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07/11/2023

Il mito della “Moskvitch” rivive made in China

Nei primi tre trimestri di quest’anno, le esportazioni di auto cinesi in Russia sono aumentate di sei volte rispetto a gennaio-settembre 2022, per un valore di 4,6 miliardi di dollari.

Il ritiro – per effetto delle sanzioni internazionali – di colossi come Mercedes, Renault e Nissan ha aperto ai produttori cinesi praterie nel mercato del paese confinante. Con un testimonial d’eccezione: Vladimir Putin, il presidente russo, che in un’intervista alla vigilia del III Belt and Road Forum di Pechino ha garantito sulla «qualità delle macchine cinesi, che sta migliorando continuamente».

Mentre Li Qiang ha discusso della cooperazione nel settore automobilistico con il suo omologo russo, Mikhail Mishustin, durante l’incontro tra i due premier del 25 ottobre in Kigrghizistan. E Mosca ha limitato ai produttori nazionali e a quelli cinesi la possibilità di ottenere appalti governativi per la fornitura di nuove auto.

A fare da apripista è stata Great Wall Motor, che ha investito 500 milioni di dollari nell’impianto di Tula (a sud di Mosca) nel quale, dal 2019, produce il suo Suv “Haval”. In totale, 19 marchi cinesi sono entrati nel mercato russo, con Chery in testa per vendite totali, seguita da Great Wall Motor e Geely.

La cooperazione con la Cina sta permettendo alla Russia di mantenere l’occupazione in un settore che, altrimenti, sarebbe stato messo in ginocchio dalle sanzioni. E perfino di rilanciare un marchio simbolo dell’industrializzazione staliniana, la “Moskvitch”, nata nel 1946 e oggi assemblata nello stabilimento moscovita abbandonato da Renault utilizzando componenti “made in China”, della JAC Motors.

Secondo la Reuters, sei impianti russi nei quali producevano marchi statunitensi, europei e giapponesi sarebbero attualmente utilizzati da brand cinesi.

Secondo Autostat «grazie alla Cina, il mercato automobilistico russo, nonostante le sanzioni, non è rimasto senza novità: letteralmente ogni mese debuttano qui nuovi modelli di marchi cinesi».

La società di consulenza russa ha previsto, per gli ultimi cinque mesi del 2023, l’ingresso nel mercato di 46 nuovi modelli (di cui 13 veicoli elettrici) di 20 marchi cinesi. Le auto importate dalla Cina erano solo il 7% del mercato russo nel giugno 2021, ora hanno superato il 50%.

In definitiva quello dell’automotive è uno dei settori in maggiore espansione della “partnership strategica onnicomprensiva” ulteriormente rafforzata in occasione della visita di Xi a Mosca nel marzo 2023. Quest’anno i due paesi puntano a portare il commercio bilaterale a 200 miliardi di dollari, da 190 miliardi di dollari nel 2022.

Nelle prossime settimane sarà ufficializzato l’accordo in base al quale, nei prossimi 12 anni, la Russia fornirà alla Cina 70 milioni di tonnellate di grano e legumi (per un valore di 26 miliardi di dollari), attraverso il Nuovo corridoio del grano terrestre.

Con l’invasione dell’Ucraina che ha ridotto le spedizioni di grano di Kiev, la Russia ha rafforzato la sua posizione di primo esportatore di grano al mondo: circa 47 milioni di tonnellate nel 2022-2023.

Le esportazioni russe di materie prime energetiche verso la Cina quest’anno sono cresciute del 17% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, ha affermato il vice primo ministro russo Alexander Novak al forum sull’energia che si è svolto a Pechino il 19 ottobre scorso.

Eppure, durante l’ultimo incontro tra Xi e Putin (il quarantaduesimo in dieci anni), il 18 ottobre scorso, in occasione del forum sulla Belt and Road Initiative di Pechino, non è stato siglato alcun accordo su “Power of Siberia 2”, il gasdotto di 2.600 chilometri che dovrebbe portare 50 miliardi di metri cubi di gas all’anno dalla regione di Yamal, nel nord della Russia, in Cina, attraverso la Mongolia.

La vice primo ministro Viktoria Abramchenko il mese scorso aveva sostenuto che la costruzione della tratta mongola dell’opera, la “Soyuz Vostok”, potrebbe iniziare nella prima metà del prossimo anno. Ma a Pechino il presidente cinese si è limitato a comunicare suo omologo russo che spera che “Power of Siberia 2” possa far registrare progressi quanto prima, senza siglare però alcuna intesa a riguardo.

“Power of Siberia 2” permetterebbe di esportare in Cina all’incirca lo stesso quantitativo di gas naturale che la Russia spediva in Europa attraverso Nord Stream 1, distrutto dal sabotaggio del 26 settembre 2022. Ma l’opera è sempre più in forse, perché non c’è accordo con i cinesi sul prezzo (la Cina non ha bisogno di altro gas naturale fino al 2030) e perché ci sono dubbi anche in Russia, dal momento che l’opera (che a Mosca costerebbe oltre 13 miliardi di dollari) renderebbe il paese ancora più dipendente dalla Cina.

La Russia attualmente esporta gas in Cina attraverso il gasdotto Power of Siberia 1, che ha iniziato a funzionare nel 2019 e attraversa la Siberia orientale fino alla provincia cinese nordorientale di Heilongjiang.

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