di Pino Dragoni
Con l’88,8% dei
voti validi vincono i «Sì» e passa la controversa riforma costituzionale
fortemente voluta dal presidente al Sisi e dai suoi sostenitori.
Tra accuse di compravendita di voti, la censura di internet, e la
repressione delle opposizioni, il regime ha spinto sull’acceleratore per
chiudere il più rapidamente possibile la partita su una riforma senza
precedenti per l’Egitto. Prevedibile il risultato. Molto meno
l’affluenza, che secondo i dati ufficiali è stata del 44,3% su 61
milioni circa di aventi diritto.
IN UN PRIMO MOMENTO le autorità avevano dichiarato
che ci sarebbero voluti tra i tre e i cinque giorni per i risultati
ufficiali. Dopo il bombardamento mediatico delle ultime settimane,
improvvisamente a urne chiuse sul referendum era calato un silenzio
inusuale. Sin dalle prime ore della serata di lunedì è stato
impedito ai magistrati che monitoravano le operazioni di spoglio di
rilasciare dichiarazioni ufficiali. Nessun dato
sull’affluenza, niente exit poll, e sui maggiori canali televisivi erano
stati persino cancellati i programmi previsti per seguire e commentare
le notizie sul voto, come è sempre accaduto in tutte le tornate
elettorali dal 2011 in poi. Poi l’annuncio a sorpresa dell’Autorità
nazionale per le elezioni nel tardo pomeriggio di ieri, con la
convocazione in tutta fretta di una pomposa conferenza stampa.
C’erano pochi dubbi su un risultato già dato per scontato in
partenza. Impossibile anche pensare a una bocciatura della riforma che
permetterà di far restare al Sisi in carica fino al 2030, oltre ad
estendere la sua autorità sulla magistratura, e ad ampliare enormemente
il ruolo politico dell’esercito.
LA VERA SFIDA PER IL REGIME era quella di portare
alle urne il maggior numero possibile di persone, per investire di
legittimità popolare il riassetto totale delle istituzioni statali in
chiave ancora più autoritaria. E a sorprendere davvero è proprio
il dato sull’affluenza, considerando che numeri del genere sono
paragonabili soltanto ai primi due anni del post-rivoluzione, quando
l’entusiasmo per la «transizione» era ai massimi storici, così come la
fiducia nei processi elettorali. Difficile però in ogni caso verificarne l’attendibilità, vista l’assenza di osservatori nazionali e internazionali credibili.
LE OPERAZIONI DI VOTO sono iniziate sabato, appena
tre giorni dopo che la riforma era stata approvata dal parlamento a
larghissima maggioranza. Ma la macchina di propaganda del regime si era
messa in moto già da settimane per invitare la gente a partecipare e
votare «Sì», quando ancora i dettagli delle modifiche non erano
definitivi. Numerose fonti indipendenti hanno riferito di come
fosse invece impossibile scovare per le strade dell’Egitto qualsiasi
traccia di una campagna per il «No». Nella giornata di lunedì
un giovane è stato arrestato per essersi fatto fotografare in pubblico
con un cartello fatto a mano su cui aveva scritto «No alla riforma
costituzionale». La petizione online lanciata da alcuni attivisti di
opposizione è stato invece oscurata nel giro di poche ore, riuscendo
comunque a raggiungere centinaia di migliaia di adesioni.
IL VOTO È STATO MACCHIATO inoltre da numerose
denunce di compravendita dei voti. In molti tra giornalisti, attivisti e
cittadini hanno diffuso sui social media video e racconti che
testimoniano come in alcune zone popolari del Cairo siano stati
distribuiti scatoloni di prodotti alimentari o buoni acquisto a chi
dimostrava di aver votato, una scena tipica delle elezioni dei tempi di
Mubarak. L’agenzia di stampa Associated Press ha riferito di votanti
trasportati in massa ai seggi da autobus e minivan tappezzati di
manifesti a favore del referendum. Il sito egiziano indipendente
Mada Masr, entrato in possesso di una delle «scatole del referendum»,
ha pubblicato una scheda con una lista dei prodotti contenuti: pacchi di
pasta, riso, olio, zucchero, salsa di pomodoro e sale, per un valore
totale di circa 38 pound (2 euro).
IL REFERENDUM è stato però anche un’occasione per rinserrare i ranghi delle opposizioni. Abbandonando
una lunga tradizione di boicottaggio delle urne (in tempi di elezioni
autoritarie, partecipare può significare una legittimazione del potere),
questa volta molti attivisti, intellettuali e organizzazioni politiche
hanno deciso di convergere su una campagna per il «No».
L’avvocata Mahinour el-Masry (a cui è stato impedito di votare perché
arrestata in passato) ha spiegato: «È un messaggio e un gesto per dire
che siamo ancora vivi».
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento