Non si placano le tensioni in Libia tra il generale ribelle Haftar e il premier al-Sarraj. Giunti
all’undicesimo giorno di battaglia, il bilancio provvisorio è di almeno
di 147 morti (13 civili) e 614 feriti. E’ salito anche a 18.500 il
numero degli sfollati (2.500 nelle sole ultime 24 ore), di cui 1.500 hanno trovato ospitalità in rifugi collettivi mentre altri a casa di parenti e amici. Ma
a preoccupare l’Onu è anche la sorte di 1.500 migranti rinchiusi in 3
centri di detenzione vicini alla capitale (Qasr Ben Gashir, Abu Salim e
Gharyan) dove da giorni infuriano gli scontri tra gli uomini di
Haftar (il capo dell’autoproclamato Esercito nazionale libico, Enl) e
le milizie armate alleate al governo riconosciuto internazionalmente di
al-Sarraj. Particolarmente difficile è la situazione a Gharyan dove si
teme ormai imminente un nuovo attacco: ieri sono arrivati carri armati,
droni e rinforzi da est. Insieme al materiale bellico, secondo quanto
riporta il qatariota Arab 21, sono giunti anche consiglieri militari
francesi in sostegno del generale.
Preoccupante è anche la situazione a Gasr Garabulli dove da due giorni l’Unhcr distribuisce aiuti umanitari alla popolazione. Haftar,
che domenica ha incassato al Cairo il sostegno del presidente egiziano
al-Sisi, non riesce a sfondare le linee “nemiche” come aveva
inizialmente previsto. La sua offensiva sta rischiando di rivelarsi un flop.
Prima di tutto perché le sue truppe sono ancora ferme alla periferia di
Tripoli bloccate dalle milizie armate legate al governo al-Sarraj. In
secondo luogo per il numero finora abbastanza elevato di morti tra i
suoi uomini (un bilancio che di giorno in giorno si fa sempre più
gravoso) e perché, impegnato sul fronte occidentale del Paese, sta
avendo dei problemi a controllare le altre aree sotto il proprio controllo.
Soprattutto nel Fezzan, a sud, dove la situazione di tensione lo ha
costretto a rafforzare la sua presenza armata nel tentativo di difendere
i pozzi petroliferi. Non è tranquillissima nemmeno la situazione ad
est, a Bengasi, dove ieri il colonnello Abdel Marfaun, capo
dell’antiterrorismo della Cirenaica, è scampato ad un attentato
dinamitardo.
Il premier riconosciuto internazionalmente al-Sarraj, dal
canto suo, prova a giocare sulle paure dell’Europa pur di porre fine
alla minaccia rappresentata dal rivale dell’est. Ieri ha
parlato di “800.000 migranti pronti a partire” e di “libici in fuga
dalla guerra” nel caso in cui la situazione dovesse precipitare nel
Paese africano. Al-Sarraj sa bene che giocare sulla paura dei
migranti potrebbe fargli trovare molti alleati sulla sponda
settentrionale del Mediterraneo e non sorprende come queste sue
parole siano state pronunciate proprio alla vigilia dell’arrivo del suo
vice Maitig in Italia, tra i paesi europei in prima linea nella caccia
alle streghe contro i migranti. Intervistato dai giornali italiani, al-Sarraj
ha nuovamente attaccato Haftar perché con la sua avanzata ha bloccato
la conferenza nazionale sulla Libia che avrebbe dovuto tenersi in questi
giorni a Ghadames su iniziativa dell’inviato dell’Onu Salameh. Un vertice a cui il generale 75enne aveva dato il suo ok salvo poi rimangiarsi la sua parola 11 giorni fa.
Nei confronti di Haftar ha usato ieri parole durissime anche Salameh. Per
l’alto funzionario delle Nazioni Unite, il comandante dell’Enl ha
provato a compiere “un colpo di stato nel Paese piuttosto che
un’iniziativa di anti-terrorismo” come invece sostiene il capo
dell’Esercito nazionale. Il riferimento dell’inviato Onu è in
particolare al mandato di arresto che Haftar ha rilasciato contro
al-Serraj e ad importanti ufficiali di Tripoli. “Stiamo in una
situazione di stallo da 8 o 9 giorni in cui nessuna delle due parti può
raggiungere una vittoria militare”. L’alto diplomatico internazionale ha
sottolineato infatti come i 30 raid aerei compiuti a testa dalle
milizie che sostengono Tripoli e dall’esercito guidato dal generale non
abbiano sostanzialmente modificato la situazione sul terreno.
Ma l’appello a porre fine alle ostilità da parte dell’Onu
lascia il tempo che trova fintanto che Haftar può vantare amicizie
importanti decise a sbarazzarsi di al-Sarraj: dall’Arabia
Saudita (che, si dice, avrebbe finanziato l’avanzata), agli Emirati
Arabi Uniti, all’Egitto, alla Russia e, sebbene non ufficialmente, alla
Francia. Proprio Parigi ritiene il 75enne Haftar l’unico che può porre
fine al caos libico. Un caos che, forse “dimentica”, ha
contribuito a creare soprattutto lei dato che nel 2011, insieme
all’Italia, era in prima fila a sostenere la missione della Nato
anti-Gheddafi.
E mentre i combattimenti proseguono e al momento la tregua sembra essere una chimera, aumentano le preoccupazioni per i civili.
L’agenzia dell’Onu Ocha è ritornata a ripetere che colpire le strutture
civili è una violazione del diritto internazionale. Sulla stessa
lunghezza d’onda la missione Onu in Libia (Unsmil) che ha ricordato come
“bombardare le scuole, ospedali, ambulanze e aree civili è altamente
proibito”. L’Unsmil ha anche dichiarato che sta documentando questi casi
per portarli al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Sabato una scuola è
stata colpita da un raid attribuito da Tripoli alle truppe di Haftar.
Due missili sempre dell’Enl avevano preso di mira domenica un deposito
del ministero dell’istruzione. Risultato? 3,1 milioni di libri di scuola
andati in fumo. Con un tweet l’Ocha ha fatto sapere che 5 milioni di
testi e di risultati dell’esame nazionale sono andati distrutti.
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