Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

17/04/2019

Verso l’uomo solo al comando

Non ci interessiamo molto del quotidiano cicaleccio della “politica” italiana.

Non ci sembra utile correr dietro a battute via twitter che durano meno del tempo necessario a scriverle, perché sappiamo bene quali siano i limiti entro cui viene esercitata la “sovranità” delle scelte politiche – sia in campo economico che militar-diplomatico.

Ma ogni tanto qualche scontro vero, dentro il governo, c’è. Anche se si fa una certa fatica a distinguerlo dalle normali sciocchezze da campagna elettorale permanente.

Un esempio di questo scontro viene dall’incidente diplomatico senza precedenti tra il ministro dell’Interno e nientemeno che i vertici dello Stato maggiore della Difesa – i militari, insomma – dove al centro del contendere c’è in effetti una direttiva ministeriale, non un tweet.

Si tratta della “terza direttiva sul contrasto all’immigrazione clandestina” firmata da Salvini, scritta di corsa con l’intento esplicito di fermare una nuova missione della nave Mare Jonio, gestista dalla ong Mediterranea. Che è a sua volta una trovata a cavallo tra l’umanitario e l’elettorale, con protagonisti politici – Casarini, Fratoianni, ecc. – che non brillano affatto su altri fronti dello scontro politico e sociale.

Fosse soltanto uno scambio di dispetti tra ministri e ministeri, non varrebbe la pena di occuparsene. Di “scontri tra totani” ce ne sono anche troppi ogni giorno.

Ma, come ha spiegato un’alta fonte del ministero della Difesa all’AdnKronos – agenzia stampa solitamente ben introdotta negli ambienti militari – nello scrivere un testo con un fine così limitato, lo staff di Salvini ha pestato piedi ben più importanti.

“Una vera e propria ingerenza senza precedenti nella recente storia della Repubblica. Quel che è accaduto è gravissimo perché viola ogni principio, ogni protocollo e costituisce una forma di pressione impropria nei confronti del Capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Enzo Vecciarelli. Non è che un ministro può alzarsi e ordinare qualcosa a un uomo dello Stato. Queste cose accadono nei regimi, non in democrazia. Noi rispondiamo al ministro della Difesa e al Capo dello Stato, che è il capo Supremo delle Forze armate“.

Penosa la risposta di Salvini, che evoca la minaccia dell’Isis nascosto tra gli aspiranti naufraghi in fuga dai campi di concentramento libici sotto bombardamento. Senza neanche ricordarsi che laggiù, ora, c’è una guerra vera e propria, non un presunto “porto sicuro” affidato ai tagliagole stipendiati dal governo italiano.

Interpretare il potere di un ministero, sia pure importante, come un potere assoluto su tutta la macchina dello Stato è certamente una sgrammaticatura pesante. Che pone la solita domanda: uno che fa una cosa del genere, ci fa o ci è?

Le risposte possibili non sono molte. O lo staff leghista non conosce le regole costituzionali e le competenze istituzionali, oppure sa benissimo quel che fa e vuol produrre continuamente strappi in vista di obbiettivi non dichiarati.

Noi, ai cretini arrivati per sbaglio al potere, non abbiamo mai creduto. Nonostante parecchi degli attuali ministri sembrino usciti dalle selezioni del Grande Fratello o della Corrida.

Dunque questa progressione di forzature e scontri – in effetti non s’era sentito spesso un ministro della Difesa accusare quello degli Interni di “vaneggiare” – va riconosciuta come intenzionale e non come un incidente dovuto a manifesta incapacità.

E se andiamo con la mente alla storia di questo paese, da Tangentopoli in poi, passando per la caduta della “partitocrazia della Prima Repubblica”, all’ascesa di Berlusconi e Prodi, all’intervento dell’Unione Europea che portò al governo Monti, alla breve stagione del Matteo Primo (Renzi)... si vede chiaramente la progressione di una torsione istituzionale che mira alla centralizzazione del potere (residuo, come detto), in pochissime mani.

Meglio ancora, di un uomo solo al comando.

Ci avevano provato prima lo stesso Berlusconi, poi il guitto di Rignano sull’Arno (il Primo Matteo), con riforme costituzionali entrambe sagomate sul “piano di rinascita nazionale” del piduista Licio Gelli.

Il Secondo Matteo prosegue l’opera iniziata dai suoi predecessori. Ma ci sentiamo di escludere che sia lui lo “stratega”.

In quest’opera dei pupi che è diventata la “politica” italiana, quello che sta davanti sulla scena è solo lo straccio che deve attirare l’attenzione del toro.

Un po’ come accaduto con Berlusconi fino al 2011 e che è servito poi a far ingoiare il “pilota automatico” al posto di comando.

I maligni dicono che Draghi, tra una paparazzatissima messa insieme alla moglie e una laurea ad honorem, stia già scaldando i motori...

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento