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25/04/2019

Iran - Italia già allineata alle sanzioni USA

di Michele Giorgio

«Prima gli italiani», urlano Matteo Salvini e i leghisti. Dovrebbero piuttosto gridare «Prima l’Amministrazione Trump» visto che il governo Conte, per compiacere la Casa Bianca, non ha usato l’esenzione di sei mesi (fino al 2 maggio) dalle sanzioni Usa concessa da Washington a otto paesi, tra cui l’Italia, che comprano (o compravano) petrolio in Iran. L’ambasciatore dell’Iran a Roma, Hamid Bayat, ha chiarito che l’Italia «non importa una singola goccia di petrolio dalla Repubblica islamica» e che in realtà l’esenzione «era stata concessa all’Eni» che non l’ha mai usata per non urtare la suscettibilità di Trump. Il Cane a sei zampe da parte sua conferma di non aver comprato petrolio in Iran, di avere in quel paese contratti ormai in scadenza e, di conseguenza, di non temere le sanzioni Usa verso chi manterrà rapporti commerciali ed economici con Tehran.

Quindi l’Italia non subirà i riflessi della mossa americana che fa fatto schizzare verso l’alto il prezzo del greggio? Nient’affatto. Michele Marsiglia, presidente di FederPetroli Italia, suona l’allarme. «Le sanzioni Usa contro l’Iran – spiega – sono un segnale evidente per dirottare approvvigionamenti di greggio su altri Paesi, una manovra commerciale che scavalca le regole di libera concorrenza dei mercati e mira a stravolgere le politiche commerciali del Medio Oriente. Dopo la Libia si punta sull’Iran» (e il Venezuela, aggiungiamo noi). Altrettanto preoccupata è la Coldiretti. «In un Paese come l’Italia dove l’85% dei trasporti commerciali avviene su gomma – ricorda la maggiore associazione dell’agricoltura italiana – l’aumento dei prezzi dei carburanti ha un effetto valanga sulla spesa con un aumento dei costi di trasporto oltre che di quelli di produzione, trasformazione e conservazione». Insomma l’aumento del prezzo del petrolio causato dalla politica aggressiva di Trump contro l’Iran, è destinato a colpire anche l’economia italiana di fatto già in recessione.

L’Iran da parte sua prova a ribattere colpo su colpo. Heshmatollah Falahatpisheh,  presidente della Commissione sicurezza nazionale e politica estera del Parlamento, ha bollato le mosse della Casa Bianca come «bluff politici» e si è detto certo che le esportazioni di petrolio non scenderanno mai sotto un milione di barili al giorno. L’assemblea parlamentare iraniana ha approvato una legge che inserisce il Comando centrale americano (Centcom) nella lista delle organizzazioni  terroristiche. Ma la politica americana dell’accerchiamento ed isolamento ha già i suoi effetti. Parla chiaro lo stop alla crescita e l’impennata dell’inflazione. La caduta libera del Rial inoltre ha causato una drastica perdita di potere d’acquisto delle famiglie. Le possibilità di resistere sono legate al comportamento che avranno nel medio e nel lungo periodo i maggiori acquirenti di greggio iraniano, Cina e India, che affermano di volersi smarcare da Washington.

Per scongiurare gli scenari peggiori, Tehran sta stringendo i rapporti anche con la Turchia, sapendo che su Erdogan non si può fare troppo affidamento. Lo dimostra la collaborazione sulla crisi siriana in corso con Ankara – che assieme a Mosca e Tehran fa parte del gruppo di Astana – segnata da alti e bassi e da interessi troppo divergenti. In fase di sviluppo è il rapporto con il Pakistan, paese satellite dell’Arabia Saudita alla quale, in cambio di ingenti aiuti finanziari, fornisce consiglieri e personale militare e conoscenze nel campo dell’energia atomica. La recente visita del primo ministro pakistano Imran Khan a Tehran ha fornito segnali confortanti per gli iraniani nonostante le accuse lanciate proprio in quei giorni dai (famigerati) servizi segreti di Islamabad secondo i quali l’Iran non farebbe abbastanza per fermare i jihadisti-separatisti del Beluchistan che agiscono lungo tutta l’area della frontiera tra i due paesi. Un’accusa che contrasta con la realtà che vede l’Iran come vittima principale degli attentati dei separatisti. Detto ciò il presidente Hassan Rohani e Imran Khan hanno avviato un dialogo produttivo, almeno in apparenza, su temi economici e sulla costruzione di infrastrutture energetiche che fa storcere non poco il naso a Washington e Riyadh.

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