Uno degli incubi peggiori degli Stati Uniti in relazione ai rapporti
transatlantici e al tentativo di contenimento della Russia sembra essere
sempre più vicino a diventare realtà dopo una decisione di importanza
fondamentale presa qualche giorno fa dall’autorità per l’energia della
Danimarca. La questione è quella del gasdotto Nord Stream 2 che, grazie
agli sviluppi più recenti, potrebbe vedere finalmente la luce nei
prossimi mesi, facendo aumentare la quantità di gas naturale russo
fornito all’Unione Europea.
La presa di posizione del governo di Copenhagen è arrivata dopo una
serie di ritardi, dovuti in larga misura a pressioni politiche
provenienti dagli Stati Uniti. Settimana scorsa è stata dunque approvata
la rotta definitiva del gasdotto, la terza presentata dal consorzio che
sta realizzando il progetto. Dal momento che essa attraversa le acque
comprese nella cosiddetta “zona economica esclusiva” della Danimarca,
una bocciatura poteva essere decisa solo per eventuali perplessità di
carattere ambientale e non, come accaduto per le richieste precedenti,
sulla base di riserve legate a ragioni politiche o di sicurezza
nazionale e internazionale.
Gli ostacoli solo in apparenza burocratici incontrati dal Nord Stream
2 determineranno comunque un ritardo nel completamento dell’opera di
svariati mesi rispetto alla data inizialmente prevista del 31 dicembre
2019. In parallelo, anche i costi sono destinati a lievitare, secondo
alcune stime di quasi 700 milioni di euro, in aggiunta al costo
complessivo preventivato di 9,5 miliardi.
Il Nord Stream 2 consiste nel raddoppio dell’infrastruttura già
esistente e che permette di trasportare annualmente 55 miliardi di metri
cubi di gas dalla costa russa nei pressi di San Pietroburgo alla
Germania settentrionale attraverso il Mar Baltico. Il gasdotto misura
1.200 chilometri e l’impianto risulta già completato nei tratti di mare
di Russia, Svezia, Finlandia e Germania. La sezione danese è di 147
chilometri e, passando a sud-est dell’isola di Bornholm, finirà per
collegare il gasdotto sottomarino ai terminal sulla terraferma tedesca.
La compagnia proprietaria del progetto è la russa Gazprom, ma a esso
partecipano finanziariamente anche l’austriaca OMV, l’anglo-olandese
Royal Dutch Shell, la francese Engie e le tedesche Uniper e Wintershall.
Saipem e la svizzera Allseas collaborano invece nel posizionamento
delle condotte attraverso cui transiterà il gas russo.
Fin dall’inaugurazione del progetto, il Nord Stream 2 è stato
fortemente contestato sia dal governo americano sia da Bruxelles e da
molti paesi dell’Europa orientale. Da Washington si è cercato in tutti i
modi di bloccare i lavori, sia attraverso pressioni su Berlino sia con
la minaccia di sanzioni. Al Congresso americano sono in stallo anche un
paio di proposte di legge che prevedono misure punitive contro le
compagnie che partecipano ai lavori. I tempi per un intervento efficace
sono però ormai ristretti e, soprattutto, il governo tedesco ha sempre
mostrato la ferma intenzione di resistere alle pressioni e di portare a
termine un gasdotto cruciale per i propri interessi economici e
strategici.
I motivi ufficiali dell’opposizione al Nord Stream 2 sono principalmente
due. Il primo è la crescente dipendenza dell’Europa dal gas russo, vale a
dire uno scenario che, in assenza di fonti diversificate di
approvvigionamento, metterebbe a rischio la sicurezza del vecchio
continente nel caso dovesse esplodere una qualche crisi con Mosca.
L’altra ragione è da collegare alla situazione che il completamento
del progetto creerebbe per l’Ucraina. Kiev rischia cioè di perdere
qualche miliardo di euro in diritti di transito per il gas che verrebbe
dirottato dai gasdotti in territorio ucraino alla rotta del Mar Baltico.
Paradossalmente, le due tesi contro il Nord Stream 2 sembrano
escludersi a vicenda, visto che l’auspicata riduzione delle forniture di
gas russo all’Europa comporterebbe appunto un ulteriore crollo delle
entrate per le casse ucraine.
Le preoccupazioni americane sono in realtà dovute ad altre
considerazioni. Quella più importante è di carattere geopolitico e
deriva dal fatto che il rafforzamento della posizione energetica di
Mosca rispetto all’Europa compromette la campagna anti-russa di
Washington. I legami sempre più stretti tra i paesi europei e la Russia
sul fronte energetico, in altre parole, rendono complicato il tentativo
degli USA di destabilizzare i rapporti sull’asse Mosca-Bruxelles e, in
un futuro non troppo lontano, potrebbero portare anche alla
cancellazione delle sanzioni imposte a Mosca per la crisi del Donbass.
Di riflesso, questa evoluzione, consolidata sempre sul piano
energetico dal progetto in corso del gasdotto “TurkStream”, è
potenzialmente in grado di incrinare le relazioni transatlantiche, già
messe in crisi su più fronti con l’avvento della presidenza Trump.
Ragioni economiche si intrecciano poi a quelle appena esposte. Gli
sforzi, finora vani, di limitare l’afflusso di gas russo in Europa
servono anche a promuovere le vendite di gas liquefatto (LNG) americano
da questa parte dell’Atlantico. Essendo questo prodotto decisamente più
costoso rispetto a quello russo, è evidente che la penetrazione nel
mercato europeo del LNG estratto negli Stati Uniti può avvenire solo
grazie alle pressioni o, più realisticamente, alle minacce del governo
di Washington.
Il dominio delle forniture russe di gas è dovuto in sostanza alla
convenienza che questa situazione rappresenta per l’Europa. Ciò spiega
anche perché il gas russo ha registrato afflussi da record sul mercato
europeo nel 2018, nonostante la retorica e i tentativi degli Stati Uniti
e di molti ai vertici UE per invertire la tendenza.
Anzi, le manovre per boicottare il Nord Stream 2 e, più in generale, la
partnership energetica russo-europea ha ottenuto il risultato contrario a
quello desiderato, poiché ha finito per gettare le basi dell’ulteriore
rafforzamento delle posizioni di Mosca in questo ambito su scala
globale. Per evitare i contraccolpi delle politiche occidentali, sempre
più ostili dopo il golpe di estrema destra in Ucraina del 2014, il
Cremlino aveva dato un nuovo impulso alla partnership strategica con la
Cina, all’interno della quale le questioni energetiche occupano un posto
di primo piano.
La Russia ha così stipulato da qualche anno un contratto di fornitura
di gas naturale con Pechino di proporzioni enormi e i lavori per la
realizzazione delle infrastrutture necessarie al trasporto sono ormai in
fase avanzata. Mosca, in definitiva, ha creato con successo
un’alternativa sul fronte orientale, riuscendo oltretutto e malgrado il
clima sempre più ostile ad espandere anche la propria presenza sul
mercato energetico europeo.
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