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14/03/2022

La Bretton Woods 3

Tasso di inflazione a febbraio in Cina pari allo 0,9% (5,9% area euro), tasso di inflazione alla produzione in Cina 8,8% (Germania a gennaio 17,8%). Inflazione core in Cina 1,1%. Aumento mensile dello 0,5% dovuto a energia e materie prime. La Cina para la tempesta mondiale inflazionistica dovuta al boom delle materie prime. Il differenziale inflazionistico a livello di produzione con la Germania le erode a quest’ultima quote di mercato, avendo ormai la Cina raggiunto target tecnologici quasi alla pari. Come sostenevo giorni fa il differenziale inflazionistico Cina-Area Euro e Cina-Usa pone quest’ultimo in vantaggio a livello industriale, prova la performance delle esportazioni a gennaio-febbraio che hanno battuto le stime, con boom surplus commerciale. L’area euro intanto si prepara a nuovi strumenti finanziari per sostenere la base industriale attraverso il protezionismo fiscale (aiuti alle grandi imprese, mentre si manda alla deriva le piccole). La guerra commerciale continua e sembra che la Cina, terzo attore globale nello scontro Usa - Russia, si avvantaggi, come avevo sostenuto due settimane fa nel blog. Il surplus commerciale serve loro per penetrare nel mercato russo. Ieri la notizia che colossi pubblici cinesi, sotto la guida del governo, sono in trattative con il governo russo per aumentare/entrare in colossi energetici industriali russi. L’asse Mosca - Pechino ha un risvolto industriale con effetti mondiali. Questi accordi probabilmente serviranno ai cinesi ad ottenere contratti a lungo termine a prezzi inferiori in modo che il differenziale inflazionistico con l’Occidente aumenti e dunque, assieme al salto tecnologico, possa eroderle quote di mercato.

Il dato dell’inflazione allo 0,9% a febbraio, considerate le turbolenze nelle materie prime, lascia spazi alla Cina. Infatti il governo ha fissato per il 2022 un tasso di inflazione al 3%. Qualora il tasso di inflazione reale si mantenesse nella forchetta 0,9-1,5% avrebbero enormi spazi in termini di politica monetaria espansiva, soprattutto taglio alle riserve obbligatorie delle banche cinesi, ora al 20% (il massimo mondiale). Ciò porterebbe a raggiungere il target di crescita fissato al 5,5%, nel mentre l’Occidente si ritroverebbe in uno scenario di produzione, investimenti e consumi simili alla pandemia, se non peggio, qualora la situazione in Ucraina non volgesse a soluzione. In ogni caso la Cortina di Ferro è stabilita, anche a livello commerciale. Da qui si spiega l’atteggiamento di Francia e Germania (oltre che di Olanda, che non vuole perdere la rotta marittima che porta a Rotterdam) nei confronti della situazione. Ieri Guido Salerno Aletta scriveva che vi è un blocco (rispetto a quanto succede in Ucraina) tra Israele, Turchia, Iran (sembra assurdo), Cina, Russia, Francia e Germania, volto alla negoziazione. Dall’altra parte Usa, Uk, e Italia, volto allo scontro aperto.

Oggi nella rubrica Rosso e Nero lo strategist Alessandro Fugnoli parla di Bretton Woods 3 con queste considerazioni: “La terza Bretton Woods, che sta nascendo sotto i nostri occhi in questi giorni, vede la creazione di due sistemi paralleli che rispecchiano la divisione del mercato globale delle materie prime in due blocchi. Nel primo, il nostro, le materie prime trattano a prezzo maggiorato e creano inflazione. Nel secondo la Cina (cui si aggiungerà probabilmente l’India) compra le materie prime russe a forte sconto e mantiene stabili i suoi prezzi. Le materie prime acquistate possono servire alla produzione cinese, ma possono anche essere accumulate in scorte strategiche che vanno a sostituire le riserve valutarie di carta americana. Il risultato è la creazione in prospettiva di un nuovo blocco valutario in cui la moneta è garantita da materie prime e oro”.

Nel libro Piano contro mercato sostenevo nel 2015 che la Banca Centrale cinese, Pboc, era intenzionata ad aumentare le riserve in oro, piano portato avanti in tutti questi anni attraverso la dismissione di Treasury Bond Usa per 300 miliardi e mediante stoccaggio di materie prime, energetiche, industriali e agricole, specie con la pandemia dove i prezzi crollarono. Dunque la Cina sin dal 2015 si preparava ad uno scenario di de-dollarizzazione. Il blocco russo-indo-cinese è completo, materie prime, industria, popolazione, consumi. Può far fronte al blocco occidentale, specie se si aggiungono altri paesi della Conferenza di Bandung, e sovrastarli. L’asset inflation e la deflazione salariale cinquantennale, vista come guerra di classe ai salariati, mostra il suo boomerang. L’Occidente è ormai privo di armi, l’immissione di liquidità e la delocalizzazione, associata alla bassa crescita di questi decenni, sono un mix micidiale. Certo, si potrà rispondere con le armi, quelle vere, ma forse risulteranno spuntate. Le turbolenze saranno continue nei prossimi anni. Il nostro Paese deve decidersi che fare, ritornare ad una prospettiva di semi neutralità, come nella Prima Repubblica, o perire. Certo, nel far questo, occorre fare piazza pulita di chi c’è stato negli ultimi 30 anni, a tutti i livelli. Pena la morte industriale.

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