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26/04/2019

L’incontro Putin-Kim e il pericolo nucleare


Tra il sopralluogo a Čita, capoluogo del Territorio del Transbajkal (la regione a est del lago Bajkal sconvolta da una settimana da un esteso incendio che ha distrutto edifici, ucciso migliaia di capi di bestiame e distrutto ettari di boschi) e la partecipazione al Second Belt and Road Forum for International Cooperation, a Pechino, il 25 aprile Vladimir Putin si è incontrato a Vladivostok con Kim Jong Un, confermato appena due settimane fa Presidente del Consiglio di stato della RPDC.

Al termine dell’incontro, i due leader si sono detti soddisfatti del colloquio faccia a faccia, definito da Putin “circostanziato”.

“Il presidente Kim Jong Un è una persona aperta, che discute liberamente su tutte le questioni all’ordine del giorno: relazioni bilaterali, sanzioni, rapporti con le Nazioni Unite e con gli Stati Uniti e, ovviamente, sull’argomento principale, la denuclearizzazione della Penisola coreana”, ha detto Putin, ripreso da Interfax, aggiungendo che è necessario muoversi “gradualmente verso questo obiettivo”. La RPDC ha “bisogno di garanzie di sicurezza” e sarebbe il caso di “pensare a garanzie internazionali”, ha detto ancora il leader russo.

Nell’incontro, protrattosi per tre ore e mezzo, invece dell’ora prevista, i due leader hanno discusso anche di progetti energetici congiunti, in particolare di un gasdotto e un oleodotto dalla Russia alla Penisola coreana. Per quanto riguarda progetti di collegamento ferroviario tra il sud della Penisola coreana, il nord e la Russia, con allacciamento alla Transiberiana, Putin ha sarcasticamente notato che “sembra esserci un deficit di sovranità per decisioni definitive. Ci sono alcuni obblighi di alleanza della Repubblica di Corea nei confronti degli Stati Uniti”.

Al nodo delle questioni, Kim ha chiesto a Putin di informare delle sue posizioni la parte americana e il Presidente russo ha dichiarato che gli interessi di Mosca e di Washington sulla questione nordcoreana coincidono ampiamente. Vladimir Vladimirovič ha anche sottolineato che sarà necessario utilizzare il formato a sei per i negoziati sulla Penisola coreana, tanto più che Pyongyang “ha bisogno di garanzie di sicurezza non solo dagli Stati Uniti o dalla Corea del Sud”.

Putin ha anche dichiarato che Kim condivide la posizione sulla non proliferazione delle armi nucleari: “Ho avuto l’impressione che il leader nordcoreano abbia lo stesso nostro punto di vista: ha solo bisogno di garanzie sulla sicurezza, tutto qui”. Nel complesso, ha detto Putin, il colloquio “ha riguardato la storia delle nostre relazioni, la situazione odierna, le prospettive di sviluppo delle relazioni bilaterali. S’intende, abbiamo discusso della situazione nella Penisola coreana”.

Una situazione che è ovviamente legata alle mosse statunitensi e, in particolare a quelle spesso impreviste di Donald Trump che, dopo le tempeste per lo più verbali (ma non solo: basti ricordare le continue “esercitazioni” militari aero-navali yankee a ridosso dei confini nordcoreani o lo schieramento del sistema missilistico THAAD in Corea del Sud) si era incontrato con Kim a Singapore a giugno 2018 e poi ancora a Hanoi nel febbraio scorso.

La Tass riporta alcuni brani dell’intervista di Donald Trump al canale Fox News, secondo cui il Presidente USA, riferendosi proprio all’incontro Putin-Kim, avrebbe dichiarato che “Oggi ho saputo di come il presidente Putin in Russia abbia dichiarato di essere lieto di avere l’opportunità di aiutare gli Stati Uniti con il leader Kim Jong Un e la Corea del Nord. Noi vogliamo sbarazzarci delle armi nucleari, tutti dobbiamo farlo. La Russia se ne deve sbarazzare, la Cina se ne deve sbarazzare”.

Giovedì, la CNN, citando anonimi funzionari della Casa Bianca, ha annunciato che Trump intenderebbe mettere a punto un progetto di accordo sulla riduzione delle armi nucleari – testate e missili – con Russia e Cina.

Già nel 2010, nota la Tass, Mosca e Washington avevano firmato il Trattato sulle misure per l’ulteriore riduzione e limitazione delle armi offensive strategiche (START III), secondo cui ciascuna delle parti avrebbe dovuto ridurre tali armi, in modo che nel giro di sette anni il numero totale non superasse 700 unità di missili balistici intercontinentali (ICBM), missili balistici su sommergibili (SLBM) e su bombardieri pesanti, 1.550 testate, 800 unità di lanciatori, schierati e non dispiegati. Il trattato dovrebbe scadere nel 2021, a meno che, prima di allora, non venga sostituito da un nuovo accordo; oppure, può anche essere prorogato per non più di cinque anni. E Mosca, scrive la Tass, chiede a Washington di non differire la decisione sulla sua proroga dell’accordo, definendolo il “gold standard” nel campo del disarmo.

E’ così, forse, che l’ambasciatore USA a Mosca, John Huntsman, che nei giorni scorsi aveva ammonito la Russia riferendosi al potenziale da guerra delle portaerei “Abraham Lincoln” e “John C. Stennis” nel Mediterraneo, ha ora deciso di parlare di pace, scrive topwar.ru. Lo ha fatto ieri, per l’anniversario della storica stretta di mano sull’Elba tra soldati sovietici e americani, il 25 aprile 1945.

Ma se il linguaggio deve proprio essere quello delle portaerei, scrive topwar, allora è il caso di ricordare che da qui a fine anno Mosca pianifica di effettuare i primi lanci dei nuovissimi missili ipersonici “Tsirkon” basati su nave, più esattamente sulla fregata “Admiral Gorškov”, dotandone poi anche le fregate della stessa classe “Admiral Amelko” e “Admiral Čičagov”. “Tsirkon” può raggiungere gli 8-9 M di velocità, con un raggio ufficiale di 500 km (reale: oltre 1.000 km, da superare in circa 6 minuti) e, stando alle stime odierne, nessuna portaerei americana disporrebbe al momento di efficaci difese contro tali missili. Tra l’altro, il “Tsirkon” è stato visto come la risposta russa al ritiro degli Stati Uniti dal Trattato INF, da cui poi anche Mosca ha dichiarato di ritirarsi.

Qualche giorno fa, la Tass riportava il rapporto pubblicato nel 2017 dal SIPRI di Stoccolma, secondo cui il numero totale di armi nucleari nel mondo sarebbe stato “in calo”: sceso da 15.395 testate a 14.935 tra il 2016 e il 2017. All’inizio del 2017, scriveva il SIPRI, 9 potenze – Stati Uniti, Russia, Gran Bretagna, Francia, Cina, India, Pakistan, Israele e RPDC – disponevano di oltre quattromila unità di armi nucleari schierate operativamente. Di fatto, tale misera riduzione, era dovuta a USA e Russia, i cui arsenali costituiscono circa il 93% del totale. Tuttavia, osservava il rapporto, nonostante lo START-3, il “tasso di riduzione rimane lento e, oltre ciò, Stati Uniti e Russia stanno portando avanti una modernizzazione su larga scala dei propri arsenali nucleari”.

Ma, ovviamente, il pericolo rimane quello del “dittatore” nordcoreano!

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