Il 13 agosto i “contagiati del giorno” erano 523, la percentuale di tamponi positivi era l’1%, le persone in terapia intensiva 55, le persone ricoverate 786, i morti 6
Il 3 settembre i contagiati erano 1397, la percentuale di tamponi positivi l’1,5%, le persone in terapia intensiva 120, le persone ricoverate 1505, i morti 10
Il 23 settembre i contagiati erano 1640, la percentuale di positivi l’1,6%, le persone in terapia intensiva 244, le persone ricoverate 2658, i morti 20
Il 13 ottobre i contagiati sono stati 5900, la percentuale di tamponi positivi il 5,2%, le persone in terapia intensiva 514, i ricoverati 5076, i morti 41
Questa grossolana interpolazione in quattro punti ci dimostra che i numeri principali che restituiscono il quadro clinico della pandemia nelle attuali condizioni di contenimento hanno un andamento esponenziale che con lievi oscillazioni raddoppia ogni venti giorni. Ovvero il numero di persone in terapia intensiva, il numero di ricoverati, il numero di persone decedute raddoppiano ogni venti giorni!
Una situazione che ci porterebbe a fine novembre ad un numero di morti quotidiano già dell’ordine delle centinaia di persone, a un numero di ricoverati per covid nell’ordine di ventimila, a un numero di persone in terapia intensiva dell’ordine di duemila. A fine novembre avremmo cioè lo stesso quadro clinico sanitario di fine aprile (lascio stare l’aspetto dei tamponi perché sappiamo che allora era maggiormente sottostimato). Per la fine di dicembre avremmo un quadro tragico e simile ai momenti di picco della pandemia nell’aprile scorso e un sistema sanitario vicino al collasso malgrado l’aumento di posti letto e terapie intensive attuato dalle regioni. Anche perché a differenza di marzo-aprile scorso ora ci sono più epicentri dell’epidemia e non solo la Lombardia.
A quel punto, con i mesi più freddi che devono ancora arrivare, un pieno lockdown, sempre che non sia stato già decretato, sarebbe inevitabile. Cosa che con buona pace dei complottisti questo sistema economico-politico vuole scongiurare perché economicamente e politicamente ormai quasi insostenibile.
Le cose potrebbero però peggiorare anche più velocemente per il terzo indice che ho considerato: la percentuale di tamponi positivi sul totale è aumentata lentamente fino al 20 settembre per poi triplicare negli ultimi venti giorni!
Questo significa evidentemente che col ritorno alla nostra vita metropolitana ordinaria, scuole, trasporti, luoghi di lavoro... la circolazione del virus si è molto velocizzata ed il nostro sistema di tracciamento e contenimento non riesce a stargli dietro.
A dimostrazione che forse il problema non era solo la “movida”...
È chiaro che la mancanza di riaperture differenziate durante il lockdown e poi la stagione turistica ci hanno impedito di diventare covid-free e la seconda ondata è ripartita dal trampolino dell’estate che doveva invece “asciugarla”.
Tutte queste pillole di pessimismo per dire che sicuramente si deve fare qualcosa.
Il punto però è che ancora una volta il Dpcm vede solo il dito dei comportamenti personali (pianificati in teoria fin dentro al cesso di casa) ma dimentica la luna dell’organizzazione sociale e delle risorse per garantirla. Cosa è stato fatto, cosa si sta facendo:
a) per mettere in sicurezza i corridoi di accesso delle Rsa per anziani e in generale per decongestionarle;
b) per impedire che il contagio arrivi negli ospedali, attrezzando sempre percorsi separati, triage esterni e magari ospedali dedicati;
c) per moltiplicare il numero di test, specie su determinati gruppi sociali (penso ad esempio agli studenti). Per implementare la capacità e soprattutto la velocità del tracciamento (su questo altro che “immuni”, proprio le tanto decantate esperienze cinesi e coreani dimostrano che occorreva assumere centinaia e forse migliaia di persone per svolgere questo compito in maniera efficiente senza puntare solo a spremere il personale delle Asl già esistente). Diagnosi tempestive, ormai lo abbiamo imparato, sono fondamentali sia sul piano epidemiologico sia su quello clinico;
d) per coinvolgere più e meglio la medicina di territorio che è stata latitante anche perché disorientata, senza indicazioni e senza strumenti di protezione nella prima fase della pandemia. Per non dire del fatto che mi pare manchino ancora dei veri protocolli terapeutici domiciliari per le persone pauci-sintomatiche;
e) rispetto all’organizzazione dei trasporti, alle strutture scolastiche, ai controlli sulle situazioni lavorative, alle tecnologie di sanificazione ecc. che si ritrovano nelle stesse condizioni deficitarie e promiscue di prima;
f) last but not least per una campagna di informazione e sensibilizzazione intelligente, pianificata e non terroristica nè affidata alle invenzioni e alle speculazioni elettorali di guitti e ducetti locali;
g) per sostenere economicamente le famiglie e persone in quarantena, soprattutto quando appartengono ai ceti più deboli della società, dissuadendole cosi dal violarla per necessità;
Per non dire più in generale del problema del sostegno dei redditi delle fasce deboli dentro questa crisi e del baratro che ci aspetta sul fronte dei tassi di disoccupazione e del diritto alla casa appena finirà il blocco degli sfratti. È evidente che solo una patrimoniale poteva probabilmente consentire una vera pianificazione della fase due.
Tengo fuori contraddizioni ancora più basilari del sistema come il problema di mettere in discussione l’intangibilità dei brevetti quando uno dei pochi antivirali che si stanno dimostrando efficienti (il remdesivir) è stato quasi monopolizzato ad uso interno dagli Stati Uniti. Perché qui andremmo purtroppo nella fantascienza.
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