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12/10/2021

Un Nobel per la pace sulla scia di Sakharov e Gorbačëv

Il Nobel per la pace 2021 è andato a due giornalisti: la filippina (oggi statunitense) Maria Ressa e il russo Dmitrij Muratov. Onestamente, non conosciamo Maria: constatiamo soltanto che scrive dagli USA, contro un Presidente filippino dalle relazioni non proprio “sicure” con Washington.

Per quanto riguarda Muratov, fondatore e direttore di Novaja Gazeta, conosciamo abbastanza questo giornale (su Cecenia, Repubbliche popolari del Donbass, falsi giornalisti “assassinati” e resuscitati in Ucraina, ecc.) e i suoi estimatori in Russia e in Italia, La Repubblica in testa.

Tutti fanno notare come Muratov sia il “terzo russo” (ma a Mosca precisano trattarsi del “primo russo” dopo “due sovietici”) a ricevere il premio, dopo Mikhail Gorbačëv (1990) e Andrej Sakharov (1975); quest’ultimo per la “lotta contro gli abusi del potere e ogni forma di oppressione della dignità umana".

Come sanno i lettori di questo giornale, non siamo certo estimatori del corso eltsiniano-putiniano russo; notiamo comunque come tutti loro, i Muratov, i Sakharov, i Gorbačëv, siano in buona compagnia, quali “paladini della pace”, per dire, con Lech Wałęsa o Barack Obama, o addirittura con la UE, insignita del Nobel nel 2012, perché “per oltre sei decenni ha contribuito all’avanzamento della pace e della riconciliazione della democrazia e dei diritti umani in Europa”.

Certo per i bombardamenti su Belgrado al carro di USA e NATO, prima che si cimentasse nel sostegno al golpe nazista in Ucraina.

La motivazione ufficiale del premio 2021 sottolinea l’impegno di Ressa e Muratov per «salvaguardare la libertà di parola, una condizione fondamentale per la democrazia e la pace». Il Presidente USA Joe Biden si è sbracciato in lodi ai due giornalisti e al Comitato del premio, per aver prestato «grande attenzione alla crescente pressione sui giornalisti, la libera stampa, la libertà di espressione in tutto il mondo». USA compresi.

A Mosca, una delle “firme” più note di Novaja Gazeta, l’ex docente del prestigioso MGIMO (Università delle Relazioni internazionali), dell’Università ortodossa russa e prima ancora dell’Accademia spirituale moscovita, Andrej Zubov, ha scritto di avvenimento «stupefacente e gioioso» e ha ricordato come Sakharov e Gorbačëv avessero «più che meritato questo premio», per la loro «lotta contro il mostro comunista totalitario» e per i «valori umani universali, infinitamente superiori ai valori razziali, di classe, nazionali, statali».

In particolare, Gorbačëv, «figlio del sistema comunista, imbevuto del veleno della sua propaganda», sarebbe riuscito tuttavia «a sconfiggere la sua menzogna satanica». «Caro Muratov» ha scritto Zubov, «sono felice per te, per “Novaja”, per tutti noi, come ero felice nel 1970 per Solženitsyn, nel 1975 per Sakharov, nel 1990 per Gorbačëv».

Questo scrive Zubov, tra le cui epigrafi feisbuc, campeggia quella per la “decomunistizzazione”: «Noi tutti, persone normali, dobbiamo unire le nostre forze, per seppellire con onore i morti, maledire la causa dei boia, chiamarli per nome e cessare per sempre il vergognoso strisciante revanscismo del leninismo-stalinismo. Ogni monumento a Lenin, Dzeržinskij, Stalin, ogni strada coi loro nomi, rappresentano uno schiaffo a noi e un insulto alle spoglie delle persone da essi uccise: i nostri cari, i nostri avi».

Dove avrà visto un “revanscismo del leninismo-stalinismo”, o scovato strade intitolate a Lenin, Stalin o Dzeržinskij, nella Russia eltsiniano-putiniana, lo sa solo lui, insieme ai Muratov e a tutti i suoi colleghi “ParNaS” (Partito della libertà popolare), tra le cui “linee” ufficiali campeggiano “democrazia liberale, conservatorismo, anticomunismo, europeismo”.

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