Si fa presto a dire “sciopero generale”, se non ne fai più uno da tempo immemorabile...
La cosiddetta “polemica tra Salvini e Landini” è però rivelatrice di questi tempi – di guerra – molto più che non le rispettive debolezze, bassezze o vergogne dei due protagonisti.
Procediamo con ordine.
Cgil e Uil (non la Cisl, sindacato “di regime” qualunque sia il regime) hanno proclamato per il 17 novembre uno sciopero generale di 24 ore contro la manovra del governo Meloni.
Uno sciopero politico a tutti gli effetti (tutti gli scioperi generali lo sono, perché hanno come controparte i governi, non soltanto le imprese) e che quindi ricade sotto regole diverse dagli scioperi settoriali o aziendali.
Possiamo giudicare questa proclamazione tardiva, deficitaria nella piattaforma, meno credibile perché non effettuata quando i governi con dentro il PD producevano “manovre” più o meno simili a quella di Giorgetti e Meloni... Ma è comunque uno sciopero legittimo e necessario (tardivo, semmai, come dicevamo).
Il punto di forza “politico” di qualsiasi sciopero generale è certamente nei trasporti pubblici, anche solo per banali motivi mediatici. Se si fermano quelli, infatti, “si vede” che c’è uno sciopero. Perché quello che accade nelle fabbriche o negli uffici risulta quasi invisibile (tranne che ai diretti interessati).
Ed è qui che ovviamente Salvini ha puntato tutte le sue poche carte retoriche, buttandola come suo solito sul volgare straccionismo di parole in libertà.
“Milioni di italiani non possono essere ostaggio dei capricci di Landini che vuole organizzarsi l’ennesimo weekend lungo”, è la chiave usata per arrivare al vero obiettivo: “In nessun caso il settore trasporti potrà essere paralizzato per l’intera giornata”.
Sarebbe facile far notare che “in ogni caso” lo sciopero nei trasporti pubblici, da quasi un trentennio (grazie anche al Pd e alla Cgil), è già “limitato” dall’obbligo di rispettare le “fasce di garanzia” e i “servizi minimi”.
O anche che “in ogni caso” l’obiettivo pratico di uno sciopero generale è proprio quello di “fermare il Paese” – se ne hai la forza, con il consenso dei lavoratori che aderiscono allo sciopero – in un meccanismo in cui “tutto si tiene” (la partecipazione anche indiretta allo sciopero è facilitata se i trasporti pubblici si fermano).
Dunque la sortita di Salvini è tutta politica e tende a impedire che siano in futuro proclamati altri scioperi generali, vietandoli di fatto e possibilmente anche ‘di diritto’. Magari allargando i già immondi poteri della cosiddetta “Commissione di garanzia sugli scioperi nei servizi pubblici”, che da quando esiste si comporta come una “commissione antisciopero” agli ordini di Confindustria e governo.
Giusto dunque mandare Salvini dove si vuole o si merita, e tirare innanzi...
Il problema è che la risposta – inevitabile – di Maurizio Landini rivela a sua volta una visione che solo per eufemismo può essere considerata “debole e miope”.
Per un verso, infatti, giustamente respinge l’intimazione della “Commissione antisciopero” ad escludere i settori del trasporto aereo e dell’igiene ambientale, diminuendo l’orario dell’astensione per il Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco e nel trasporto ferroviario, trasporto pubblico locale, trasporto merci su rotaia, circolazione e sicurezza stradale ed elicotteri.
Per altro verso ha affidato a Stefano Malorgio, segretario della Filt (trasporti) Cgil, una difesa dello sciopero che appare suicida: “Lo abbiamo proclamato legittimamente ed è assolutamente consentito se si rispettano i servizi minimi e le fasce di garanzia. Lo stesso ministro Salvini, da settembre ad oggi, ha consentito ben tre scioperi di 24 ore nei trasporti e nel corso dell’anno sette scioperi generali, proclamati da sigle non confederali e quindi di limitata rappresentanza generale nel mondo del lavoro, tutti di 24 ore e regolarmente effettuati”.
Perché è “suicida”?
Negli anni passati (da 30 ad oggi) CgilCislUil hanno spinto per l’allargamento dei poteri negativi della “Commissione” in modo da contrastare meglio l’ascesa del sindacalismo di base e confermarsi senza sforzo come “sindacati più rappresentativi”.
Nonostante questo alcuni “sciopero generali” proclamati dai sindacati di base sono “passati” lo stesso al vaglio del “Garante” perché dichiarati rispettando scrupolosamente tutte le norme (gli ostacoli) frapposte all’azione.
Va da se che, per radicamento e forza organizzativa quegli scioperi, per quanto “generali” sulla carta, non hanno purtroppo avuto la capacità di “fermare tutto il paese”. E dunque hanno pesato politicamente in proporzione, sebbene proprio nel settore dei trasporti siano spesso riusciti in modo significativo.
Ma è chiaro che la situazione di oggi è parecchio differente. Le condizioni di vita e lavoro di milioni di persone sono enormemente peggiorate, i salari già ridicoli (anche per colpa del collaborazionismo di CgilCislUil) sono stati pesantemente falcidiati da due anni di inflazione consistente, persino le pensioni – ricordate le promesse salviniane sull’abolizone della Fornero? – vengono tagliate mettendo mano arbitrariamente ai meccanismi di indicizzazione.
Dunque lo sciopero di venerdì ha molte probabilità di essere uno sciopero “vero”, visibile come mai se ne ricordano negli ultimi anni.
Oggettivamente, insomma, un momento di conflitto sociale anche a dispetto del perdurante collaborazionismo pratico e ideologico di Cgil e Uil.
Questo dato, bisogna dire, sembra molto chiaro al governo (a Salvini, per estensione, a dispetto della sua “profondità di pensiero”), molto meno alla Cgil, ormai disabituata al ruolo di “antagonista oggettivo”.
Da parte nostra segnaliamo alcuni fatti che ci mostrano quale sia il segno dei tempi.
La Commissione di garanzia che convoca Cgil e Uil per “intimare” una correzione sulle modalità di uno sciopero è praticamente un “evento” di cui quasi non si trova traccia nella storia degli ultimi decenni.
Traduzione: il meccanismo che anche CgilCislUil condividevano per ostacolare “la concorrenza” ora viene usato contro di loro.
Il governo in carica è un governo di ultradestra, fascista nella “subcultura” che manifesta ad ogni presa di parola. È un governo che non ammette neanche più di doversi in qualche modo confrontare con una opposizione sociale, per quanto blanda e arrendevole possa essere da decenni. E quindi tratta persino i “consociativi” come prima i governi PD trattavano gli “alternativi”.
In terzo luogo, siamo in tempi di guerra. E in tempi come questi “la normalità” è la guerra. Anche nelle relazioni sociali. Non più “la democrazia e il confronto”.
Ma questo, in Cgil, non sono più in grado di capirlo...
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento