Quando i governi sono al servizio delle banche può accadere anche questo.
Banca Intesa, uno dei due principali istituti di credito italiani, ha presentato la sua trimestrale rivelando di aver conseguito utili superiori alle attese degli analisti (3,3 miliardi, nei primi nove mesi dell’anno), ma di certo non si accontenta.
Il suo amministratore delegato, Carlo Messina, ha infatti contestualmente illustrato un piano per aumentare vertiginosamente gli introiti. Come? “Mobilizzando” i 240 miliardi di risparmi degli italiani – di tutte le classi sociali che hanno un conto in banca, magari anche solo per ricevere stipendio o pensione –, convincendo quei correntisti timorosi ad affidarsi al “risparmio gestito”. Ossia alle Sgr controllate dalle banche.
In tal modo, va da sé, ci sarebbe un aumento delle entrate da commissioni e la banca potrebbe evitare di trasferire sui clienti i tassi di interesse negativi che da qualche tempo vanno scontando grazie ai quantitative easing della Bce.
Unico problema: per “convincere” davvero i prudentissimi risparmiatori italiani ad affidarsi alla speculazione finanziaria c’è necessità che lo spread tra Btp e Bund scenda sotto i 100 punti.
Su questo Messina è esplicito: “Se il governo farà il lavoro giusto di portare lo spread sotto i 100 punti base ci sarà una crescita significativa delle masse gestite e quindi un aumento delle commissioni”.
Cosa deve fare un governo per far scendere lo spread sotto quella quota? Ma è semplice! Deve superare le stesse richieste dell’Unione Europea e del Fiscal Compact, “sorprendere i mercati” con politiche di austerità severissime che riducano davvero il debito pubblico, et voilà... quei soldi “dormienti” sui conti correnti prenderanno a svolazzare in giro per il mondo, all’interno di “portafogli gestiti” da professionisti del settore.
L’a.d. Messina non sembra cogliere il lato debole della sua pensata. Per attuare quelle politiche di austerità bisogna tagliare la spesa pubblica, i servizi sociali (sanità, pensioni, istruzione, ecc), tenere bassi i salari e moltiplicare la precarietà del lavoro. Insomma, fare “politiche deflazionistiche” che comprimono la domanda interna e anche il “risparmio”.
Peggio ancora. Tagliando la spesa sociale, molti di quegli anonimi “correntisti” saranno costretti a metter mano ai risparmi per pagarsi cure mediche, istruzione per i figli, ecc. Insomma, a svuotare i conti, altro che darli in gestione alle banche...
Messina, che sa fare il suo mestiere, obbietterebbe che – in fondo – la quota di risparmi dormienti in mano a lavoratori dipendenti è poca roba. Il grosso di quei 240 miliardi appartiene infatti a titolari di imprese che hanno preferito “tesaurizzare” i profitti invece di investirli in attività produttive.
E qui è il punto. Se le imprese hanno raccolto – o sottratto – valore nella produzione in questo paese, le banche dovrebbero (secondo la funzione che dicono di assolvere) “convincerle” a investire in un incremento delle attività. Facendo così crescere l’economia del paese, aumentare la domanda interna e anche la massa dei profitti.
Invece no. Le banche dicono ai proprietari/azionisti delle imprese “date quei soldi a noi, li porteremo noi all’estero investendo in attività finanziarie anziché produttive”. Di fatto, lavorano per il degrado accelerato del paese e per la crescita dei propri profitti.
Borghesia compradora, viene definita di solito. Pirati arricchiti che sognano soltanto di scappare con il proprio “tessoro” in qualche paradiso fiscale e turistico.
Gente da spazzare via al più presto, per riprenderci in mano il nostro destino.
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