I dati preliminari che l’ISTAT ha diffuso riguardo l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC) per l’aprile appena trascorso non sono rassicuranti. Per dirla in poche parole, l’inflazione continua a crescere, alla faccia dei tanti proclami in merito che volevano quest’anno come quello del ritorno alla normalità.
Al lordo dei tabacchi, su base mensile l’inflazione è aumentata ancora dello 0,5%, su base mensile, il che significa che il suo tasso viaggia all’8,3% rispetto allo scorso anno. Quest’ulteriore accelerazione deriva ancora dal quadro di instabilità internazionale e dai conseguenti alti costi delle materie prime fondamentali.
I prezzi dei beni energetici non regolamentati continuano ad aumentare su base tendenziale, da +18,9% a +26,7%, e pur non essendo l’unica voce in crescita, è quella che pesa di più sul totale. La flessione di altre tipologie di beni, in primis dei beni energetici regolamentati e di quelli alimentari, è riuscita solo in parte a compensare questo incremento sostanziale.
Il risultato è che l’inflazione di fondo, cioè al netto dei beni energetici e di quelli alimentari freschi, rimane stabile a +6,3%, così come quella al netto solo dei primi (+6,4%). Sempre secondo le stime preliminari, l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) è aumentato di ben un punto percentuale sul mese, dell’8,8% su base annua, e la differenza con la dinamica delle retribuzioni rimane superiore ai sette punti percentuali.
L’IPCA serve ad avere un’idea di come il potere d’acquisto dei salari italiani sia in caduta libera in seguito alle scelte autolesioniste delle classi dominanti occidentali, in tema di sanzioni e tassi di interesse. L’inflazione cresce anche in UE, ma almeno in altri paesi qualche aumento lo vedono, nel nostro paese solo tagli al cuneo fiscale che, direttamente o indirettamente, finiscono nelle tasche dei padroni.
Comunque, è bene sottolineare che nell’Eurozona, riferiscono le stime dell’Eurostat, i prezzi aumentano, ma solo di uno 0,1% su marzo. La novità che può destare qualche preoccupazione è che si tratta del primo rialzo dalla parabola discendente che l’inflazione aveva preso sin da novembre 2022, in concomitanza con l’inversione di tendenza dei prezzi dell’energia, con un +2,5% rispetto allo -0,9% del mese precedente.
I numeri dell’Eurostat sono stati utili anche per svelare il gioco speculatorio che si nasconde dietro l’alta inflazione. Su di essi, Bloomberg ha prodotto uno studio che mostra come, negli ultimi quattro anni, in UE siano stati i profitti aziendali a far alzare i prezzi di beni e servizi a livello domestico, e non c’entra nulla stavolta quanto costano le materie prime.
In riferimento all’Italia e al quarto trimestre dell’anno passato, è stato calcolato che il 61% del dato sull’inflazione ha la sua origine nella ricerca di profitti aziendali, con un aumento dei prezzi ingiustificato dallo stesso quadro economico e commerciale.
Persino Bankitalia ha lanciato l’allarme, rispetto al reddito disponibile per le famiglie italiane e alla loro propensione al risparmio, che segna un -5,3% per gli ultimi tre mesi del 2022.
Fabio Panetta, membro del board della BCE, ha fatto notare come esistano margini perché le imprese facciano la loro parte nel tenere sotto controllo l’inflazione. Una fiducia mal riposta, lo sappiamo bene, e così ad ora ci troviamo nella paradossale situazione per cui dobbiamo destreggiarci tra alti tassi di interesse e alti prezzi.
Che sia un mix mortale lo vediamo sulle nostre tasche, ma lo sanno anche negli uffici delle banche centrali, e prima o poi dovranno porvi rimedio. Intanto, l’unica proposta sensata sarebbe quella di un salario minimo fissato per legge, che consenta una vita dignitosa, e del ritorno dell’indicizzazione di pensioni e retribuzioni al costo della vita.
Le piazze di questi giorni lo hanno chiesto con insistenza, e lo chiederanno ancora.
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