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10/10/2020

Strepitare sognando il Recovery Fund

La classetta politica nazionale, da qualche settimana, si agita come i pulcini nel nido: ognuno (ministri, presidenti di regione e ora anche i sindaci delle città metropolitane) spalanca la bocca pretendendo di avere un sostanzioso boccone del Recovery Fund.

Presi dalle necessità immediate delle campagne elettorali – fino al 20 settembre avevano pigolato molto i “governatori” delle Regioni, ora tocca ai sindaci che andranno alle urne a maggio 2021 – vendono la pelle dell’orso molto prima che si capisca dov’è nascosto...

Non sembrano insomma aver ancora compreso che quei soldi – a parte 20 miliardi che dovrebbero essere destinati all’Italia entro Natale – sono appesi a trattative lunghe, condizioni stringenti, interventi contrari sempre possibili da parte dei “frugali” che hanno ottenuto un potere di veto “soft” ma reale.

O meglio: lo sanno, ma lavorano per disgregare ancora un po’ la tela che tiene malamente insieme la “coesione sociale” di questo paese, strappata in alto dalle politiche europee e in basso da potentati locali che non hanno neanche più l’ambizione di diventare “nazionali”.

La tempistica prevista per il Next Generation Eu è molto lunga, come abbiamo illustrato già un paio di settimane fa, e l’incertezza sui contenuti reali – l’ammontare complessivo – cresce(rà) ad ogni passo.

Giovedì, per esempio, il Parlamento di Strasburgo ha fermato improvvisamente l’iter di approvazione dell’accordo di luglio – avvenuto nel corso del Consiglio Europeo dei Capi di stato e di governo – per disaccordi sostanziali sul bilancio Ue, cui il Recovery Fund è strutturalmente legato.

Siamo al primo passo di un lungo percorso ad ostacoli, ma già si inciampa.

Formalmente lo stop è dovuto al fatto che il Parlamento (l’unico al mondo privo di potere legislativo...) chiede di aumentare gli stanziamenti su 15 capitoli di spesa della proposta di bilancio, tra cui i programmi per la digitalizzazione, il lavoro e il sociale.

In più, chiede di legare l’erogazione dei fondi al “rispetto delle regole dello stato di diritto”, mettendo così all’angolo paesi come Polonia e Ungheria, alquanto “disinvolti” nel trattare la materia costituzionale.

Sembrerebbe un “passo avanti” verso un piano migliore, più ampio e più “democratico”. E critiche esplicite vengono rivolte alla Germania, che sta gestendo il suo semestre di presidenza col freno a mano tirato.

“I colloqui sul bilancio Ue sono interrotti. Senza una valida proposta da parte della presidenza tedesca dell’Ue per aumentare i massimali, è impossibile andare avanti. I margini e la flessibilità sono per esigenze impreviste, non per trucchi di bilancio”, scrive il portavoce del Parlamento Ue, Jaume Duch, annunciando lo stop ai negoziati sul budget 2021-2027.

Ma l’effetto complessivo sarà necessariamente un altro, visto che gli accusati di oggi non mancheranno di far sentire il proprio peso già domani.

Al di là dei battibecchi “normali” in sede parlamentare – “schermaglie”, le ha definite il ministro dell’economia Gualtieri, per minimizzare – è infatti il clima generale che risulta fuori fase.

Gli interessi dei vari paesi, a seconda delle condizioni in cui si trovano attualmente, promettono di scaricarsi su ogni passaggio, da qui alla fine del prossimo anno (quando, nella più ottimistica delle previsioni, i soldi del Recovery Fund dovrebbero cominciare ad arrivare ai singoli Stati; ovviamente a rate e con robuste “verifiche” sul rispetto delle “raccomandazioni” di Bruxelles).

Insomma, anche un “europeista senza se e senza ma” dovrebbe temere incagli che peserebbero sulla varie scadenze. Altro che “pretendere” di stabilire le priorità su come spenderli...

Ma bisognerebbe salire di almeno un paio di livelli, rispetto alla bassezza del dibattito politico italiano. E sarebbe pretendere troppo, da questa gente...

Nemmeno la pandemia, col suo carico di dimostrazioni inconfutabili (il collasso della sanità, il fallimento del privato, la centralità del “pubblico” per far fronte ai disastri, la superiorità della programmazione rispetto alla pura logica di mercato, ecc.) è stata fin qui in grado di modificare strutture mentali e capacità di reazione della “comunità europea”.

Nonostante stiano tutti affrontando già la “seconda ondata” – che costringe e costringerà ad adottare misure che in qualche modo incideranno negativamente sulle attività economiche, facendo saltare tutti i calcoli nonché le speranze per un “ritorno alla normalità” in tempi brevi – a Bruxelles e nelle principali capitali si ragiona come prima che tutto ciò accadesse.

Tengono, per il momento, solo da parte il bastone delle “politiche di austerità” con cui picchiare popolazioni e paesi già pesantemente impoveriti.

Se dovessimo considerarli davvero dei governanti preoccupati di “far grande” questo continente, dovremmo considerarli degli incapaci da ricoverare immediatamente.

Se invece li inquadriamo per quel che sono – killer antisociali al servizio di multinazionali e finanza speculativa – allora sono davvero molto efficienti.

E da combattere.

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