Dal 2 maggio scorso è partita un’ondata di occupazioni e blocchi stradali che sta interessando diversi paesi europei. Si tratta della seconda iniziativa del genere lanciata dalla campagna End The Fossil: Occupy!
L’obiettivo di tale campagna è quello di proseguire sulla strada tracciata dagli scioperi per il clima sin dal 2019. Tra il settembre e il dicembre scorso una cinquantina tra scuole e università sono state occupate dagli attivisti in tutto il continente, e tre di esse sono state sgomberate violentemente.
Un primo risultato rivendicato dal movimento è stata l’introduzione di un corso obbligatorio sulla crisi climatica per tutti gli studenti dell’università di Barcellona. Ma chi ha messo in atto le proteste risulta porsi orizzonti ben più ambiziosi, con pratiche che non si tirano indietro dal conflitto sociale.
I paletti delle mobilitazioni della piattaforma sono scritti chiaramente sul loro sito: protagonismo giovanile, giustizia climatica e occupare fino alla vittoria. Leggiamo anche che “come giovani, è nostro dovere radicalizzare e guidare il movimento popolare che porrà fine all’era dei combustibili fossili e trasformerà la società”.
“Chiediamo agli studenti di creare alleanze con altre parti del movimento per la giustizia climatica e sociale in modo che insieme possiamo mobilitare tutti per intraprendere un’azione radicale per porre fine all’economia fossile e trasformare la società verso la giustizia climatica. Chiediamo ai non studenti di interrompere il business as usual dell’economia fossile per le strade, le piazze, le sedi, gli uffici, le infrastrutture e gli oleodotti”.
Nelle parole degli attivisti risulta evidente la volontà di coinvolgere tutta la cittadinanza nella protesta, saldando vari movimenti nella lotta e portando in piazza ampi settori della società, toccati dalla crisi ambientale. È il tentativo di generalizzare una battaglia dalla funzione sistemica che guida la loro azione e che può mettere paura ai governi europei.
Da qualche giorno, dunque, 22 scuole e università sono state occupate in Germania, Spagna, Belgio, Regno Unito. In Repubblica Ceca un centinaio di studenti si sono accampati di fronte al Ministero del Commercio e dell’Industria.
Le azioni più radicali si sono avute in Portogallo, dove oltre alle occupazioni nella capitale Lisbona si sono avuti in solidarietà anche alcuni blocchi stradali. Una delle scuole occupate ha visto l’intervento delle forze dell’ordine, chiamate dagli insegnanti.
Sempre sul sito della campagna leggiamo: “Sappiamo che per fermare il caos climatico e garantire una società giusta per tutti, dobbiamo cambiare il sistema. Sappiamo anche che non dobbiamo aspettare che le industrie, i governi e le istituzioni negozino o cambino da soli: bisogna cambiare il sistema ora. Dobbiamo accettare il compito di prendere il potere nelle nostre mani”.
“Chiuderemo scuole e università per far sentire le nostre richieste, dimostrando allo stesso tempo che un altro mondo è possibile mostrando e immaginando collettivamente la società giusta che vogliamo creare: libera dall’oppressione e dove la vita è al centro, non il profitto”.
Insomma, parole che la classe dominante occidentale non vorrebbe sentire, anche perché mettono in chiaro che il conflitto è una pratica necessaria per il cambiamento. Soprattutto quando i decisori politici ascoltano più i grandi manager che i bisogni della maggioranza della popolazione.
Queste mobilitazioni rappresentano, quindi, un altro atto di accusa incontrovertibile a un modello di sviluppo che si è avvitato sulle sue contraddizioni di fondo, quelle tra capitale e lavoro e tra capitale e natura, tra necessità di valorizzazione continua e finitezza del mondo e delle risorse.
Dentro il modo di produzione capitalistico non c’è conversione ecologica che ci potrà davvero salvare dal disastro ambientale.
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