Lo stop era atteso e nella notte italiana, il pomeriggio negli Stati
Uniti, è arrivato: il presidente statunitense Trump ha posto il veto
alla risoluzione del Congresso che avrebbe posto fine al coinvolgimento degli Usa
nella guerra in Yemen al fianco dell’Arabia Saudita.
“La risoluzione è un tentativo non necessario e pericoloso di indebolire i miei poteri costituzionali – ha scritto Trump
nel messaggio che accompagna il veto – mettendo in pericolo le vite dei
cittadini americani e dei coraggiosi membri dei servizi, oggi e in
futuro”.
Il blocco da parte della Casa Bianca della mozione votata da Senato e Camera era attesa. Trump
non può permettersi di mettere in pericolo i rapporti, strettissimi,
con la famiglia reale saudita. Ma è comunque un atto che mostra ancora
una volta le fratture interne sia tra la presidenza e il Congresso sia
all’interno del partito repubblicano. Nelle due camere alcuni
repubblicani hanno votato insieme ai democratici, rigettando di fatto
uno dei pilastri della politica estera trumpiana in Medio Oriente:
l’alleanza con l’Arabia Saudita, e in particolare con il principe
ereditario – ma il reggente de facto di Riyadh – Mohammed bin Salman.
Il Congresso ha fatto leva sul War Powers Act del 1973, legge che
riconosce ai parlamentari il diritto di decidere se, quando e dove
coinvolgere l’esercito americano in un conflitto militare. Alla
Camera la mozione è passata con 247 sì e 175 no, al Senato con 54 voti a
favore e 46 contrari, non abbastanza per impedire il veto: sarebbe
servita la maggioranza dei due terzi per bypassare Trump.
Al veto hanno reagito i due parlamentari che hanno promosso per primi
la mozione. Il senatore democratico Bernie Sanders, si è detto “deluso,
ma non sorpreso”. Il deputato democratico Ro Khanna ha definito la decisione
“una dolorosa opportunità persa”. A ringraziare, invece, il
presidente Usa sono stati gli Emirati Arabi, protagonisti al fianco di
Riyadh della guerra allo Yemen iniziata nel marzo 2015 e impegnati in
particolare nel sud del paese: “L’asserzione di supporto del
presidente Trump alla coalizione araba in Yemen è un segnale positivo”,
il commento del ministro degli Esteri emiratino Anwar Gargash.
Resta, così, il sostegno militare iniziato sotto la presidenza Obama:
supporto logistico, intelligence condivisa, rifornimenti aerei e
soprattutto i miliardi di dollari in armi che fanno degli Usa il primo
esportatore militare all’Arabia Saudita. Ma non è detto che finisca qui:
indiscrezioni interne al Congresso riportano dell’intenzione di
alcuni parlamentari di proseguire nella battaglia alla guerra contro lo
Yemen.
Una guerra devastante per la popolazione del paese più povero del Golfo:
il veto, dice il presidente dell’International Rescue Committee, David
Miliband, “è di fatto la luce verde a una strategia di guerra che ha
creato la peggior crisi umanitaria del mondo”. Dopo 19mila raid aerei
della coalizione contro lo Yemen, si contano quasi 60mila morti, 22
milioni di persone – l’80% della popolazione – bisognosa di aiuti
umanitari, 85mila bambini morti di fame, migliaia di morti per colera.
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