È stata senz’altro un’idea meritoria quella degli organizzatori del Festival Milano Musica, la rassegna di musica contemporanea più seguita in città, di dedicare l’edizione 2020 a Luigi Nono di cui ricorre quest’anno il trentennale della scomparsa. Purtroppo il festival che aveva per titolo Caminantes, una composizione dello stesso Nono, è stato interrotto a causa della pandemia dopo le due prime serate.
In anni in cui diversi compositori manifestavano nel loro lavoro il proprio impegno politico, Luigi Nono (1924-1990) è stato colui che lo ha esplicitato più di ogni altro. Non fu facile, poiché, come scriveva Nono, “tra gli intellettuali, i musicisti sono forse politicamente i meno maturi. Un forte residuo idealistico nella concezione della musica, l’assenza di qualsiasi formazione politica, sommati a concreti interessi [...] rendono il nostro ambiente particolarmente conservatore”.[2]
Nemmeno fu facile perché Nono operava nel mondo della musica classica, terreno tradizionalmente riservato alle classi al potere, fatto che portò anche a episodi di incomprensione da parte del pubblico a cui voleva rivolgersi, cioè il proletariato e le classi popolari.
A dispetto delle teorie sull’autonomia dell’arte, Nono considerava la musica una funzione della società e per questo pensava che la composizione potesse essere un modo per modificarla. Nono considerava la composizione un atto di militanza, tanto che le sue opere hanno quasi tutte un riferimento politico, esprimendo con questo una visione che va molto oltre quella dell’intellettuale “impegnato”.
Nato nel 1924, come quasi tutti i compositori della sua generazione Luigi Nono incontrò la composizione dodecafonica negli anni immediatamente seguenti la seconda guerra mondiale. La dodecafonia, vietata e perseguitata dal nazismo come musica “degenerata”, divenne in quegli anni, forse per reazione, la lingua franca della nuova musica dell’Europa occidentale.
Luogo d’incontro dei compositori e musicisti di tutta l’Europa occidentale, ma a volte anche americani, furono i corsi estivi che si tenevano a Darmstadt, in Germania Ovest. Tali corsi estivi erano nati soprattutto per ragioni interne alla Germania, poiché destinati ad aggiornare musicisti e compositori tedeschi che non conoscevano le nuove tecniche e le nuove correnti di composizione a causa dei divieti imposti dal regime nazista verso la musica considerata “degenerata”.
Tuttavia, grazie agli inviti di carattere internazionale rivolti ai compositori di diversi paesi, tali corsi divennero negli anni '50 il luogo d’incontro privilegiato della nuova musica. Fu proprio in quella sede di confronto internazionale che si cominciarono a delineare le tendenze musicali che avrebbero egemonizzato almeno due decenni della musica occidentale, impersonate in primo luogo da Karlheinz Stockhausen, Pierre Boulez e, appunto, Luigi Nono, che dei corsi di Darmstadt divenne docente dal 1957.
Una triade di nomi la cui armonia fu proprio Nono a rompere, nel 1959, pronunciando a Darmstadt una lettura dal titolo Presenza storica nella musica d’oggi, che è rimasto uno dei testi fondamentali della sua linea musicale. In questa conferenza Nono denunciò la tendenza, che stava affermandosi, a non voler integrare i fenomeni artistico-culturali nel loro contesto storico, in rapporto alle loro origini e agli elementi che li hanno formati.
Soprattutto, Nono denunciò la mancanza di volontà di considerare il fenomeno artistico in rapporto alla sua capacità di intervenire sulla realtà presente e futura, bensì di ridurlo solo all’essere in quel preciso momento astorico e fuori dalla società, rifiutando, alla fine, la storia stessa e il suo processo di costruzione. Per Nono, il compositore agisce con i materiali e nel contesto storico dato dal suo momento e dalla sua società e appunto su questa deve intervenire.
La rottura fu netta, in particolare con Stockhausen, ma anche con John Cage, autore americano che al tempo influenzava anche il contesto musicale europeo.
In realtà, i rapporti con Stockhausen erano già diventati difficili quando quest’ultimo aveva dedicato a Il Canto sospeso (1956) un’analisi che dimostrava l’incomprensione delle scelte espressive adottate in quella circostanza da Nono. Ne Il canto sospeso Luigi Nono utilizza come testo per i cantanti e il coro alcune delle Lettere di condannati a morte della Resistenza Europea raccolte da Giovanni Pirelli. Tuttavia, Nono utilizza per il canto di questi testi una particolare tecnica di frammentazione sillabica nelle varie parti, tale da rendere il testo praticamente incomprensibile, nella maggior parte dei momenti, al semplice ascolto. Una tecnica che in realtà potenzia la drammaticità del testo, e che l’assorbe nel linguaggio musicale di Nono, ma che fu quasi derisa da Stockhausen.
Le contraddizioni tra Nono e Stockhausen si estendevano comunque ben oltre questo episodio e andavano a toccare la concezione stessa di ciò che doveva essere la musica nel Novecento. I corsi di Darmstadt, attraverso una feticizzazione del linguaggio dodecafonico ridotto a formule, erano giunti a un accademismo del comporre che ignorava completamente il rapporto con la realtà sociale.
Inoltre, alla fine degli anni '50, erano in pieno sviluppo le tecnologie elettroacustiche di produzione del suono e anche su questo terreno le visioni di Nono e Stockhausen divergevano. Infatti, in questo campo, Stockhausen assolutizzava la tecnologia, ne faceva un totem e pensava di poterla usare, come peraltro altri compositori, per risolvere problemi esecutivi e produzioni di suono a cui gli strumentisti difficilmente potevano rispondere.
Al contrario Nono, che compose per nastro magnetico e anche per live electronic, era lontano da tale visione tecnocratica, e immaginava la tecnologia come supporto all’espressione, allargamento delle possibilità per il compositore di superare la nota verso il suono, anche integrandolo con la presenza dell’esecutore.
Infatti, Nono ebbe importanti collaborazioni con gli strumentisti che più stimava, arrivando anche, a volte, a “costruire” dei brani in collaborazione, come avvenne con Gidon Kremer, Maurizio Pollini, Severino Gazzelloni, mentre per altri aspetti ebbe un’intensa collaborazione e amicizia con il direttore d’orchestra Claudio Abbado. Nono dava molta importanza agli esecutori e ne rispettava il lavoro, ritenendolo un contributo indispensabile per la buona realizzazione delle sue opere.
Di carattere diverso fu la polemica con l’americano John Cage. Nono e Cage dettero entrambi un contributo alla rottura del diaframma concettuale tra suono e rumore. In pratica per entrambi il “rumore” o meglio il suono quotidiano aveva legittimità a entrare nella musica. Tuttavia le intenzioni e le modalità con cui i due autori si mossero su questo terreno sono diverse.
Cage assunse il suono quotidiano nella musica all’interno di una poetica dell’indeterminatezza, dell’atemporalità, della “aleatorietà”, con la “materia alla quale si attribuiscono possibilità espressive in se stessa, mentre di fronte alle sue manifestazioni autonome lo spirito resta passivamente in adorazione”[3]. Un tipo di estetica, quello di Cage, in linea con la sua adesione ai pensieri e sentenze dei saggi del celeste impero e ad altre filosofie orientali per cui gli uomini e le donne non sono il motore che determina la storia.
Ben diverso l’approccio di Nono alla questione. Nono seppe annettere alla musica fenomeni considerati non musicali all’interno di un progetto determinato e che era temporalmente ben collocato nella realtà. Nel 1964 registrò i suoni dello stabilimento Italsider di Genova, che inseguito rielaborò e integrò con testi di Giuliano Scabia e Cesare Pavese per voce femminile. Ne risultò un brano assai duro nel documentare la realtà della fabbrica, una sorta di “lager” moderno, ma musicalmente altrettanto affascinante, che in seguito Nono portò, con la collaborazione del critico Luigi Pestalozza, in molte fabbriche dove lo propose all’ascolto e alla discussione degli operai.
L’idea che la musica dovesse uscire dai luoghi a essa deputati nella società capitalista era peraltro molto radicata in Luigi Nono, che detestava la sala da concerto tradizionale. Questo almeno per due ragioni, una sociale e una musicale, tra loro collegate. Infatti la sala da concerto è l’ambito dell’evento prima aristocratico poi borghese per eccellenza, ma è anche espressione della frontalità obbligata tra musicista e pubblico, che non consente altre dimensioni spaziali all’ascolto né alla perfomance. Un ambiente insufficiente e contrario alle concezioni di Nono, che vedeva nello spazio una dimensione del suono, come è testimoniato da diverse sue opere in cui l’organizzazione spaziale è fondamentale.
Un altro punto fondamentale della carriera di Luigi Nono fu l’attenzione al teatro, che lo portò a collaborare con diversi registi e in particolare con Erwin Piscator e Jurj Ljubimov. La sua prima opera compiuta che si possa definire veramente teatrale è Intolleranza 1960, un’azione scenica che fu rappresentata la prima volta al Teatro La Fenice, nel 1961, con la direzione di Bruno Maderna.
Si tratta di un lavoro in cui si intrecciano vari temi, come l’emigrazione (da pochi anni era avvenuta la strage di Marcinelle), l’intolleranza politica, il fascismo, il colonialismo. Un’opera che durante la sua prima, vide una parte del pubblico contrastare la rappresentazione, ma che raccolse la solidarietà della comparse, operai, arsenalotti, disoccupati che partecipavano all’azione scenica con entusiasmo perché finalmente, sulla scena, non recitavano ma “vivevano la loro vita”.
Proprio per questo, durante l’intervallo, le comparse si dichiararono decise a intervenire tra il pubblico contro i contestatori. Nelle serate successive, gruppi di fascisti si proposero di impedire la rappresentazione, ma furono scoraggiati dai militanti della sezione Giudecca del PCI, a cui Nono era iscritto.
Il tema del colonialismo e della lotta all’imperialismo è uno dei temi portanti delle opere di Luigi Nono. Il periodo del suo più esplicito impegno politico è quello degli anni sessanta e settanta, quando oltre alle grandi lotte operaie e studentesche nel nostro paese, molti paesi si liberano dal colonialismo o sono in guerra contro l’imperialismo, come il Vietnam.
Sono anche gli anni della guerra fredda, che segna profondamente la vita e l’opera di Nono. Non è un caso che il già citato Canto sospeso, opera di grande umanità, abbia trovato difficoltà a essere eseguito in Italia perché tra i testi scelti dall’autore c’è una lettera di una partigiana sovietica condannata a morte, cosa che non era gradita a quel tempo agli organizzatori italiani. Il Canto Sospeso, ebbe così la sua prima rappresentazione a Colonia nell’ambito di un festival di musica contemporanea ed è diventato in seguito una composizione esemplare per la speranza di un’Europa che, rinata dalla ceneri della guerra, trovi ragioni di solidarietà e giustizia.
L’opera musicale di Nono negli anni sessanta e settanta deve quindi essere contestualizzata tra due temi decisivi per la sua comprensione: la lotta internazionalista e la guerra fredda.
I viaggi compiuti in diversi paesi, soprattutto nell’America latina e a Cuba diedero particolare impulso all’impegno internazionalista di Nono, di cui ricordiamo come esempio A floresta è jovem e cheja de vida (1966) dedicata al Fronte di Liberazione del Vietnam e Como una hola de fuerza y luz (1971) in memoria del rivoluzionario cubano Luciano Cruz.
Non per questo sono da dimenticare altre opere, dedicate a tematiche diverse ma egualmente significative, come le musiche di scena (1965) composte per la rappresentazione di Die Ermittlung (L’Istruttoria) di Peter Weiss, messo in scena a Berlino dal grande regista e militante Erwin Piscator, da cui l’anno seguente Nono trarrà Ricorda cosa ti hanno fatto in Auschwitz.
Tale percorso ci porta al lavoro che rappresenta la sintesi tra il pensiero musicale e teatrale di Nono, Al gran sole carico d’amore, messo in scena per la stagione della Scala ma al Teatro Lirico di Milano, più adatto tecnicamente, con la direzione di Claudio Abbado e la regia di Jurij Ljubimov. Si tratta di una vasta azione scenica in cui sono utilizzati testi di vari personaggi della storia comunista o comunque rivoluzionaria: Bertolt Brecht, Tania Bunke, Fidel Castro, Ernesto “Che” Guevara, Dimitrov, Maksim Gorkij, Antonio Gramsci, Lenin, Karl Marx, Louise Michel, Cesare Pavese, Arthur Rimbaud, Celia Sánchez, Haydée Santamaría in combinazione con frammenti popolari scelti dallo stesso Nono e da Ljubimov.
Alcuni di tali personaggi sono anche rappresentati in scena a fianco di emigranti, operai e comunardi, poiché il riferimento storico principale dell’opera è alla Comune di Parigi, la cui storia è ricostruita attraverso la difesa di Louise Michel nel processo in cui fu condannata per la sua partecipazione alla Comune. Sul perché di tale riferimento, Nono ebbe a dire che la Comune rappresenta “un punto di partenza, sicuramente tra i più importanti, della lotta di classe, e nello stesso tempo un’occasione di riflessione e di analisi di errori compiuti in quella e in altre situazioni storiche”.[4]
Nono era reduce da un viaggio in Cile, che citò tra le fonti d’ispirazione dell’opera per quanto aveva potuto vedere delle conquiste del governo di Unidad Popolar ma anche delle sue contraddizioni ed errori. Un fatto significativo è anche il ruolo che Nono volle attribuire alla donna, non solo valorizzando le figure di Louise Michel e di Tania Bunke, ma anche ponendo l’attenzione sul ruolo liberatorio, sulle caratteristiche di lotta e di rottura della donna nel rapporto con la realtà sociale accompagnato dal tema dell’amore, visto come anelito alla liberazione della civiltà e non evidentemente nel senso romantico-individualista o familistico.
Anche in questa occasione le polemiche non mancarono e la stampa di destra gridò allo scandalo della Scala “profanata” dalle bandiere rosse massicciamente presenti sulla scena.
Si è molto discusso su una “svolta” che avrebbe contrassegnato l’opera di Nono negli anni '80, con particolare riferimento a Prometeo, (1984). In realtà, come hanno scritto Angela Ida De Benedictis e Veniero Rizzardi, curatori dei volumi degli scritti e delle conversazioni di Nono, più che di una svolta si trattò dello sviluppo e dell’evoluzione di idee già presenti nel lavoro di Nono, di un punto d’approdo verso l’esplicitazione di una tensione verso l’interiorizzazione del messaggio musicale, di un lavoro sul silenzio, sulla pausa, e di pianissimi alternati a esplosioni sonore.
Le scelte testuali furono curate da Massimo Cacciari che propose il sottotitolo di tragedia dell’ascolto e sono probabilmente meno “militanti” delle precedenti, ma anche il momento storico era ben diverso dagli anni settanta, con le difficoltà della rivoluzione socialista nel mondo e lo sbiadirsi di un processo collettivo di trasformazione della società. Tuttavia, Nono non mutò le sue convinzioni politiche di una vita e sbaglia chi lo sostiene.
Luigi Nono si iscrisse al PCI nel 1952, insieme all’amico e “maestro” Bruno Maderna. Non lasciò mai il Partito, nemmeno quando, al tempo della radiazione del gruppo del Manifesto dichiarò di condividerne le posizioni, seguendo però, alla fine, gli orientamenti di Ingrao. Tutto ciò tuttavia fa parte del modo in cui Nono visse la sua appartenenza al Partito, che fu più un’adesione e una partecipazione ideale che una militanza disciplinata nelle forme organizzate dello stesso.
Candidato per il PCI alle elezioni politiche del 1963, in seguito membro della Commissione nazionale musica e quindi persino del Comitato Centrale, Nono non partecipò mai a una riunione di queste due istanze. Per questo sbaglia chi ha voluto assimilarlo all’intellettuale di partito, che Nono non fu. Invece, fu un compositore militante, che vedeva nella musica una possibilità di emancipazione degli oppressi, di presa di coscienza verso la lotta per il socialismo e arma di propaganda politica, guardando a Brecht e ai tanti compositori tedeschi “degenerati” come Dessau o Eisler.
Scelse una strada difficile e stretta, instaurando un rapporto artistico non semplicistico con le classi popolari, normalmente lontane dalla musica classica, rimanendo completamente estraneo al realismo socialista e in un contesto musicale che certamente non gradiva le sue posizioni. Per questo la figura di Luigi Nono, a trent’anni dalla prematura scomparsa, appare ancora oggi un punto di riferimento di prima grandezza per chi veda nella musica un terreno d’impegno politico.
Tutte le opere di Luigi Nono citate nell’articolo sono disponibili per l’ascolto, integrale o antologico su Internet. Per informazioni più complete sulla vita e le opere del compositore, si può consultare il sito della Fondazione Archivio Luigi Nono inaugurata nel 1993 e oggi diretta dalla moglie Nuria Schönberg Nono.
Note:
1) La “nostalgia del futuro” è la risposta che Nono diede a un Questionario “Proust” per definire il tratto principale del suo carattere. Questa espressione è oggi anche il titolo di un libro antologico di scritti e interviste di Nono raccolte da Angela Ida De Benedictis e Veniero Rizzardi per Il Saggiatore, Milano, nuova edizione 2019.
2) Luigi Nono; Scritti e colloqui, Milano-Lucca, Ricordi-LIM, 2001, (a cura di Angela Ida De Benedictis e Veniero Rizzardi), vol. II, pag. 35
3) Op. cit. vol I, pag. 48.
4) Op. cit. vol. II, pag. 201.
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