La Corte di giustizia dell’Unione europea dà ragione a Vivendi, boccia la legge Gasparri e apre a un “giro di vite” di enorme rilievo strategico nelle telecomunicazioni (tlc) italiane, potenzialmente decisivo per tutto l’assetto dell’Unione.
La sentenza della Corte
La legge Gasparri, istituita nel 2004 durante il secondo governo Berlusconi, sanciva che una società i cui ricavi superino il 40% nelle comunicazioni elettroniche non potesse conseguire ricavi maggiori del 10% in altri ambiti del Sistema integrato delle telecomunicazioni (Sit), evitando così un’eccessiva concentrazione nel mercato audiovideo.
È su questa legge che l’Agcom si era pronunciata nel 2017 per impedire a Vivendi di detenere contemporaneamente le sue quote in Telecom (primo azionista col 23,9% del capitale) e in Mediaset (secondo con il 28,8%, ma il 29,9% dei diritti di voto), costringendola a “parcheggiare” il 19,19% di Mediaset in Simon Fiduciaria, cui Mediaset ha sempre negato accesso e voto nelle assemblee del cda basandosi proprio sulla legge Gasparri.
Ma la Corte, rifacendosi all’articolo 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue), ha rigettato la legge in quanto «ostacola o scoraggia l’esercizio» da parte di Vivendi «della libertà di stabilimento garantita dal Tfue», ossia della libertà di concorrenza per un’impresa all’interno del confini dell’Ue.
Le conseguenze per Mediaset
La sentenza della Corte apre così la possibilità da parte di Vivendi, nonché di qualsiasi altra società interessata, alla scalata alla società della famiglia Berlusconi. Che infatti, a seguito della macigno calato dal Lussemburgo, si affretta a dichiarare l’interessamento di Mediaset per la “rete unica” nazionale, focalizzandosi sulla parte del “bicchiere mezzo pieno”.
“I mercati” per il momento apprezzano (Mediaset ieri chiudeva a +5,18%), considerando che agli investitori non interessa tanto la proprietà o l’aspetto strategico di un’acquisizione per un paese, quanto le possibilità di remunerazione del capitale investito, decisamente maggiore in presenza di un accordo ora necessario (e quindi più vicino) tra Mediaset e Vivendi, nonché della contemporanea opportunità di proseguire nella costruzione di un leader continentale delle televisioni (Media for Europe, Mfe, nell’idea di Berlsuconi).
Bocciata la legge Gasparri
Secondo la Corte «una restrizione alla libertà di stabilimento può, in linea di principio, essere giustificata da un obiettivo di interesse generale, quale la tutela del pluralismo dell’informazione e dei media», ma questo non avverrebbe per mezzo della legge Gasparri, giudicata non «idonea a conseguire tale obiettivo».
Se pur la prossima parola spetta al Tar del Lazio, sulla legittimità della delibera dell’Agcom che costrinse Vivendi a spostare le quote di Mediaset in Simon, la sentenza della Corte apre a scenari decisamente interessanti sia sulla rete unica sia, soprattutto, nella partita che l’UE prova a giocare nella competizione internazionale.
I dubbi per la rete unica
Una delle questioni ancora in ballo a seguito dell’accordo trovato tra governo e Tim sulla rete unica è l’accettazione del piano da parte di Bruxelles, che potrebbe storcere il naso di fronte al mantenimento della maggioranza assoluta delle azioni nel nuovo veicolo (FiberCop, fino al prossimo cambio di nome) da parte dell’azienda guidata da Luigi Gubitosi, impedendo così il corretto svolgimento delle pratiche concorrenziali nell’accesso al mercato – mantra ordoliberista per eccellenza – nella fattispecie della banda ultralarga.
Tuttavia, crediamo che la sentenza della Corte apra scenari potenzialmente più dirompenti nell’architettura generale dell’Unione, dando il là alla possibilità, fondamentalmente impedita fino a prima del Covid, di costruzione di “campioni europei” in grado di avere un ruolo nella competizione internazionale.
Un mattone per l’imperialismo made in UE?
Infatti, dal Lussemburgo arriva il via libera alla concentrazione in uno degli ambiti strategici par eccellenza del prossimo futuro, ossia le tlc.
Che la tendenza al monopolio, per tornare alle categorie marxiane, sia in realtà la conseguenza della libera concorrenza è un processo noto da tempo, ma il “progetto europeo a guida tedesca” si è sempre fondato sulla necessità di evitare la nascita di cartelli mono-oligopolistici in qualsiasi settore economico, previa – come afferma l’ideologia ordoliberale – la scorretta allocazione delle risorse e il fallimento del progetto sociale.
In realtà anche il fallimento dell’Ue è (o tale dovrebbe essere) risaputo da tempo. Non c’è infatti “sostenibilità capitalistica” possibile nel mazzolare sul lungo termine il reddito del lavoratore, che purtroppo per i padroni è anche il consumatore, ossia il “cliente”.
La Corte allora sembra recepire l’orientamento delle istituzioni dell’Unione successive alla pandemia, le cui conseguenze geopolitiche sono riassumibili nell’arretramento dell’egemonia statunitense su gran parte del globo, “liberando” spazi di concorrenza tra blocchi (come Russia, Cina e appunto Ue).
Il dinamismo di Macron in Medio Oriente, l’ingresso di Italia (e Germania) nelle operazioni militari nel Sahel, il fronte anti-turco nel Mediterraneo occidentale per le Zone economiche esclusive ecc., sono esempi di prove di crescita dell’Ue nel ruolo politico internazionale.
Ma il “capitalismo” è prima di tutto un modo di produzione basato sulla divisione in classi, e allora è dal “lato produzione” che l’Ue ha bisogno di aggiornare il suo mandato, se vuole competere coi giganti del resto del mondo.
È in quest’ottica che può essere letta la bocciatura della Corte della legge Gasparri: si scrive “non idonea a garantire il pluralismo”, si legge “blocca l’accentramento e la costruzione di un campione europeo”.
Le mire francesi in Italia
Un’ultima nota per un’evoluzione che anche su questo giornale è stata registrata da tempo, ossia quello degli interessi francesi, con imprese pubbliche e non, nell’economia italiana o nell’argine all’espansione di quest’ultima.
Tim e Mediaset sono i casi più in vista delle ultime settimane, ma si potrebbe citare la cantieristica navale, dove Macron impedì la scalata di Fincantieri alla Chantiers de l’Atlantique, proponendo invece una fusione al 49% per la prima; l’automotive, in cui la fusione Fca-Psa garantisce la maggioranza nel cda ai transalpini; il mercato borsistico, con l’interesse di Euronext – controllata dalla Caisse des dépots et consignations, la Cdp francese, e da Euroclear, finanziaria fondata da J. P. Morgan controllata anch’essa da capitali francesi – per la cessione di Borsa italiana da parte di London Stock Exchange Group.
E ancora la moda, la grande distribuzione, le banche, e – perché no – il settore siderurgico, visto che Arcelor Mittal è impresa non solo indiana, ma franco-indiana, e la chiusura dell’ex Ilva sembra il vero progetto della proprietà per accentrare la produzione negli altri siti. Altro che rilancio della città...
Insomma, una partita tutto di rilievo nella geografia dei rapporti di forza intra-europei, specialmente una volta completata la Brexit. Per Macron, l’Italia pare come la vittima designata del moderno colonialismo transalpino. Una sorta di “novello Nordafrica”.
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