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10/11/2019

Bolivia - “Quelli di Santa Cruz”, lì dove parte il golpe contro Evo Morales

Il cuore del tentativo golpista in Bolivia non poteva essere che a Santa Cruz. A forte maggioranza bianca che odia gli indios, è la seconda città per importanza della Bolivia. Qui, negli alti edifici e nelle sontuose ville di periferia, vivono i magnati dell’agricoltura e dell’industria petrolifera boliviana, quelli che con il governo popolare di Evo Morales hanno perso molti dei loro privilegi. Qui nacque il capitalismo diceva con una estremizzazione, ma non senza ragione, Eduardo Galeano parlando della Bolivia coloniale ne “Le vene aperte dell’America Latina”.

Priva di sbocchi sul mare (perso con la violentissima guerra con il Cile nel 1879-84) e ricca di risorse energetiche e minerarie (dal gas al litio), la Bolivia era tra le nazioni più povere del Sudamerica ma tra le prime per crescita economica nell’ultimo quindicennio, ossia da quando governa Evo Morales e il suo Mas (Movimento Al Socialismo). Il PIL della Bolivia si è incrementato in media del 4% annuo (trend confermato dalle stime per il 2019), quello pro capite è triplicato. È la conseguenza della stagione progressista sudamericana, oggi contrastata dagli Stati Uniti e dal ritorno di governi conservatori in Brasile e Cile, fermata in paesi come Argentina e contrastata apertamente in Venezuela.

Il Paese può essere diviso grosso modo in due parti. Da un lato le regioni occidentali (tra cui La Paz e Cochabamba) in cui è maggiore il peso demografico indigeno (in primis Amyara e Quechua); dall’altro la regione di sud-est, una “Media Luna” composta dai dipartimenti di Santa Cruz, Tarija, Chuquisaca (nei quali non a caso la maggioranza dei voti è andata a Mesa) e Beni, dove sono ubicati i principali distretti agroindustriali e gasieri del paese (la Bolivia detiene le seconde maggiori riserve del Sudamerica). Si tratta dei tradizionali centri di potere bianchi e mestizos, minati dall’ascesa di Morales, in particolare le élite di Santa Cruz. Proprio da qui è partita l’offensiva reazionaria contro le scelte anti-liberiste e indigeniste del presidente della Bolivia. Nel 2008 da qui parte un progetto di secessione della Bolivia per separare la “Media Luna” dal resto del paese. Un progetto di cui il razzismo contro gli indios è parte identificante e unificante.

Per dirne una. Nell’Alto Parapeti, dipartimento di Santa Cruz, gli agenti dell’Inra (Istituto nazionale per la riforma agraria) inviati dal governo hanno scoperto, nel 2009, dieci latifundios concentrati nelle mani di solo cinque famiglie ed estesi su una superficie complessiva di 36mila ettari. Parecchie centinaia di famiglie guaraní erano costrette a vivere e lavorare su questi latifondi, senza ricevere alcun salario e senza nessun altro tipo di compenso. Le terre su cui lavoravano questi schiavi sono state allora espropriate. Il 14 marzo 2009, Evo Morales si è recato di persona nell’Alto Parapeti per consegnare agli Anziani delle comunità guaraní i loro titoli di proprietà.

Ed è proprio a Santa Cruz che nel 2011 viene organizzato l’attentato contro Evo Morales (sventato). I finanziatori della rete di “uomini neri” che doveva uccidere Morales, erano alcuni importanti uomini d’affari di Santa Cruz, rifugiatisi poi all’estero tranne l’ex militare in pensione Lucio Anez Rivera. Si tratta di Alejandro Melgar (dirigente della Camera di Commercio, Industria e Turismo di Santa Cruz, collaboratore della organizzazione statunitense Human Rights Foundation e attualmente negli USA); Hurtado Vaca (dirigente della società Telefonica e finanziatore dell’ospitalità a Santa Cruz della cellula terrorista); Lorgio B. A., conosciuto come “Yoyo” possiede tre emittenti radio di Santa Cruz e fa parte del comitato civico “Pro Santa Cruz” che propugna la secessione dalla Bolivia.

Il vero padrone di Santa Cruz e capofila del movimento secessionista contro la Bolivia di Evo Morales è un altro boliviano di origine croata: Branko Goran Marinkovic Jovicevic. Il padre era un ustascia croato fuggito in Bolivia alla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Marinkovic è accusato di essere diventato uno degli uomini più ricchi del paese fregando proprio le terre abitate dagli indios Guarayno e di pensare ad un modello di secessione di Santa Cruz simile a quello che portò alla secessione della Croazia dalla Jugoslavia. Marinkovic da tempo si è rifugiato in Brasile.
A Santa Cruz agiscono organizzazioni come l’Unione Giovanile Crucenista (di cui abbiamo parlato ed è agli ordini di Brannko Marinkovic) e la Falange Socialista Boliviana che si ispira al franchismo spagnolo.

Nei mesi scorsi Evo Morales è stato fischiato chiamato «indio» e «lama», e gli studenti universitari sono scesi in strada gridando «chola ignorante» a Silvia Lazarte, l’indigena che presiede la costituente. Ma mentre bianchi ricchi e mestizos vorrebbero rovesciare Morales, i campesinos delle aree rurali sono schierati contro la manovra ordita dalla oligarchia di Santa Cruz. Si va allo scontro frontale tra classi e interessi sociali diversi e contrapposti tra loro.

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