C’è chi ancora non comprende che il “trasferimento di sovranità” dagli Stati nazionali – e dalle democrazie, in cui questa sovranità appartiene al popolo – all’Unione Europea è un trasferimento di potere “ai mercati”. O, più precisamente, a quella fetta numericamente piuttosto sottile che è bene chiamare borghesia europea.
Se si resta a guardare solo ai passaporti in tasca a questo o quel manager o imprenditore multinazionale, non si vede granché, e si continua a pensare che anche un livello stratosferico di capacità di business sia comunque “borghesia nazionale” in base a un semplice documento che attesta la cittadinanza principale (senza ricordare che esiste anche la possibilità di una doppia o tripla cittadinanza).
La “borghesia nazionale” esiste ancora, certamente, ma vi appartengono quelle frazioni di capitale troppo piccole per “competere in campo internazionale”. Magari hanno nel conto corrente qualche milione di euro, una Ferrari in garage, qualche villa e uno yacht, ma non contano granché rispetto a chi si può muovere sfruttando le regolamentazioni europee e, contemporaneamente, le differenti legislazioni nazionali (e i diversi costi del lavoro).
Abbiamo indicato nei Salvini e nelle Meloni i “referenti politici” di questo tipo di borghesia, evidenziando la loro impossibilità sia di “opporsi” alla costruzione di un super-stato europeo, sia di “contrattare” da posizioni di forza una propria compartecipazione a quella costruzione.
Come ricordava anche Moni Ovadia, qualche giorno fa, al lancio della campagna nazionale “contro Mario Draghi presidente della Repubblica”, due soli fondi di investimento – Vanguard e BlackRock – sono vicini a movimentare circa 20.000 miliardi dollari. Una cifra pari a 11 volte il Pil italiano...
Cosa volete che contino i sciur Brambilla padani di fronte alla capacità di “persuasione” di colossi del genere? È scontato, insomma, che la legislazione continentale – vincolante per tutti e 27 i paesi membri – prenda forma sotto la spinta di soggetti la cui forza finanziaria eccede ampiamente quella dei singoli paesi.
Discorso troppo “elevato ed astratto”?
Ed allora scendiamo sulla terra, prendendo ad esempio il più consueto e vicino dei beni con cui abbiamo a che fare: la casa. Un tormento per chi non ne possiede una e magari non ha neanche il reddito sufficiente ad affittarla, ma comunque un problema anche per quella maggioranza di popolazione (73%) che è proprietaria almeno delle quattro mura in cui risiede.
Non stiamo qui parlando della tassazione, del peso del mutuo o dei costi di manutenzione (sempre gravosi, certo), ma del futuro economico di questo bene su cui tradizionalmente si investe tutta o quasi la propria capacità di risparmio, spesso unica eredità da lasciare ai figli.
Una direttiva europea in via di definizione renderà non vendibili o affittabili le case con “efficienza energetica” inferiore a “F”, dal 2030, e a “D” dal 2033.
La motivazione ufficiale è ovviamente “verde”, perché un immobile che richiede grandi consumi energetici per essere abitabile (d’inverno con i riscaldamenti, d’estate con i condizionatori) contribuisce certamente al peggioramento del cambiamento climatico.
Ma lo strumento adottato per ottenere un risultato “virtuoso” (la riduzione dei consumi energetici) è – come spiega nei dettagli il sempre preciso Guido Salerno Aletta su TeleBorsa – la “repressione finanziaria”. Il manganello usato in questo caso è ben più feroce di quello dei poliziotti: se la tua abitazione non può essere ristrutturata in quel senso (per motivi economici o impossibilità tecnica) non varrà più nulla.
I risparmi di una vita, o di generazioni (per molte case di centri storici o dei “paesi più belli d’Italia”) buttati nel cesso, economicamente parlando.
Una direttiva del genere a quali interessi obbedisce? Lo spiega appunto uno specialista – ex direttore generale Fondazione Ugo Bordoni ed ex vicesegretario generale di Palazzo Chigi – nell’analizzare le conseguenze di ogni legislazione in materia economica.
Alle sue considerazioni, finanziariamente inoppugnabili, ci sentiamo di aggiungerne soltanto un paio, di carattere più sociale.
Da un lato si tratta di una “svalutazione patrimoniale” mai vista – se non in guerra, con i bombardamenti fisici – del tradizionale “bene rifugio” delle famiglie con redditi da lavoro. Quelle risorse risparmiate, con questa direttiva, andranno forzatamente dirottate verso il “risparmio gestito” (ossia il capitale finanziario) oppure verso immobili “certificati” che saliranno di valore in virtù della rarefazione degli immobili “commerciabili”.
Dall’altro, vista la scomparsa di qualsiasi progetto di edilizia popolare con investimenti pubblici, si verrà a creare una scarsità mostruosa di appartamenti affittabili, con conseguente crescita della domanda e degli affitti.
Questa direttiva, per tornare alle considerazioni iniziali, non sarebbe mai venuta in testa a una “borghesia nazionale” che proprio nella speculazione immobiliare ha storicamente trovato una fonte di profitti e plusvalenze molto facili. Più coerenti, in quella logica, i “super bonus per la ristrutturazione”, addirittura al 110% (per premiare anche le banche...).
Ci vole una borghesia europea per partorire un simile mostro, mettendo al centro gli interessi di un capitale finanziario da dieci anni obbligato a marciare sul posto e a sopravvivere grazie alle “iniezioni di liquidità” della Bce.
P.s. L’allarme degli immobiliaristi – più rapidi a capire le conseguenze che non i semplici proprietari di una casa – hanno spinto i vertici della UE a minimizzare i rischi, introducendo una retromarcia verbale che comunque non è ancora verificabile su alcuna bozza di direttiva. Vedi qui.
Se si resta a guardare solo ai passaporti in tasca a questo o quel manager o imprenditore multinazionale, non si vede granché, e si continua a pensare che anche un livello stratosferico di capacità di business sia comunque “borghesia nazionale” in base a un semplice documento che attesta la cittadinanza principale (senza ricordare che esiste anche la possibilità di una doppia o tripla cittadinanza).
La “borghesia nazionale” esiste ancora, certamente, ma vi appartengono quelle frazioni di capitale troppo piccole per “competere in campo internazionale”. Magari hanno nel conto corrente qualche milione di euro, una Ferrari in garage, qualche villa e uno yacht, ma non contano granché rispetto a chi si può muovere sfruttando le regolamentazioni europee e, contemporaneamente, le differenti legislazioni nazionali (e i diversi costi del lavoro).
Abbiamo indicato nei Salvini e nelle Meloni i “referenti politici” di questo tipo di borghesia, evidenziando la loro impossibilità sia di “opporsi” alla costruzione di un super-stato europeo, sia di “contrattare” da posizioni di forza una propria compartecipazione a quella costruzione.
Come ricordava anche Moni Ovadia, qualche giorno fa, al lancio della campagna nazionale “contro Mario Draghi presidente della Repubblica”, due soli fondi di investimento – Vanguard e BlackRock – sono vicini a movimentare circa 20.000 miliardi dollari. Una cifra pari a 11 volte il Pil italiano...
Cosa volete che contino i sciur Brambilla padani di fronte alla capacità di “persuasione” di colossi del genere? È scontato, insomma, che la legislazione continentale – vincolante per tutti e 27 i paesi membri – prenda forma sotto la spinta di soggetti la cui forza finanziaria eccede ampiamente quella dei singoli paesi.
Discorso troppo “elevato ed astratto”?
Ed allora scendiamo sulla terra, prendendo ad esempio il più consueto e vicino dei beni con cui abbiamo a che fare: la casa. Un tormento per chi non ne possiede una e magari non ha neanche il reddito sufficiente ad affittarla, ma comunque un problema anche per quella maggioranza di popolazione (73%) che è proprietaria almeno delle quattro mura in cui risiede.
Non stiamo qui parlando della tassazione, del peso del mutuo o dei costi di manutenzione (sempre gravosi, certo), ma del futuro economico di questo bene su cui tradizionalmente si investe tutta o quasi la propria capacità di risparmio, spesso unica eredità da lasciare ai figli.
Una direttiva europea in via di definizione renderà non vendibili o affittabili le case con “efficienza energetica” inferiore a “F”, dal 2030, e a “D” dal 2033.
La motivazione ufficiale è ovviamente “verde”, perché un immobile che richiede grandi consumi energetici per essere abitabile (d’inverno con i riscaldamenti, d’estate con i condizionatori) contribuisce certamente al peggioramento del cambiamento climatico.
Ma lo strumento adottato per ottenere un risultato “virtuoso” (la riduzione dei consumi energetici) è – come spiega nei dettagli il sempre preciso Guido Salerno Aletta su TeleBorsa – la “repressione finanziaria”. Il manganello usato in questo caso è ben più feroce di quello dei poliziotti: se la tua abitazione non può essere ristrutturata in quel senso (per motivi economici o impossibilità tecnica) non varrà più nulla.
I risparmi di una vita, o di generazioni (per molte case di centri storici o dei “paesi più belli d’Italia”) buttati nel cesso, economicamente parlando.
Una direttiva del genere a quali interessi obbedisce? Lo spiega appunto uno specialista – ex direttore generale Fondazione Ugo Bordoni ed ex vicesegretario generale di Palazzo Chigi – nell’analizzare le conseguenze di ogni legislazione in materia economica.
Alle sue considerazioni, finanziariamente inoppugnabili, ci sentiamo di aggiungerne soltanto un paio, di carattere più sociale.
Da un lato si tratta di una “svalutazione patrimoniale” mai vista – se non in guerra, con i bombardamenti fisici – del tradizionale “bene rifugio” delle famiglie con redditi da lavoro. Quelle risorse risparmiate, con questa direttiva, andranno forzatamente dirottate verso il “risparmio gestito” (ossia il capitale finanziario) oppure verso immobili “certificati” che saliranno di valore in virtù della rarefazione degli immobili “commerciabili”.
Dall’altro, vista la scomparsa di qualsiasi progetto di edilizia popolare con investimenti pubblici, si verrà a creare una scarsità mostruosa di appartamenti affittabili, con conseguente crescita della domanda e degli affitti.
Questa direttiva, per tornare alle considerazioni iniziali, non sarebbe mai venuta in testa a una “borghesia nazionale” che proprio nella speculazione immobiliare ha storicamente trovato una fonte di profitti e plusvalenze molto facili. Più coerenti, in quella logica, i “super bonus per la ristrutturazione”, addirittura al 110% (per premiare anche le banche...).
Ci vole una borghesia europea per partorire un simile mostro, mettendo al centro gli interessi di un capitale finanziario da dieci anni obbligato a marciare sul posto e a sopravvivere grazie alle “iniezioni di liquidità” della Bce.
P.s. L’allarme degli immobiliaristi – più rapidi a capire le conseguenze che non i semplici proprietari di una casa – hanno spinto i vertici della UE a minimizzare i rischi, introducendo una retromarcia verbale che comunque non è ancora verificabile su alcuna bozza di direttiva. Vedi qui.
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“Non Performing House”
“Non Performing House”
Guido Salerno Aletta – Agenzia Teleborsa
Si legge di una direttiva della Unione europea, in fase di avanzata elaborazione, volta ad accelerare la riduzione dei consumi energetici negli immobili, imponendo una serie di vincoli alla loro circolazione: a partire da una certa data, ci sarebbe il divieto di venderli o di affittarli se non hanno almeno una determinata classe energetica.
La misura entrerebbe in vigore dal 2030 per gli immobili di classe energetica G e poi dal 2033 per gli immobili di classe E: pertanto, a partire dal 2030 sarebbe indispensabile avere la certificazione energetica di classe F e dal 2033 la certificazione di classe D. In caso contrario, la casa non avrebbe valore economico, ma solo un valore d’uso da parte del proprietario.
Siamo di fronte ad una stretta formidabile che ha come obiettivo la riduzione dei consumi energetici ma come strumento la repressione finanziaria.
C’è da chiedersi il perché di tanta determinazione: c’è di mezzo la equalizzazione del valore degli asset, che sta vedendo schizzare verso l’alto quello degli immobili mentre i titoli di debito non solo hanno da anni rendimenti nominali negativi, ma che in questo periodo di forte inflazione perdono valore anche in linea capitale.
Basta vedere quello che accade in Germania: mentre i Bund hanno rendimenti negativi su tutte le scadenze, e quindi rappresentano un investimento che comporta una perdita secca, i prezzi degli immobili ad uso residenziale stanno salendo alle stelle.
Le statistiche internazionali raccolte dalla BRI forniscono andamenti impressionanti: il valore medio di un appartamento, fatto pari a 100 nel 2010, a giugno di quest’anno era arrivato a quota 177,6. Per talune categorie, sempre in Germania il livello è arrivato a 183,3.
In Danimarca, l’inflazione dei valori immobiliari è spaventosa: da quota 100 del 2010, alla fine del primo trimestre di quest’anno si è arrivati a 586,7. Praticamente, un valore sestuplicato. In Belgio, il prezzo si è duplicato in 10 anni.
Ovvio che si debba intervenire.
In pratica, la repressione finanziaria adottata dalla BCE nei confronti del debito sta producendo una fuga verso altri asset, in particolare gli immobili, il cui prezzo sta andando alle stelle.
Viene da pensare a questo punto che l’obiettivo del risparmio energetico non solo nasconda una estensione agli immobili della politica di repressione finanziaria in atto, ma che serva a spalancare una altra porta alla green finance. Così come si impone la rottamazione delle automobili diesel, si farà con le vecchie case perché consumano troppa energia.
Intanto, c’è una sorta di monito agli investitori: fate attenzione, perché il valore dell’immobile che state acquistando non solo subirà una forte riduzione per via dei lavori necessari per ottenere la occorrente certificazione energetica, ma non avrà alcun valore economico se non provvederete all’adeguamento.
Si scoraggia la speculazione immobiliare, lo spostamento degli investimenti da una asset class, i titoli di debito, che da anni hanno rendimenti economici e valori patrimoniali negativi ad una altra asset class che invece ha registrato una dinamica eccezionalmente favorevole.
In pratica, facendo trapelare la notizia di questa direttiva in corso di elaborazione, la Commissione europea sta cercando di bucare la bolla dei prezzi immobiliari.
Tutto lascia immaginare che si andrà avanti comunque: continuando con la repressione finanziaria in atto da anni sul debito ed estendendola agli immobili.
La transizione energetica non è solo un obiettivo ambientale, volto a salvaguardare il Pianeta, ma è soprattutto uno strumento strategico, indispensabile per indirizzare gli investimenti.
La finanza green non si limiterà solo alla gestione delle aste dei diritti di emissione della CO2, o dei certificati verdi o bianchi: deve mettere le mani anche sul processo di investimenti colossali che diviene necessario per l’efficienza energetica negli immobili.
Con un unico colpo si perseguono due obiettivi: per un verso si evita il progressivo travaso degli investimenti finanziari dal debito alla proprietà immobiliare, e per l’altro si amplia il nuovo mercato finanziario, per l’efficienza energetica.
Se gli immobili non avranno i requisiti energetici richiesti, saranno “beni fuori mercato“, con conseguenze catastrofiche anche per le banche che li hanno presi in garanzia per erogare prestiti o mutui: avremo centinaia di migliaia, se non milioni di “non performing house“. La ricchezza delle famiglie italiane ne sarà devastata.
I proprietari di casa saranno costretti a fare i lavori occorrenti per l’adeguamento ricorrendo ai propri risparmi, oppure dovranno indebitarsi: eccola la finanza green, questa è la nuova repressione finanziaria.
La nuova repressione finanziaria, dietro il risparmio energetico.
Fonte
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