato NCD passando a sostenere i governi Letta, Renzi, Gentiloni).

La maggioranza relativa, sotto l’aspetto del singolo partito, è toccata com’è noto al Movimento 5 stelle: passato attraverso un risultato di apparente ridimensionamento con le elezioni europee 2014 e avendo ottenuto esiti significativi alle elezioni amministrative successive, il Movimento è salito da 8.691.406 voti a 10.725.703 (più 2.034.297) monopolizzando la protesta del Sud in maniera assolutamente egemonica (scriviamo senza disporre dell’assegnazione dei seggi al quale si sta lavorando utilizzando un meccanismo molto complicato di doppia “spalmatura” e di riversamento di voti da una lista all’altra nelle coalizioni, che non interessa comunque il M5S).

Da parte degli osservatori al proposito del voto al Sud era stato completamente sottovalutato l’esito del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 (espressi in quell’occasione 32.852.112 voti validi, dato assolutamente in linea con quello del 2018) quando l’elettorato delle regioni meridionali aveva espresso un massiccio rifiuto della proposta avanzata dal governo Renzi in materia costituzionale.

E’ praticamente sparita, invece, quell’area di “centro” che nel 2013 si era raccolta attorno all’esperienza del governo Monti raccogliendo all’epoca 3.591.541. I residui di quell’operazione sono rimasti ben al di sotto della soglia di sbarramento: la lista “Noi per l’Italia” schieratasi con il centro destra ha raccolto soltanto 429.243 voti, mentre è risultata assolutamente clamorosa la débacle della lista Civica Popolare intestata alla ministra Lorenzin presentatasi in appoggio al PD ha ottenuto 177.013 voti restando al di sotto addirittura dell’1%. Sempre a fianco del PD non ha superato la soglia la lista +Europa, patrocinata da Emma Bonino, ma i suoi 833.472 voti potranno essere utilizzati dalla “casa madre” democratica in occasione dell’assegnazione dei seggi parlamentari. Insignificante il richiamo “ulivista” di “Insieme” (con socialisti e verdi) con 195.966 voti.

A sinistra non ha evidentemente funzionato la proposta di “Nuovo Centrosinistra” (tentando di rappresentarne l’ala sinistra) avanzata da Liberi e Uguali (debole per questa formazione è risultata anche l’espressione di leadership). LeU ha raccolto 1.113.758 voti (sempre in riferimento ai suffragi espressi verso i candidati nell’uninominale), esattamente gli stessi voti ottenuti nel 2013 da SeL, presentatasi allora in coalizione con il PD (1.089.231). L’apporto dei leader degli ex–DS usciti nel frattempo dal PD può essere in questo senso giudicato quasi ininfluente.

Ancora a sinistra da segnalare gli oltre 372.000 voti ottenuti dalla Lista di Potere al Popolo. La lista Rivoluzione Civile, pur allora comprendente Rifondazione Comunista aveva ottenuto 765.189 voti: si potrebbe quindi parlare, per via di affinità, di una flessione ragguardevole.

Pur tuttavia Potere al Popolo ha presentato un’impostazione affatto diversa rispetto ai cartelli di sinistra già presenti nel passato (ricordiamo l’Arcobaleno nel 2008) e quindi può essere considerata come una formazione del tutto esordiente, espressione del mancato coagulo a sinistra che era stato avanzato qualche mese fa dalle cosiddette “Assemblee del Brancaccio”.

Infine, una curiosità riguardante la lista neo-fascista di CasaSterlina che è stata oggetto, nel corso della campagna elettorale, di svariate attenzioni: CasaSterlina c’era già nel 2013 con 47.911 voti (una lista Fiamma Tricolore ne aveva realizzato 44.408 e Forza Nuova 90.047). Nel 2018 CasaPound sembra aver polarizzato l’insieme di queste formazioni di estrema destra raccogliendo 312.100 voti sfiorando l’obiettivo dell’1% (0,95%). Un segnale comunque da raccogliere.

Fin qui una prima analisi del voto basata sulle cifre assolute, sarà il caso di ritornare sull’argomento quando avremo la definitiva assegnazione dei seggi anche per valutare l’effetto distorsivo nel rapporto voti / seggi che avrà avuto questa complicata formula elettorale.

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