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05/10/2020

USA - La malattia di Trump e il Paese sull’orlo di una crisi di nervi

Abbiamo atteso per scrivere del contagio di Trump, perché sul tema il bombardamento mediatico mainstream era davvero eccessivo e non ci sembrava utile unirci al coro. Anche adesso, sarebbe facile – divertente, ma inutile – sbertucciare questo reazionario così furbo da restare appeso alle cazzate che ha seminato.

Restiamo sul lato serio della barricata, se possibile. Anche la malattia di Trump è un elemento della tremenda crisi che ha investito la principale superpotenza, quella che da 75 anni determina i destini dell’Occidente capitalistico e da 30 quelli di tutto il pianeta.

Che il “Presidente” si ammali con il virus che aveva prima negato, poi sottovalutato e infine – obtorto collo – “combattuto con la mano sinistra”, producendo per ora 210.000 morti e oltre il 20% dei contagiati al mondo, è sicuramente un segno di debolezza. La cintura di sicurezza intorno alla massima carica è un colabrodo. Inefficace e potenzialmente pericoloso anche su altri fronti.

Non tutti, “a sinistra”, sembrano cogliere la gravità della crisi di egemonia Usa in atto. Abituati dalla nascita (75 anni sono tanti...) a parlare dell’America come un mostro semi-imbattibile (nonostante il Vietnam...), e senza avversari dopo lo scioglimento dell’Urss, a molti risulta difficile dare il giusto peso alle tante smagliature in una corazza che sembrava d’acciaio.

Qualcuno ci ha anche criticato, arrivando a negare che la crisi di egemonia sia reale. Così, per restituire una “misura oggettiva”, preferiamo mostrare e far soppesare il comportamento della stampa cattolica, capace di questi tempi di uscite così audaci da ricordare la comunicazione situazionista di parte dell’antagonismo anni ’70.

Il titolo con cui l’Avvenire – quotidiano dei vescovi italiani, peraltro assolutamente reazionario sui temi propri della “dottrina” ecclesiastica – ha dato conto dello schiaffo inferto da Bergoglio a Mike Pompeo (venuto a pretendere l’annullamento degli accordi Vaticano-Cina), è degno di A/traverso...

Ma anche altri giornali di quella galassia stanno sfornando a getto continuo articoli che potrebbero addirittura apparire “antimperialisti”, per la verve polemica e la scoperta ironia che li accompagna. Ve ne proponiamo uno, scritto da Fulvio Scaglione, apprezzato analista di grande esperienza, apparso nientepopodimeno che su Famiglia Cristiana, probabilmente il settimanale più letto del Paese, perché distribuito la domenica fuori e dentro le parrocchie.

Buona lettura.

*****

La malattia di Trump e gli Usa sull’orlo di una crisi di nervi

Fulvio Scaglione – Famiglia Cristiana

Una gigantesca crisi di nervi. Questo vede, chiunque oggi guardi agli Stati Uniti d’America in quel momento di suprema definizione dell’identità nazionale che loro chiamano elezione del Presidente (solo loro possono chiamare questa roba “elezione”, e tra poco vediamo perché), che ha le modalità del melodramma a stelle e strisce: il film western, uno contro uno nella strada principale, fuori le pistole e il più veloce vince.

La malattia del Potus (President of the United States), della Flotus (First Lady of the United States) e di una ventina di collaboratori e funzionari della Casa Bianca, positivi al Covid 19 (che intanto negli Usa ha ucciso 207 mila persone e ne ha contagiate 7,3 milioni), proietta un’ombra di dilettantismo sul vertice della superpotenza e, soprattutto, getta nell’incertezza un’intera nazione.

Perché, come ha scritto Chris Cillizza, analista politico della Cnn, “nessuno ha la minima idea di ciò che adesso può succedere”. Questo in gran parte dipende dall’assurdità che da quelle parti chiamano sistema elettorale.

Qualche precedente. Nel 2000 fu la Corte Suprema, con la sentenza “Bush vs Gore”, a mandare Geroge W. Bush alla Casa Bianca. I giudici, infatti, sentenziarono che non si poteva trovare un sistema per ricontare in tempo utile i voti popolari della Florida, dove Bush aveva vinto con uno scarto inferiore allo 0,5%. E questo nonostante che sette giudici su nove concordassero sul fatto che le autorità della Florida (repubblicane come Bush) avevano violato le regole della correttezza elettorale autorizzando diversi sistemi di voto in diverse contee, e tre giudici su nove pensassero che la Corte Suprema della Florida avesse violato la Costituzione.

Nel 2016 Hillary Clinton ottenne due milioni di voti popolari più di Donald Trump, ma fu Trump a diventare Presidente.

Un sistema così chiaro e pratico che dal 2000 al 2016 le cause legali legate al voto presidenziale sono cresciute di tre volte, in attesa del nuovo record che, gli esperti ne sono sicuri, arriverà con questa elezione.

Con la malattia di Trump, a un mese dal voto, si rischia il tracollo finale. Intanto, la campagna elettorale sarà falsata. Il secondo dibattito con Joe Biden è fissato per il 15 ottobre, a Miami, proprio il giorno in cui Trump, nella migliore delle ipotesi, dovrebbe concludere la quarantena. Impossibile che ce la faccia.

Questo, ovviamente, nell’ipotesi che il Presidente sconfigga la malattia nei tempi previsti. Ma Trump ha 74 anni (Biden 78) e negli Usa 8 morti di coronavirus su 10 avevano più di 65 anni. È doveroso, quindi, fare anche le ipotesi peggiori.

Per esempio: Trump è malato e non può adempiere alle funzioni presidenziali. Si ricorre, in quel caso, al 25° emendamento della Costituzione, introdotto dopo il caos seguito all’assassinio di John F. Kennedy nel 1963. Ovvero, assume le funzioni di presidente il vice, in questo caso Mike Pence.

È un provvedimento temporaneo, a meno che la maggioranza dei membri del Governo non ritenga che il Presidente (sia lui d’accordo o no) è ormai incapace o impossibilitato a reggere il ruolo. Potrebbe essere il caso se Trump fosse gravemente malato, finisse in terapia intensiva o addirittura morisse.

Tutto questo, comunque, non ha nulla a che fare con il processo elettorale. Se Trump, per malattia o morte, dovesse abbandonare la corsa presidenziale, il Comitato nazionale repubblicano (168 notabili del Partito) dovrebbe riunirsi per trovare un nuovo candidato. Pence, il vice-presidente, sarebbe la scelta più ovvia. Il Comitato, però, non ha vincoli, potrebbe scegliere chiunque.

Torniamo però alla prima ipotesi: considerato che si vota il 3 novembre e che bisognerà in ogni caso attendere l’evolvere della malattia di Trump, ce la farebbero i repubblicani a trovare un candidato alternativo in, diciamo, venti giorni? E quante possibilità di vincere avrebbero Mike Pence, uomo di seconda fila, o quel candidato improvvisato, assente fino all’ultimo dalla campagna elettorale?

I repubblicani potrebbero anche chiedere un rinvio delle elezioni, ma con probabilità pari a zero di ottenerlo dal Congresso. Tutto questo nell’ipotesi più “banale”.

I tempi strettissimi dell’incrocio campagna elettorale-malattia di Trump offrono anche altri scenari. Potrebbe persino darsi che Pence diventasse Presidente, ma non fosse il candidato repubblicano per le presidenziali. O che Trump venisse comunque rieletto e, appena ridiventato Presidente, per ragioni di salute dovesse lasciar tutto in mano a Pence.

Nel frattempo, decine di milioni di schede elettorali sono già state stampate con il nome di Trump, e in certi Stati si è già votato, anche per posta. E qui si torna all’assurdità del sistema elettorale tipo “ognuno fa come gli va” e poi magari ti faccio causa.

Ci sono solo due Stati, Minnesota e Michigan, che permettono di annullare un voto già espresso. Tutti gli altri no. Come si fa a tornare indietro? Ancora una volta, quindi, l’America dipende da Donald Trump. Di fatto, tutti sperano che si rimetta e torni in campo. I repubblicani perché a questo punto non hanno altro. I democratici perché azzannare il rivale ospedalizzato sarebbe scorretto e impopolare e perché sperano che il Covid faccia perdere voti al Presidente che denigrava l’uso della mascherina.

Tutti gli altri perché, senza Trump, un’elezione così pasticciata e confusa proietterebbe una lunga ombra sul nuovo Presidente, e né Biden né (eventualmente) Pence avrebbero spalle abbastanza robuste da reggerla.

Per paradosso, la malattia potrebbe persino giovare a Donald Trump. Se la superasse in fretta, potrebbe ancora giocarsela da uomo forte che resiste a ogni avversità, da leader che non si piega nemmeno al contagio. Ma è dura e l’orologio corre.

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