di Michele Giorgio
«Prima gli italiani», urlano Matteo Salvini e i leghisti. Dovrebbero
piuttosto gridare «Prima l’Amministrazione Trump» visto che il governo
Conte, per compiacere la Casa Bianca, non ha usato l’esenzione di sei
mesi (fino al 2 maggio) dalle sanzioni Usa concessa da
Washington a otto paesi, tra cui l’Italia, che comprano (o compravano)
petrolio in Iran. L’ambasciatore dell’Iran a Roma, Hamid Bayat, ha chiarito che l’Italia «non importa una singola goccia di petrolio dalla Repubblica islamica» e che in realtà l’esenzione «era stata concessa all’Eni» che non l’ha mai usata per non urtare la suscettibilità di Trump. Il
Cane a sei zampe da parte sua conferma di non aver comprato petrolio in
Iran, di avere in quel paese contratti ormai in scadenza e, di
conseguenza, di non temere le sanzioni Usa verso chi manterrà rapporti
commerciali ed economici con Tehran.
Quindi l’Italia non subirà i riflessi della mossa americana
che fa fatto schizzare verso l’alto il prezzo del greggio?
Nient’affatto. Michele Marsiglia, presidente di FederPetroli Italia, suona l’allarme. «Le
sanzioni Usa contro l’Iran – spiega – sono un segnale evidente per
dirottare approvvigionamenti di greggio su altri Paesi, una manovra
commerciale che scavalca le regole di libera concorrenza dei mercati e
mira a stravolgere le politiche commerciali del Medio Oriente. Dopo la
Libia si punta sull’Iran» (e il Venezuela, aggiungiamo noi). Altrettanto preoccupata è la Coldiretti.
«In un Paese come l’Italia dove l’85% dei trasporti commerciali avviene su gomma – ricorda la maggiore associazione dell’agricoltura italiana
– l’aumento dei prezzi dei carburanti ha un effetto valanga sulla spesa
con un aumento dei costi di trasporto oltre che di quelli di
produzione, trasformazione e conservazione». Insomma l’aumento del
prezzo del petrolio causato dalla politica aggressiva di Trump contro
l’Iran, è destinato a colpire anche l’economia italiana di fatto già in
recessione.
L’Iran da parte sua prova a ribattere colpo su colpo. Heshmatollah Falahatpisheh, presidente della Commissione sicurezza nazionale e politica estera del Parlamento, ha
bollato le mosse della Casa Bianca come «bluff politici» e si è detto
certo che le esportazioni di petrolio non scenderanno mai sotto un
milione di barili al giorno. L’assemblea parlamentare iraniana
ha approvato una legge che inserisce il Comando centrale americano
(Centcom) nella lista delle organizzazioni terroristiche. Ma la politica americana dell’accerchiamento ed isolamento ha già i suoi effetti.
Parla chiaro lo stop alla crescita e l’impennata dell’inflazione. La
caduta libera del Rial inoltre ha causato una drastica perdita di potere
d’acquisto delle famiglie. Le possibilità di resistere sono
legate al comportamento che avranno nel medio e nel lungo periodo i
maggiori acquirenti di greggio iraniano, Cina e India, che affermano di
volersi smarcare da Washington.
Per scongiurare gli scenari peggiori, Tehran sta stringendo i
rapporti anche con la Turchia, sapendo che su Erdogan non si può fare troppo
affidamento. Lo dimostra la collaborazione sulla crisi siriana
in corso con Ankara – che assieme a Mosca e Tehran fa parte del gruppo
di Astana – segnata da alti e bassi e da interessi troppo divergenti. In
fase di sviluppo è il rapporto con il Pakistan, paese satellite
dell’Arabia Saudita alla quale, in cambio di ingenti aiuti finanziari,
fornisce consiglieri e personale militare e conoscenze nel campo
dell’energia atomica. La recente visita del primo ministro pakistano Imran Khan a Tehran ha fornito segnali confortanti per gli iraniani
nonostante le accuse lanciate proprio in quei giorni dai (famigerati)
servizi segreti di Islamabad secondo i quali l’Iran non farebbe
abbastanza per fermare i jihadisti-separatisti del Beluchistan che
agiscono lungo tutta l’area della frontiera tra i due paesi. Un’accusa
che contrasta con la realtà che vede l’Iran come vittima principale
degli attentati dei separatisti. Detto ciò il presidente Hassan
Rohani e Imran Khan hanno avviato un dialogo produttivo, almeno in
apparenza, su temi economici e sulla costruzione di infrastrutture
energetiche che fa storcere non poco il naso a Washington e Riyadh.
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