Michele Giorgio – Il Manifesto
«È una coda lunga almeno
un chilometro, c’è un benzinaio in fondo alla strada e le auto che sono
in fila per fare rifornimento paralizzano il traffico. Così è anche in
altri punti di Damasco». Rimasto imbottigliato in un ingorgo su via
Baghdad in direzione di piazza Tahrir, un nostro conoscente siriano
impiegato nella realizzazione di progetti umanitari, ci raccontava ieri
mattina i riflessi più diretti in Siria del razionamento e dell’aumento
del prezzo del carburante deciso dal governo a causa delle sanzioni
varate dall’Amministrazione Trump contro Tehran e Damasco.
Il provvedimento ha generato malumori e innescato qualche isolata protesta nella capitale e in altri centri. La
popolazione non può permettersi di pagare la benzina a prezzo di
mercato. In Siria il costo della benzina è calmierato e lo Stato
tradizionalmente garantisce sussidi per tenere basso il prezzo del
carburante. Ma benzina e gasolio ora scarseggiano e il governo,
con le casse vuote dopo otto anni di guerra, pur garantendo ancora ai
cittadini siriani una quota di 100 litri di carburante al mese a prezzo
sussidiato (prima erano 200), non ha potuto far altro che autorizzare la
vendita di benzina a prezzi di mercato.
«I normali automobilisti – ci ha spiegato il nostro
conoscente – possono comprare solo 20 litri di benzina ogni cinque
giorni e le abituali attività quotidiane di tante famiglie ne hanno
subito risentito. I tassisti possono rifornirsi di 20 litri
ogni due giorni e i motociclisti di tre litri ogni cinque giorni». Sui
social alcuni siriani raccontano di aver trascorso la notte in macchina
pur di assicurarsi la benzina a prezzo calmierato.
Il ministero del petrolio promette di approntare stazioni di
rifornimento mobili e di attivare misure per controllare la quantità del
carburante erogato ed impedire abusi e vendite al mercato nero. Assicura
che farà il possibile per rendere di nuovo operativi i giacimenti di
petrolio e di costruire nuovi depositi nelle aree liberate da jihadisti e
islamisti radicali che per anni hanno combattuto contro il governo e il
presidente Bashar Assad. Una promessa irrealistica visto che
la maggior parte dei giacimenti di petrolio e gas del paese sono sotto
il controllo delle “Forze democratiche siriane” (combattenti curdi e
arabi) sostenute dagli americani nella Siria nordorientale. Sono in
corso trattative tra Damasco e i curdi siriani e qualche giorno fa
centinaia di autocisterne hanno raggiunto il Rojava e sono tornate a
pieno carico.
Ma si tratta di un palliativo e una soluzione ampia della crisi non è a portata di mano. La
Siria consuma 100mila barili di petrolio al giorno e ne produce 24mila.
Fino allo scorso anno il paese, colpito dalle sanzioni e dal
boicottaggio attuato dai leader arabi nemici di Assad, si riforniva
grazie a petroliere iraniane che partendo dal Golfo e percorrendo il
canale di Suez consegnavano nei porti siriani sul Mediterraneo
2-3 milioni di barili di greggio al mese. Poi a novembre 2018 il Tesoro
degli Stati Uniti ha minacciato di sanzioni tutti coloro che continuano
ad avere rapporti economici e commerciali con l’Iran e a trasportare il
petrolio destinato alla Siria.
Il primo ministro Imad Khamis qualche giorno fa ha chiamato
indirettamente in causa l’Egitto denunciando che alle petroliere con il
carburante iraniano verrebbe impedito di raggiungere i porti siriani perché non autorizzate ad entrare nel Mediterraneo attraverso Suez. Il Cairo non conferma ma il quotidiano libanese Al-Akhbar
sostiene che la Siria non sarebbe ancora riuscita a convincere il
presidente egiziano Abdel Fattah el Sisi a non tenere conto delle
minacce degli Stati Uniti.
Altre fonti affermano che el Sisi avendo escluso (per ora) l’ingresso
dell’Egitto nella nascente “Nato araba” sponsorizzata da Washington e
Riyadh, allo scopo di compiacere Donald Trump avrebbe garantito il
rispetto del suo paese delle sanzioni Usa contro Tehran e Damasco. Altri
ancora ipotizzano che la penuria di carburante sia dovuta alle fatture
non pagate all’Iran che avrebbe interrotto la spedizione del petrolio.
Tesi smentita da Iran e Siria, secondo la stampa araba.
L’unica alternativa al momento al blocco di Suez è il trasporto via
terra del petrolio. Tehran ha già inviato in Siria attraverso l’Iraq
1200 autocisterne che diventeranno 1500 alla settimana nel prossimo
periodo. Ma non è detto che questa soluzione sia duratura. Washington è
pronta a fare pressioni sul governo di Baghdad che non ha mai escluso
del tutto la possibilità di rispettare, almeno in parte, le sanzioni Usa
contro l’alleato Iran.
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