“Adesso è tardi per il contact tracing con questi numeri, bisogna diminuire i contatti personali e passare a chiusure via via più estese. Il virus passerà inesorabilmente dai giovani agli anziani facendo salire ricoveri. E purtroppo anche i decessi”. Ad affermarlo è il virologo dell’Università di Padova Andrea Crisanti, in una intervista a La Stampa.
È bene sapere che per contact tracing non si intende solo l’utilizzo di sistemi informatici come le app (vedi Immuni). Contact tracing, (cioè il tracciamento dei contatti) significa ricostruire le catene di contatti di persone positive al virus. Un tracciamento che può avvenire anche in maniera “tradizionale”, cioè intervistando le persone positive e risalendo alle situazioni nelle quali hanno potuto mettere a rischio la salute di persone vicine e provvedendo ad avvisarle.
Ma Crisanti va alla carica anche su un nuovo lockdown, vero e proprio convitato di pietra in queste settimane di escalation della pandemia. “Un lockdown a Natale è nell’ordine delle cose” afferma convinto il il virologo dell’Università di Padova, che mette anche in guardia sui rischi della nuova fase dell’epidemia di Covid.
“Via via che i casi sono aumentati, – ha detto in un trasmissione alla Rai – la capacità di contact tracing e fare tamponi è diminuita e si entra in un circolo vizioso che fa aumentare la trasmissione del virus”.
“Più che misure sui comportamenti occorre bloccare il virus: tra 15 giorni non non vorrei trovarmi a discutere di 10-12mila casi al giorno”, ha detto Crisanti.
A suo giudizio, con un lockdown a Natale “si potrebbe resettare il sistema, abbassare la trasmissione del virus, e aumentare il contact tracing”.
“Le previsioni non si fanno sui numeri dei nuovi contagi, bensì sul rapporto tra nuovi positivi identificati e persone in isolamento domiciliare. Per ogni nuovo contagiato è necessario identificare in media tra le 15 e le 20 persone con le quali è venuto a stretto contatto. Con oltre settemila nuovi casi di positività dovremmo rintracciare e mettere in isolamento domiciliare 140 mila persone. Invece leggo che nelle ultime 24 ore ne sono finite in quarantena appena 1.300. Vuol dire che il 95% di quelle persone potenzialmente infette circola liberamente per il Paese. È la Caporetto della prima linea difensiva, il contact tracing”, spiega Crisanti.
Ma sul convitato di pietra di un nuovo lockdown anche Conte ha dovuto dire qualcosa per contrastare i sempre più numerosi rumors su questa misura. “Non faccio previsioni per Natale. In questo momento prendiamo le misure più idonee per prevenire il lockdown” ha detto il presidente del Consiglio, rispondendo alla domande dei cronisti su un possibile lockdown a Natale ipotizzato dai virologi. “La situazione non può non preoccuparci – aggiunge – dobbiamo rispettare le regole ma i comportamenti devono essere conseguenti. Da questo punto di vista o vinciamo tutti o perdiamo tutti, non dipende solo dal governo. Smettiamo di fare polemiche, bisogna essere concreti, bisogna tutelare gli anziani e rispettare le regole”.
Il presidente del Consiglio ha le sue buone ragioni per dire di non fare polemiche in questo momento, ma diventa difficile non rammentare, come abbiamo fatto sistematicamente su questo giornale, che proprio le indecisioni sulle chiusure – tardive – nella prima fase della pandemia hanno portato alla sua esplosione. Non solo. L’aver subito il ricatto della Confindustria e del Partito Trasversale del Pil, per impedire chiusure “locali” nelle zone competitive del paese, ha poi costretto a fare un lockdown su tutto il territorio nazionale. Una misura estrema che dopo due mesi ha dato i suoi risultati ma con un altissimo costo economico e sociale. Poi questa estate c’è stato il libera tutti e un virus abbastanza localizzato nel Nord è dilagato in tutto il paese arrivando anche lì dove il servizio sanitario era collassato ancora prima della pandemia (vedi la Campania).
In questi mesi invece di intervenire decisamente e concretamente per rafforzare le strutture di medicina territoriale – che si rivela indispensabile – si è lasciato che la situazione rimanesse come prima. E strutture sanitarie già al collasso prima e durante la pandemia non potevano che peggiorare.
Adesso ci ritroviamo di fronte a quella che Forsyth definirebbe “una alternativa del diavolo”: un nuovo lockdown a livello nazionale o una diffusione della pandemia a livelli uguali o addirittura superiori a quelli dei marzo/aprile.
La Confindustria e il Partito Trasversale del Pil intendono impedire con ogni mezzo il primo scenario in nome dell’economia, mentre la tutela della salute collettiva e il buonsenso spingono in quella direzione. Altri paesi e altri modelli hanno fatto questa scelta (Cina, Cuba). Altri ancora ci si stanno approcciando come soluzione inevitabile (Francia, Spagna, Belgio). Infine ci sono paesi come Usa e Brasile in cui si è scelto consapevolmente di lasciar infettare e morire migliaia e migliaia di persone ritenendolo un costo accettabile per la tenuta del sistema.
Nel nostro paese c’è il tentativo – o forse l’illusione – di poter convivere con la pandemia riducendo i danni, intervenendo solo sui comportamenti individuali – anche in modo coercitivo – ma disegnando una società in cui l’unica attività consentita è quella legata alla produzione e all’economia. È uno scenario forse applicabile ai piccoli e medi centri urbani ma che va in crisi totale nelle grandi aree metropolitane dove concentrazioni di persone nei trasporti, negli snodi urbani e nei luoghi di lavoro sono inevitabili.
Agisce dunque una contraddizione insanabile tra economia e salute. E a questo punto si tratta di scegliere. Organizzando la società per resistere e sopravvivere o lasciando consapevolmente che una parte di essa venga sacrificata sull’altare del Pil. Ma non è un problema solo per l’Italia, è “il problema” di questo sistema dominante.
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