L’oligarca Petro Porošenko non è più Presidente dell’Ucraina golpista; al suo posto subentra lo showman Vladimir Zelenskij, pedina riconosciuta dell’oligarca concorrente Igor Kolomojskij. Rispetto ai primissimi exit poll, che davano il comico televisivo al 78,8% e Porošenko al 21,2%, il risultato che pare ormai pressoché consolidato (come sempre, il computo definitivo necessita di verifiche che andranno avanti qualche giorno) dopo lo scrutinio del 91% delle schede, vede Zelenskij attestarsi attorno al 73%. A poco sembra ormai servire il 54,73% dei voti a favore di Porošenko, da lui raccattati dopo lo scrutinio della totalità dei seggi all’estero.
Tutte le previsioni delle ultime settimane sembrano così essersi avverate: dal viatico di Emmanuel Macron al giovin candidato, al peso “relativo” di Angela Merkel nell’assicurare a Porošenko, al massimo, il rinvio della galera e addirittura – come gli viene promesso a parole dall’avversario – un posticino da qualche parte della struttura golpista ucraina. D’altronde, le esternazioni di Vladimir Zelenskij a proposito dei suoi rapporti con “i banditi del Donbass”, lasciano intendere che l’esperienza dell’ex Presidente possa essergli oltremodo utile e quest’ultimo ha dichiarato di non voler “lasciare la politica”.
Senza voler indagare tanto a fondo, dopotutto, le mosse di quei vertici internazionali che davvero contano in Ucraina (e non solo) non lasciavano particolari speranze a una figura divenuta abbastanza scomoda per la rappresentazione che dell’Ucraina postmajdan si vuol dare a livello internazionale. Per il servizio che il paese è chiamato ad assicurare nello scenario geopolitico, di contenimento della Russia, la figura del Presidente non è poi quella che più conta. Lo aveva ribadito a inizio aprile la delegata regionale della Banca Mondiale, Satu Kahkonen, rivolgendosi al rappresentante speciale USA per l’Ucraina, Kurt Volker, dando per ormai certa la vittoria di Zelenskij e scrivendo nero su bianco di voler vedere sulla poltrona di Primo Ministro l’attuale Ministro degli interni Arsen Avakov, che, alla fine, si è rivelato davvero l’ago della bilancia di tutta la campagna elettorale, con il suo peso nelle strutture di polizia e con le proprie posizioni apertamente filo-Zelenskij.
Quest’ultimo, stando alle prime dichiarazioni del suo quartier generale, avrebbe intenzione di “avviare contatti con la Russia”, per “concludere la guerra nel prossimo futuro”. Dal canto suo, Porošenko, secondo copione, ha confermato che la sua frazione, alle elezioni parlamentari d’autunno, farà di tutto per impedire la formazione di una “maggioranza filo-russa” alla Rada: “Il nuovo presidente avrà una forte opposizione, molto forte” ha detto. In ogni caso, ha dichiarato ancora Petro, “nessuno ha mai dubitato che io personalmente e tutta la mia squadra siamo pronti a dare una mano al presidente in tutte le sue decisioni che incontreranno gli interessi nazionali dell’Ucraina e ci avvicineranno all’Unione europea e alla NATO”.
Mancano ancora reazioni dirette della leadership russa, che certamente attende il risultato definitivo del voto. Nelle passate settimane, quasi a rispondere a quanti, non solo in Ucraina, tendevano a presentare Zelenski, come “agente del Cremlino”, la Russia aveva puntualizzato quanto poco consone fossero all’appianamento dei rapporti tra Mosca e Kiev, varie esternazioni del candidato, a proposito della “annessione della Crimea”, della “aggressione russa”, del “Donbass come territorio occupato”, ecc. Oggi, la portavoce del Ministero degli esteri, Marija Zakharova, ha scritto su feisbuc che, con l’elezione di Zelenskij, l’Ucraina ha la possibilità di “riavviare” il proprio corso, “non nel senso di una ridistribuzione” dei flussi di capitali “da una tasca all’altra; ma in senso reale ... non sulla base della forza, ma sulla base di un’agenda nazionale”. Tutto da vedere. Di fatto, da queste elezioni presidenziali sono stati esclusi alcuni milioni di cittadini ucraini rifugiati in Russia dopo il golpe del 2014 e gli abitanti delle Repubbliche popolari del Donbass.
Proprio dalle scelte nei confronti del Donbass, Vladimir Zelenskij dimostrerà quanto di diverso il suo patron, l’oligarca Igor Kolomojskij, finanziatore dei nazisti di Prevyj Sektor, si differenzi dall’oligarca momentaneamente messo all’angolo Petro Porošenko. Tra poco più di una settimana, ricorre il tragico quinto anniversario di quel massacro di innocenti antimajdanisti perpetrato, il 2 maggio 2014 alla Casa dei sindacati di Odessa, dai nazisti che fanno capo, tra gli altri, allo speaker della Rada Andrej Parubij; una carneficina di cui le “indagini” ufficiali hanno sinora incolpato solo il “forte vento”. Vedremo se “l’uomo nuovo” Vladimir Zelenskij avrà qualcosa di diverso da dire.
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