“In particolare nel bacino del Mediterraneo Orientale, area di indubbio interesse strategico anche per la presenza di ingenti risorse energetiche. Tali opportunità, unite a interessi commerciali e proiezioni strategiche, hanno attirato l’attenzione non solo dei Paesi rivieraschi, ma anche di attori internazionali quali la Federazione Russa e la Cina”, si legge nella relazione dei servizi di intelligence al Parlamento
Qui di seguito il testo integrale dell’analisi della situazione nel Mediterraneo orientale e nell’altro scenario prioritario: il Sahel, dove l’Italia è presente anche con propri contingenti militari.
In fondo le parti dedicate all’Afghanistan dopo il ritiro dei contingenti Nato e uno sguardo a Russia e Cina.
La situazione nel Mediterraneo orientale
Un articolato focus analitico è stato dedicato alle dinamiche di competizione del bacino del Mediterraneo Orientale, area di primario interesse strategico anche per la presenza di ingenti risorse energetiche.L’altra priorità geopolitica dell’intelligence: il Sahel
La possibilità di soddisfare i rispettivi fabbisogni interni di energia, nonché di trasportare tali risorse verso l’Unione Europea, ha stimolato i Paesi rivieraschi, soprattutto Egitto, Israele e Cipro, a elaborare diverse soluzioni e partnership per lo sviluppo delle necessarie reti infrastrutturali e della cooperazione regionale.
Nel 2021 è stato rafforzato l’East Mediterreanean Gas Forum-EMGF, principale iniziativa multilaterale della regione in ambito energetico, con l’adesione della Francia in qualità di membro e di Stati Uniti, UE e Banca Mondiale come osservatori, che vanno ad aggiungersi ai Paesi fondatori, ovvero Cipro, Grecia, Egitto, Giordania, Israele e Autorità Nazionale Palestinese, oltre che Italia.
Tali iniziative trovano però l’opposizione della Turchia che, dal canto suo, ambisce a diventare il principale hub di passaggio di gas verso il territorio europeo.
Al riguardo, Ankara contesta i criteri di ripartizione delle ZEE tra i Paesi rivieraschi, denunciando l’inadeguatezza del principio che estende anche alle isole i diritti di sfruttamento delle risorse presenti nelle piattaforme.
Nel corso del 2021, si è registrata una maggiore propensione da parte turca a ricercare soluzioni negoziali e a ricucire i rapporti con alcuni attori d’area. In tal senso vanno intesi i colloqui bilaterali avviati con la Grecia, finalizzati a una de-escalation nelle aree marittime, e l’avvio di una normalizzazione delle relazioni con l’Egitto, i cui rapporti diplomatici sono interrotti dal 2013.
Scarsi progressi invece sono stati registrati nei rapporti tra Turchia e Cipro, le cui tensioni nell’ultimo anno si sono riaccese soprattutto intorno al tema dello status e del controllo della cittadina cipriota di Varosha.
Le opportunità energetiche, commerciali e strategiche del bacino del Mediterraneo Orientale hanno comunque attirato l’attenzione anche di altri attori internazionali che, in maniera crescente, stanno rafforzando la propria presenza nell’area.
In particolare, specifica attenzione intelligence è stata dedicata alla postura della Russia che trova nella zona marittima mediterranea un naturale sbocco strategico per rafforzare la propria proiezione.
Quanto alla Cina, questa vede nel Mediterraneo un’importante area dove sviluppare le rotte commerciali della Belt and Road Initiative-BRI (vds. tavola 11) nel cui quadro ha già acquisito significative quote di partecipazione in diversi porti del Bacino, siano essi egiziani (Alessandria e Port-Said), israeliani (Haifa e Ashdod), greci (Pireo), oltre che del Mar Rosso (in Kenya e Gibuti).
La lente del monitoraggio informativo si è poi focalizzata con particolare attenzione sugli sviluppi connessi al delicato momento politico in Mali, dove si sono registrati due colpi di Stato in meno di un anno (18 agosto 2020 e 24 maggio 2021).Nella relazione dei servizi c’è poi una scheda di approfondimento sul crescente interesse della Ue verso l’Africa centrale e subsahariana.
Seppur incruenti, i due cambi di élite hanno profondamente scosso un contesto già gravato da acute contrapposizioni interne con movimenti insorgenti attivi in parti del territorio e una radicata e pervasiva presenza jihadista che si avvale delle connessioni con comunità locali.
Su questo sfondo, a fronte delle continue rassicurazioni di Bamako circa l’intenzione di completare quanto prima il processo di transizione, gli ultimi mesi del 2021 hanno evidenziato un avvitamento delle interlocuzioni con la Communauté Économique des États de l’Afrique de l’Ouest-CEDEAO, che il 7 novembre ha varato severe sanzioni (congelamento dei beni, compresi quelli dei familiari, nonché divieto di viaggio all’interno dello spazio regionale) verso 149 elementi dell’establishment maliano.
A tale complessa situazione politica si aggiunge la dimensione della sicurezza che, anche nell’anno trascorso, ha contemplato un pressante fenomeno terroristico legato anche alle dinamiche etniche locali.
Altra realtà sempre più all’attenzione dell’intelligence è stata quella del Burkina Faso, che nel 2021 ha subìto pesantemente i riverberi della crisi maliana, raggiungendo livelli critici di violenza.
L’incrementato attivismo delle formazioni terroristiche d’area – peraltro in violento contrasto tra loro sul territorio burkinabè per il controllo di vaste aree del Paese – ha riacceso il malcontento della popolazione che, specie nelle regioni Nord-orientali e Sud-occidentali, vive condizioni economiche e di sicurezza fortemente deteriorate.
Attacchi particolarmente violenti e indiscriminati sono stati sferrati nelle aree al confine con il Niger (quale, a metà novembre, quello contro un distaccamento della Gendarmeria burkinabé di Inata che ha provocato la morte di 53 persone di cui 49 gendarmi) provocando, tra l’altro, massicci movimenti di sfollati verso i centri urbani maggiormente difesi. In questo contesto, il Governo centrale, a fine anno ha affrontato locali proteste, e un certo dissenso nei confronti dell’operato delle Istituzioni centrali è stato pure registrato in seno alle Forze Armate.
Quanto al Niger, l’appuntamento elettorale ha condotto, a inizio aprile scorso, al primo passaggio di consegne democratico tra un Presidente uscente (Issoufou) e il suo successore (Bazoum), intento ora a favorire l’implementazione di piani di sviluppo enunciati in campagna elettorale (cd. programma Renaissance III – Consolider et Avancer) per il rilancio economico e sociale nazionale.
Restano, tuttavia, vive le vulnerabilità di sicurezza che attraversano il Paese, con le ricadute della crisi maliana e libica nonché della precaria situazione delle aree settentrionali della Nigeria.
È, infatti, sempre più evidente lo sconfinamento nel Niger delle formazioni terroristiche regionali: oltre a JNIM e Islamic State in the Greater Sahara-ISGS nella parte occidentale al confine con il Mali, le formazioni nigeriane Islamic State in the Western Africa Province-ISWAP e Boko Haram nell’area sud-orientale e del bacino del lago Ciad.
La Strategia UE per il Sahel
Nel corso dell’anno l’UE ha accentuato la propria azione in Sahel, area che risente di un’articolata e complessa instabilità. Cardine di un approccio maggiormente proattivo è stata, ad aprile, l’approvazione da parte del Consiglio dell’UE della nuova Strategia integrata dell’UE nel Sahel che, sostituendo il precedente documento del 2011, ha riaffermato il solido impegno dell’Unione nell’area, in una prospettiva di lungo periodo che colga le implicazioni dovute non solo alla minaccia terroristica che in 10 anni non ha fatto che crescere ma anche ai cambiamenti climatici, alla pressione demografica, al protrarsi delle crisi epidemiche.Le conseguenze in Afghanistan del ritiro della Nato
Il nuovo approccio mira, infatti, a integrare le varie sfumature dei dossier di sicurezza all’esigenza di fornire nuovi strumenti di sostegno alla società civile e al consolidamento del buon governo, in una cornice di sviluppo più sostenibile.
Sulla base delle lezioni apprese dalla Strategia del 2011 e del Piano di azione regionale 2015-2020, il Documento cerca di fornire strumenti di risposta alla crisi saheliana più adeguati e multidimensionali, seguendo un approccio che assicuri, comunque, ai Governi legittimi – ma maggiormente responsabilizzati – assistenza nella lotta contro i gruppi terroristici e nella riforma dei settori di sicurezza.
La Strategia 2021 individua un ruolo centrale da svolgere nell’incoraggiamento a iniziative di sviluppo e di sicurezza, a beneficio delle popolazioni locali e degli interessi dei cittadini europei, nel perimetro di quattro temi centrali:
• governance, sviluppo e risoluzione dei conflitti. Viene esplicitata l’esistenza di un legame inseparabile tra sicurezza e sviluppo. L’aiuto ai Paesi saheliani nel campo della crescita economica e della povertà ha ricadute importanti sul contenimento della minaccia;
•sfide al coordinamento regionale. Il raggiungimento di maggiore sicurezza deve passare attraverso la cooperazione regionale perché le crisi che attraversano i Paesi saheliani hanno natura trasversale e transnazionale;
• lotta e prevenzione del radicalismo e dell’estremismo violento. I Paesi della regione necessitano di maggiori misure di capacity building nei settori della sicurezza, del law enforcement, del sistema giudiziario;
• sicurezza e rule of law. È fondamentale individuare meccanismi di accountability a protezione della società civile, incrementando la lotta all’impunità e la costruzione della fiducia, accrescendo sensibilmente la dimensione della tutela dei diritti umani e della protezione della popolazione civile anche attraverso il dispiegamento di truppe.
Il Documento sposta l’attenzione dello sforzo europeo dalla dimensione di stretto controterrorismo a quella della governance, puntando su obiettivi concreti di breve periodo in una prospettiva di 3 anni e, al contempo, su propositi di stabilizzazione, ripristino della sicurezza, governance e coesione sociale che hanno necessariamente la più lunga prospettiva di 5-10 anni.
Tanto premesso, sono ancora da cogliere i futuri, concreti sviluppi della Strategia UE anche in relazione alle evoluzioni connesse alla rimodulazione della presenza militare occidentale.
Infine, benché la zona di diretta proiezione dell’impegno UE sia costituita dai 5 Paesi del cd. Sahel istituzionale (Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad), la nuova Strategia contempla per la prima volta una visione più ampia che abbraccia la regione dall’Atlantico al Mar Rosso, con particolare riferimento ad aree di crisi quali la Libia, il bacino del lago Ciad, il Golfo di Guinea e il Nord della Nigeria.
Infine, gli sviluppi in Afghanistan sono stati quanto mai al centro dell’azione intelligence, prima per la messa in sicurezza del nostro contingente militare e, nella fase del ritiro, della nostra presenza civile, e poi per le evacuazioni di cittadini afghani ritenuti a seguito della presa del potere da parte dei Talebani.Gli occhi dell’intelligence italiana su Russia e Cina
Proprio la proclamazione dell’Emirato Islamico in Afghanistan ha rappresentato l’evento più significativo del 2021 per i gruppi del terrorismo internazionale di matrice jihadista, soprattutto alla luce della valenza iconica che la terra afghana riveste nell’immaginario dei sostenitori del jihad globale.
A livello globale e regionale, sia al Qaida che DAESH hanno proseguito nella riorganizzazione dei rispettivi assetti che, in entrambi i casi, ha portato a una decentralizzazione delle strutture di comando e controllo.
Alla particolare attenzione dell’intelligence è il rischio che il modello Afghanistan possa innescare effetti emulativi su gruppi presenti in altri Paesi, dove sussistono le condizioni per l’ascesa e l’affermazione di nuove forme di terrorismo e di estremismo violento.
È proseguito serrato, anche quest’anno, il monitoraggio della propaganda jihadista che, soprattutto all’indomani della vittoria dei Talebani, ha visto le principali sigle terroristiche, specie quelle riconducibili al network qaidista globale, rilanciare prontamente la “narrativa della vittoria” legata alla riconquista del potere a opera dei Talebani.
Il ruolo internazionale della Federazione Russa e le sue dinamiche interne sono state oggetto di attenzione informativa. In politica interna, le autorità russe hanno rinsaldato nel corso dell’anno l’attuale assetto di potere consolidando i risultati della riforma costituzionale del 2020 e delle elezioni parlamentari del settembre scorso, mentre in politica estera hanno affrontato le criticità emerse nel proprio “vicino estero”.Fonte
Da rilevare l’adozione nel luglio 2021 di una nuova strategia di sicurezza. È nello spazio post-sovietico che si è intensificata la volontà russa di riaffermare la propria primazia, considerando le Repubbliche ex sovietiche come il perimetro minimo di sicurezza che garantisce profondità strategica all’azione esterna di Mosca e alla sua volontà di essere riconosciuta fra le grandi potenze mondiali. È nel segno di tale postura che si è chiuso il 2021, alla vigilia dell’acutizzarsi della crisi russo-ucraina.
L’altro attore globale d’interesse informativo è rappresentato dalla Cina, tesa al compimento della strategia di rinascita nazionale che ha come orizzonte temporale il 2049, l’anno del centenario della fondazione della Repubblica Popolare.
La sua principale priorità continua a essere il vicinato, con la volontà di affermare le proprie rivendicazioni territoriali nei confronti di Taiwan e del Mar Cinese Meridionale, mentre in Europa e nel Mediterraneo l’attivismo cinese si manifesta soprattutto sul piano economico.
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